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8.0/10
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“-Non mi serve a niente venire lassù per vedere il tramonto!
-Non lo puoi sapere fin quando non scali il muro. Certo se non provi, non c’è niente da vedere.”

Sinossi? Non proprio. Più che altro, importante preludio all’anime di cui andiamo a discutere, racchiuso nel suddetto scambio presente nei primissimi episodi: un crescendo gentile ma importante, un veicolo di motivazione tanto pacato quanto insistente… questo è «Barakamon».
Forte di un comparto sonoro / d’ambiente d’alto livello (opening notevole, ending eccezionale firmata Noisy Cell, gli stessi di «Death Parade»), animazioni discrete e una fluidità di narrazione davvero invidiabile, questo slice of life da dodici episodi piuttosto atipico – nato da un’idea decisamente originale – ci racconta le vicende di Seishu Handa, giovane calligrafo arrogante e suscettibile, che in seguito a un’aggressione nei confronti di anziano critico del settore reo d’aver stroncato le sue opere - etichettandole come “troppo conformiste”, banali ed anonime - come punizione sarà spedito (dal padre) su un’isola del sud del Giappone, molto lontano, lontanissimo, in modo da poter riacquistare serenità e riflettere sui propri eccessi, recuperare l’equilibrio interiore non che trovare il modo di migliorare la propria arte.
Messa in questo modo, sembrerebbe un incipit piuttosto vivace, ma nel contempo drammatico e decisamente serio, eppure non è (solamente) così: «Barakamon» si rivela sin da subito allegro, a tratti comico, irriverente, senza dubbio spensierato. È proprio “spensieratezza” la parola chiave, non che finalità della trama, un dipanarsi d’eventi agrodolci e scoppiettanti che trascineranno Handa fra le vicissitudini dei curiosi, singolari e simpaticissimi abitanti dell’isola di Goto.

«Barakamon», dicevamo. Ma cosa significa?
Letteralmente, “persona vivace”; ma non si riferisce certo allo spento, introverso e silenzioso Handa, bensì ad una bambina di nome Naru che il giovane maestro calligrafo incontrerà sull’isola, con cui trascorrerà praticamente ogni giornata e di cui si prenderà inevitabilmente, buffamente, dolcemente cura – e viceversa (sì, esatto, anche viceversa, perché ciò che i bambini possono insegnare agli adulti è qualcosa di così prezioso e unico, che raramente viene valorizzato come andrebbe fatto).
Naru, bimba estremamente allegra, casinista come tanti altri suoi coetanei, un uragano in cerca di sorprese, insetti rari e colorati, pronta a tuffarsi dalla scogliera più alta senza paura alcuna, afferrare un pesce a mani nude o zupparsi le mani nell’inchiostro del suo nuovo amico, facendolo uscire dai gangheri. In poche parole, una bimbetta iperattiva e dalla voce squillante, la base della “cura” di cui Handa ha bisogno, e che nel contempo non sa di necessitare… simpatico, sì, eppure delicatissimo, grazie ad una sottotrama di dolcezza davvero unica.
Dai disegni puliti e dal tratto lineare, tuttavia confuso e poco preciso là dove c’è “bisogno di caos” (così da richiamare perfettamente l’improvvisata ispirazione della scrittura su carta del nostro giovane sensei), la trama traccia con inchiostro simpatico – sì, è il caso di dirlo, e no, non scomparirà mai – una storia che s’appoggia su una solida base di comicità semplice e schietta, ma che imbastisce su essa una struttura matura, dai pensieri per lo più positivi e che ci permetterà di esplorare attraverso il filtro del protagonista il piccolo paesello sull’isola di Goto, dov’egli andrà a dimorare, sia per fermarsi e riflettere, sia per raccogliere le idee su cosa vorrà fare in futuro, ma soprattutto, chi vorrebbe davvero essere/diventare.
Cogito ergo sum, potremmo riassumere, ma cosa sum, esattamente? Lo si scoprirà di episodio in episodio, in un tenue crescendo, semplice e liberatorio.

L’umorismo adottato, come sopracitato, è fantastico: fa subito presa sullo spettatore. Semplice, a volte leggermente banale e diretto, va subito al punto e strappa più di una genuina risata, permeando l’intera storia a ondate di varia intensità, anche se, nonostante non lo si percepisca sin dall’inizio (e questo da un lato non è un bene), il reale filone conduttore che unisce ogni elemento è invece molto serio, ed inequivocabilmente introspettivo. La capacità degli autori di passare repentinamente da situazioni grottescamente comiche (ed infantili, poiché la componente bambinesca è marcata e splendida!), a momenti di matura riflessione è notevole; tuttavia, capita che queste gag possano risultare ripetitive soprattutto nella prima metà dell’anime, facendo perdere di tensione e spessore determinati frangenti che avrebbero potuto essere valorizzati in modo differente, senza (fortunatamente) intaccare eccessivamente la qualità dell’opera.
Presto, la struttura narrativa si incanala verso una direzione ben precisa, sfruttando un ritmo piacevole, cadenzato ed espressamente estivo, fra notti stellate, cicale stridenti, pesce arrosto attorno ad un falò, festival affascinanti e immancabili fuochi d’artificio. Lo slice of life matura crescendo di episodio in episodio, proponendosi allo spettatore come un dolce pendio in lenta e salita, verso nuove esperienze quotidiane nella calda estate isolana in cui Handa è stato catapultato, e, al tempo stesso, piacevolmente “esiliato”.
IsolaNo di fatto e isolaTo da problemi, estraniato dal caos cittadino e lontano dai soffocanti ritmi della vita lavorativa comincia a focalizzarsi su tali esperienze, circondato dal gruppetto di bambini, ragazzini e adolescenti che gli stravolgono casa, vita e pensieri, amalgamandosi e stringendo amicizia con lui, giorno dopo giorno, senza nemmeno che Handa se ne renda conto. Amici, merce rara e preziosa, e potremmo anche dire unica, quando si rivelano veri.
Si crea così un legame che mai, il protagonista, avrebbe immaginato di poter sperimentare. Dolente o nolente, il sensei si troverà ad affrontare situazioni nuove, difficoltà mai affrontate che potrà risolvere soprattutto con le proprie forze, talvolta aiutato e supportato dai suoi nuovi amici e dall’altruismo degli abitanti del villaggio - che ben presto lo cominceranno a trattare come vero e proprio ospite d’onore dell’isola. Con tali premesse e scenari, l’anime si avvia così verso una conclusione toccante, attraverso il più classico dei festival estivi, con gli occhi e i cuori al cielo, mentre le stelle vengono oscurate dagli hana-bi (fuochi d’artificio), in una scena profondissima e nel contempo rilassante, apripista ad un intenso epilogo, inaspettatamente commovente: amici, ricordi familiari e difficoltà relazionali, genitori e crescita interiore… gli ingredienti ci sono tutti.

«Barakamon» è una piccola lezione di vita, narrataci forse con troppa leggerezza, ma il messaggio ci arriva eccome. Il giovane ed irruento protagonista impara via via nuove lezioni di vita, talvolta traendole da situazioni assurde, paradossali e anche ilari, ma anche ansiogene e decisamente stressanti, scoprendo che sono proprio le difficoltà quotidiane a forgiare la sicurezza interiore che metterà le radici nella sua testa - nel modo più deciso e genuino.
Così, fra un litigio con Naru, una lezione di calligrafia impartita a due giovani liceali e alle prese con situazioni sempre più stravaganti legate al sindaco locale, Handa scoprirà che la ricerca della felicità non è un vagabondare affannato mentre ci si osserva intorno ossessionati dal successo, dai soldi, dalla vittoria o dal prestigio, tutt’altro: per quanto la gente che ci circonda (e riteniamo importante) riversi su di noi le proprie aspettative e i propri desideri, non possiamo impiegare costantemente le nostre forze per accontentare e soddisfare tali richieste, altrimenti non potremo mai dedicarci a noi stessi. Suona egoistico, ma è tremendamente sano ed è l’unica chiave per cominciare a cercare la felicità, che passa senza dubbio dalle porte della serenità: chi ci ama davvero saprà comprendere che la nostra felicità viene prima di ogni risultato, e che un fallimento o un successo, nel corso della nostra esistenza, non possono definirci né condizionarci in assoluto; sono semplicemente lezioni da cui trarre gli insegnamenti più preziosi.

Sì, può bruciare.
Sì, può far male.
Ma non come la paura ci fa credere.

Ciò che intraprendiamo dovremmo farlo prima di tutto per appagare noi stessi e se questo viene apprezzato da chi ci sta accanto, tanto meglio: è sicuramente più sano cercare di migliorarsi per far contenti (anche) noi stessi, che cercare la costante approvazione di chi reputiamo importante come specchio delle nostre soddisfazioni.
«Barakamon» possiede un finale toccante, dolcissimo, velato di malinconia, con un colpo di scena che chiude il cerchio dell’amicizia la cui traccia è cominciata il giorno stesso in cui Handa è giunto sull’isola: l’ispirazione per le sue opere finali arriva grazie ad esperienze vissute, all’immaginazione e all’applicazione del talento innato.
La gente dell’isola lo avrà davvero cambiato? E come?

Si può tranquillamente asserire che la vera bellezza di questa serie risiede nella morale, semplice quanto importante: fin quando cercheremo di essere ciò che gli altri vogliono, invece di essere chi desideriamo davvero, non troveremo mai la vera serenità.
L’estate di Seishu Handa si può così definire quindi un vero e proprio viaggio di formazione, più verso la maturità intellettuale e spirituale che semplicemente professionale, ed egli stesso, alla fine, comprenderà molto bene e molto a fondo cosa gli preme e cosa è davvero importante, sopra ogni cosa, sopra ogni effetto materiale.
Catartico, semplice, genuino: uno di quegli spaccati di vita piacevoli e di puro intrattenimento.
Dove finisce un viaggio, ne comincia un altro. Dove termina un’esperienza, ne inizia un’altra.
Non è questa, la vita?