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Dove ci eravamo lasciati?
Non semplice da spiegare. Tuttavia, c’eravamo tanto amati... c’eravamo tanto odiati, e infine, ritrovati.
La seconda parte di “Showa Genroku Rakugo Shinju”, “Sukeroku Futatabi Hen”, prosegue senza stravolgere né spezzare quasi niente di ciò che avevamo precedentemente ammirato, e lo fa con una qualità capace di strabiliare. Ravvivare i carboni ancora caldi di una storia così fragile, delicata, e al tempo stesso potente ed evocativa - un vero e proprio ossimoro emotivo fra arte e spaccato storico - non era facile, eppure qui le braci tornano ad ardere, e lo fanno con maggiore intensità, con un’infinita passione, intrise di segreti, lacrime e sorrisi.

Sono passati alcuni anni dalla fine del drammatico racconto in flashback che Bon aveva svelato ai suoi giovani familiari, e ormai, come fosse in discesa, il Novecento si avvia verso la sua seconda moderna, caotica, rivoluzionaria metà.
Era difficile migliorarsi, eppure, come sopr’anzi accennato, gli autori propongono una seconda serie decisamente, inaspettatamente migliore della prima. Più pathos misurato e incalzante, una regia davvero magistrale (che si ispira senza dubbio ai più noti drammi cinematografici del Dopoguerra), disegni curati e d’impatto immediato, limpidi, prevalentemente essenziali, ma estremamente evocativi. I volti e le espressioni dei personaggi comunicano istantaneamente ogni emozione e variazione d’umore; la cura per la mimica facciale è incisiva seppur minimale; i fondali sono più curati, e ogni presagio negativo o barlume di speranza, ogni attimo si gioia o dolore celato viene introdotto ad arte, tramite rimandi, presagi, segnali da interpretare a livello visivo.
L’opening ci prende per mano e ci riporta nel mondo del rakugo, negli anni in cui il Giappone sta diventando finalmente grande, capace di camminare sulle sue gambe, un bambino finalmente orfano della guerra mondiale, e, così facendo, nei meccanismi civili e sociali avviene un inevitabile passaggio generazionale, ma non solo fisico e storico: ogni sfera si evolve, compresa quella artistica, e si riflette in tutti gli ambiti civili.

Bon, il mitico “Ottavo Yakumo”, è ormai un signore anziano, distinto, severo e spesso inflessibile, testardo come sempre, monumentale e iconico, una vera e propria leggenda vivente per gli amanti del rakugo e dell’arte tradizionale oratoria teatrale. L’orgoglio dell’antico Giappone risiede in lui... tuttavia, tutti questi titoli, questi aggettivi e queste onorificenze non riusciranno e non potranno frantumare quei tetri scheletri nell’armadio che si porta dentro da troppi anni, e che stanno scavando lentamente una fossa inesorabile, profonda quanto i segreti trascinatisi appresso. Colpe che credevamo chiare, eventi che ci hanno scosso e che sono stati il punto cardine della prima serie fanno ancora da contrappasso alla vita artistica, gloriosa e brillante di Bon. Ma, come ci aspettavamo, le ombre del dolore passato, se non affrontate in modo adeguato, rimangono fra gli angoli bui di una casa troppo grande e troppo piena di struggenti ricordi, ma che diventerà, fortunatamente, sempre più popolata.
“Showa Genroku Rakugo Shinju: Sukeroku Futatabi Hen” non è solo una tragedia agrodolce: è anche un lunghissimo scorcio di vita, un excursus di ben quattro generazioni attraverso quasi cent’anni di storia, a 360°, dove il rakugo fa da filo conduttore fra le vite dei protagonisti, creando un intreccio insospettabile ed emozionante che raggiunge l’apice in un colpo di scena incredibile, verso metà della serie. Ma le sorprese non si limitano a questo: altre scoperte e altri avvenimenti, sia lieti che dolorosi, mescoleranno le carte di questa favolosa e malinconica vicenda.
Ad ogni modo, come si prospettava, Bon non è più l’unico protagonista: Yotaro, divenuto ormai adulto ed esperto di rakugo, vedrà germogliare sempre più la relazione con la testarda e ruvida Konatsu, oltre a un rapporto sempre più stretto e professionale col palcoscenico. In poche parole, una storia familiare decisamente complicata, con sorprese che, inizialmente, sarebbe stato impossibile anche solo immaginare.

Il ritmo del rakugo è sia lento che lesto: così procede l’anime. Né troppo veloce, né troppo lento: la velocità di narrazione è quella giusta, il tempo è perfetto, i dialoghi studiati, la colonna sonora calzante come non mai.
E poi, il rakugo vero e proprio: se nella prima serie lo abbiamo imparato a conoscere, qui lo apprezzeremo in tutte le sue forme, riascoltando e approfondendo quegli antichi racconti tramandati di generazione in generazione, amandone finalmente le sottili sfumature, lontane dal nostro umorismo occidentale, anche per merito del modo in cui gli sceneggiatori lo sfruttano: talvolta, le morali, i significati e gli avvenimenti narrati nelle storie del rakugo si confanno alle vicende dei protagonisti, ricalcano alcune situazioni e si ricollegano ad eventi toccanti vissuti da Yotaro e compagnia. L’intreccio emotivo è potentissimo, insospettabile per la pacatezza e la calma con cui l’anime s’attesta ad essere inizialmente narrato. Si ride, si piange, ci si emoziona, ci si rammarica e si respira la malinconia di un’amicizia indissolubile, che va oltre il tempo e la morte, un’amicizia forte più delle guerre, dell’amore e del dolore, un’amicizia che è la granitica base di tutta questa indimenticabile vicenda.

In definitiva, “Showa Genroku Rakugo Shinju: Sukeroku Futatabi Hen” è un Seinen maturo e completo, capace di insegnarci che le emozioni - e i legami saldi e puri - vanno oltre le difficoltà, capaci di perdurare nel tempo, ma, giustamente, non ci permette di scordare la più banale delle lezioni: la vita è complicata, e spesso si fanno scelte sbagliate, sciocchezze che crediamo imperdonabili, e che difficilmente scendiamo a patti con noi stessi per perdonarci.
Infine, la seconda metà del racconto è davvero eccezionale, un crescendo di episodi uno meglio dell’altro, che si conclude con un finale forse fin troppo semplice e pacato, ma decisamente in linea con la narrazione proposta. Tuttavia, proprio prima di chiudere il sipario, come osservando attraverso dei vetri appannati, sembra esserci l’ennesimo colpo di scena che non t’aspetti, appena accennato, non dichiarato, soltanto instillato nello spettatore: un dubbio che vi rimarrà nella testa e non avrà mai risposta.

Probabilmente non sarà un prodotto per tutti, sarà considerato di nicchia, complesso e forse leggermente criptico, ma la maturità, l’emotività e la passione che ci comunica non possono passare inosservate.
L’essere umano è legato alla famiglia, tramanda di generazione in generazione il proprio essere. L’affetto ci lega indissolubilmente, e senza persone che parlino di noi e ci ricordino attraverso le loro memorie, è come se non fossimo mai esistiti.
Che amiate la storia giapponese o meno, che apprezziate il teatro del Sol Levante o no, risulta un lavoro davvero meraviglioso, che merita di essere visto a tutti i costi.
Perché, se continuiamo a tramandarle e ad amarle come ci hanno insegnato quelli prima di noi, le cose belle e amate da tanti non moriranno mai.
Sia le persone, sia le opere d’arte.

Jugemu, Jugemu!