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Ma esattamente, che genere di città sarà Cremona?
Arduo quesito per un adolescente Giapponese di metà anni ’90, senza dubbio.
In realtà la risposta è ben più articolata e complessa; guardiamo quindi questo lungometraggio nella sua sottile interezza, e sorridiamo con genuina sincerità: Hiiragi e Miyazaki sensei affondano delicatamente le mani nel cilindro delle fiabe e ne estraggono una storia di dolce spessore, nostalgia adolescenziale e di inevitabili, turbolenti, romantici sospiri.

Fondali a tinte decise, luci confuse di metropoli che riempiono uno sfondo sempre in movimento e piacevolmente sconnesso, il tutto collegato a una colonna sonora ondeggiante, trascinante e ricca di emotività: la somma degli addendi accompagna lo spettatore all’interno di un lavoro prettamente “nineties”, un vero concentrato dal sapore retrò di pregiata qualità artistica, che all’occhio non sfigura - anche se confrontato alle creative dinamiche dei lungometraggi attuali.
Ne “I sospiri del mio cuore” si respira la perfetta, quadratissima magia di un’estate giapponese del (circa?) 1995, una freschezza ancora attuale, una naturalezza e una fluidità d’animazione che al tempo furono semplicemente portentose, ingredienti d’un amalgama accattivante e rapente. Come poc’anzi sottolineato, il mix di sonorità che accompagnano le scene, fra cui il cult country di “Country Road” di John Denver reinventato per l’occasione, le orchestrali e gli eleganti sottofondi di pianoforte ci comunicano una spontanea spensieratezza intrisa di quella magica estate, stagione leggiadra, scintillante e ricca di sogni, declinazioni respirate in altri prodotti divenuti poi iconici come “Kimagure Orange Road” e similari.
V’è una cura artistica dei dettagli eccezionale, dalle suppellettili negli angoli delle stanze alle prospettive tagliate, ai grandangoli o alle vetture che sfrecciano lungo le strade dei fondali.

Ed è proprio nella caotica periferia di Tokyo di metà anni novanta che inizia la nostra storia, protagonista una ragazzina di nome Shizuku, adoratrice - e divoratrice - di libri, amante della letteratura e sognatrice: il suo desiderio più grande, infatti, sarebbe divenire scrittrice ella stessa. Nella claustrofobica struttura alveare degli appartamentini fuori mano di una Tokyo che ormai appartiene a caotici ricordi urbani, Shizuku vive con la madre e il padre, oltre a una sorella sempre più indipendente e prossima a costruirsi una vita lontano da loro. Le calde giornate estive si susseguono monotone, ma la vita di un’adolescente è in continua scoperta ed evoluzione, e ogni opprimente sensazione di queste gravanti strutture viene mitigata dalla leggerezza di tali gesti quotidiani, gesti familiari come tanti, gesti banali, semplici eppure unici, animati e confezionati allo spettatore con grazia e realismo. Ogni particolare fa la differenza: le abitudini dei genitori, il telefono che squilla, i poster che colmano gli spazi in camera, il letto a castello, i cavi e i piloni dell’alta tensione, le fronde degli alberi attraversati dai caldi raggi del sole, il frinire delle immancabili cicale nipponiche, le strade piene di auto dal design squadrato e di fine millennio, le mattonelle all’ombra e le lunghe scalinate che s’inerpicano per i pendii accanto a interminabili marciapiedi. Le ombre della sera, i vestiti corti, le cosce scoperte, le fronti sudate e i sorrisi imbarazzati: il quadro iniziale è nostalgico, vivido, un affresco che Studio Ghibli ci propone con amore e naturalezza, dotato di un ritmo lento, forse (in certe fasi) troppo lento, ma che scandisce la vicenda in maniera più che discreta: l’epoca d’oro, potremmo dire, del favoloso e amatissimo studio d’animazione giapponese.

Sullo sfondo di una emancipazione femminile in ascesa seppur con evidenti impedimenti e difficoltà di sorta - ma con tantissima, fremente voglia di emergere e di far proprio il mondo -, veniamo abbracciati da una quotidianità scontata e piacevole. Nella biblioteca dove lavora il padre, Shizuku è solita noleggiare una gran quantità di libri, fin quando nota che nella tessera di ogni libro noleggiato - la cedolina che notifica i precedenti possessori del libro -, è costantemente presente il nome di una persona, qualcuno che praticamente ha noleggiato tutti quei libri prima di lei (!): un certo Seiji Amasawa.
Chi è? Esiste qualcun altro capace di leggere una mole di volumi simile? Sarà... una persona interessante?
La fantasia di una quattordicenne è fervida e galoppante, e lo è ancor di più la fantasia di una accanita lettrice, capace di immaginare mondi e avventure senza confini.

Diciamolo onestamente: “I sospiri del mio cuore” non racconta molto, ma quel poco che ci viene detto è narrato in maniera sublime, filtrato dalla poetica luce di sogni andati e fantasie adolescenziali di una preziosità insostituibile.
Ricco di scene divenute in seguito icone animate o cavalli di battaglia made-in-Ghibli, spicca il simpatico, grassissimo gatto dai molteplici nomi capace di prendere la metro e girare la metropoli in solitaria, seduto comodamente su di uno dei sedili del convoglio come se fosse un pendolare qualsiasi. Sarà proprio il bel gattone a condurre Shizuku in cima a una collina in periferia, presso un negozio d’antiquariato unico, un luogo quasi magico da dove la storia prenderà una piega ben più intensa (menzione inevitabile per l’orologio a pendolo che dedica un cameo al mitico “Porco Rosso”, divertente e nostalgica autocitazione).
Sorridiamo e ci emozioniamo, in questa dolce e sensibile avventura adolescenziale, ma senza mai esserne travolti, e in certi momenti ci si chiede se sia un bene o una mancanza.
L’intreccio dei primi amori, gli equivoci, gli imbarazzi e le incomprensioni, i batticuori raccontati con disarmante naturalezza, la dolcezza delle musiche d’atmosfera calibrate sulle inimitabili note degli Anni Novanta trascinano lo spettatore verso una sensazione di piacere anestetizzante, quasi rasserenante. La prima parte del film è quella più lenta, costellata di micro-eventi che ci preparano alla seconda metà, ben più gioiosa e coinvolgente, anche se, nella sua interezza, la vicenda non sfoggia mai picchi di tensione o colpi di scena inaspettati: in fondo, “I sospiri del mio cuore” non ne ha né bisogno né cerca di sorprenderci tramite tali espedienti.
A conti fatti si tratta di un racconto nel racconto, uno spaccato di vita quotidiana di un’estate di trent’anni fa, dove due ragazzi si confrontano a vari livelli, dai sentimenti ai sogni per il futuro prossimo e remoto, fra desideri, paure e insicurezze, imposizioni familiari e difficoltà sociali. Lo scoprire la durezza - e la bellezza - di un mondo cinico ma ricco di meraviglie, le difficoltà di farsi strada nel mondo degli adulti, il saper decidere che strada prendere contrapposto all’insicurezza di un futuro incerto: un affresco banale eppure intensissimo, dipinto coi colori della fantasia che solo una ragazzina con un amore smisurato per la letteratura può vedere e tentare di raccontarci.

“I sospiri del mio cuore” ha un epilogo dolce, ottimista, quasi sospeso fra presente e futuro, veicolo di positività per i buoni propositi in vista di impegni futuri: una visione forse troppo semplicistica ma potente a livello emotivo, capace di curarci il cuore e che ci ricorda come, da ragazzini, il mondo ci sembrava meno terribile, meno amaro e meno spietato; sicuramente spaventoso e misterioso, ma pieno di possibilità e di scoperte da fare. La paura non mancava, ma nemmeno il desiderio di percorrere la strada davanti a noi.
Due ore scarse d’intrattenimento che rasserenano l’anima. Forse non ci faranno rimanere a bocca aperta, ma lo spirito ne sarà lenito. Con gentilezza.

P.S. Ah, giusto, Cremona. Cremona, sì, potrebbe davvero essere una meta fondamentale per la carriera di un liutaio. Perché? Godetevi “I sospiri del mio cuore”, e capirete.