logo GamerClick.it

-

“Il mondo è pieno di bestie spaventose, piccola mia...”, disse chiaro e tondo l’anziana signora, nonna premurosa, forse troppo, di una ragazzina piena di sogni, frustrazioni e difficoltà.
“...eppure, c’è del buono, là fuori, padron Frodo, e vale la pena lottare per esso!”, esternò a cuore aperto il fiero e coraggioso Samvise Gamgee, in uno dei momenti più toccanti de “Il Signore degli Anelli”.
Sembrano due cose che non hanno niente a che fare l’una con l’altra, invece un legame, per giunta profondo, ce l’hanno eccome: sono i due lati di quella medaglia chiamata Esistenza. Entrambi modi di vedere il mondo, leggere la quotidianità, passarci attraverso, capirne la realtà, chi ci circonda, ciò che ci accade.
Ma si sa, lottare costa fatica, spesso più mentale che fisica, e allenare la mente è ben differente dall’allenare il corpo.

Ordunque, eccoci qui: colonna sonora frizzante, variegata, ricca di motivi rapidi, altisonanti e orchestrati, ma costellata anche da note cupe, lente, grigie, compassate. Ad ogni attimo viene donata la traccia sonora adeguata, gran punto a favore dell’opera.
Parimenti, colpisce subito un comparto grafico stellare: animazioni fluide, colori brillanti - quasi abbaglianti nella loro fulgida bellezza - e una cura maniacale nei dettagli sono il tecnico biglietto da visita degli autori di “Josée, la tigre e i pesci”.
Immersi da subito in questi elementi dalla grande squisitezza artistica, note pacate, sottili e inizialmente delicate sostengono l’incipit passo passo, accompagnando animazioni accattivanti dal design fra il minimale e il moderno, forti di una spigolosa, adescante fluidità. Notiamo di rado l’utilizzo della CG, prevalentemente impegnata per animare mezzi meccanici o elementi mobili dei fondali, perfettamente integrati con l’ambiente: insomma, una delizia per gli occhi e per le orecchie, capace di incorniciare adeguatamente la complicata storia urbana e adolescenziale - a cavallo fra sogni di un futuro incerto e difficoltà legate al presente - che andremo a principiare.

In una calda estate fra strade di periferia ricche di silenzi, vicoli assolati e cicale sommesse, mentre sullo sfondo si staglia l’incessante, roboante caos della metropoli che mai assapora tregue, si dipana la storia di due giovani ragazzi: Tsuneo, universitario squattrinato in cerca di lavori e nuove esperienze, e “Josée” Kumiko, fanciulla disabile costretta sin dalla nascita sulla sedia a rotelle. Spaventata dal mondo fuori dalle mura domestiche a causa di una nonna troppo protettiva che da anni si prende cura di lei, Kumiko vede “tigri” ovunque: persone scortesi, aggressive, amalgamate a quella metropoli che le è stato insegnato essere troppo pericolosa, esasperata, incapace di accettarla; tigri più d’animo che d’aspetto, insopportabilmente normodotate, capaci di muoversi sulle proprie gambe, pronte a discriminare, puntare il dito, o peggio ancora sfoggiare falsi sorrisi di cortesia pronti a tramutarsi in penosa compassione, stoccate capaci di ferire più di qualsiasi offesa.
Iniziare la visione di quest’anime ci prepara inevitabilmente ad andare incontro a un tema molto toccante e complesso come quello della disabilità quotidiana. Kumiko, nonostante voglia mostrarsi forte e pronta ad affrontare ogni genere di periglio, si sente insicura e spaventata da ciò che potrebbe decidere di sfidare ma non fronteggia mai, tenuta in bambagia sotto l’iperprotettiva campana della nonna, tuttavia inevitabilmente scalpitante, ricca di una fantasia sfrenata e di un tocco artistico invidiabile, che sfocia (sfoga) in numerosi disegni e illustrazioni: adora il mare, gli animali acquatici e tutto ciò che ha a che fare con l’oceano. Sogna avventure impossibili, come andare a visitare le profondità del Pacifico tramite curiosi viaggi onirici, o di nuotare fianco a fianco con delfini, balene e meduse, tutto questo proiettato nella sua testa dall’immensa fantasia che possiede, chiusa nella piccola stanzetta di casa, al piano terra.
Come spesso accade in questi casi, in chi soffre così tanto e si tiene dentro tutto, o in chi è spaventato ma crede che mostrare le proprie debolezze possa annientarlo totalmente, si crea una sorta di “comfort zone” per tenere ogni cosa sotto controllo, finendo per “indossare” una corazza d’apparente sicurezza rinforzata da modi bruschi e severi, spigolosità caratteriali che si suppone siano necessarie per sopravvivere nella giungla delle tigri, alias lo “spaventoso” mondo esterno. Come ricci spaventati, irti fuori, vulnerabili dentro, ci si chiude a palla, tenendo lontano ogni elemento che possa ferire le proprie intimità.
Per un (buffo) motivo fortuito, Kumiko farà presto conoscenza con Tsuneo: il ragazzo, sempre in cerca di denaro per finanziare il proprio futuro, si ritroverà a lavorare proprio a casa della ragazza, per prendersi cura di lei - sotto espressa richiesta della nonna.
Ecco le prime complicanze: lei si fa chiamare Josée, proprio come la protagonista di un libro che adora, e di lui non vuole proprio saperne. Il loro primo incontro, complice anche l’autodifensiva reticenza della ragazza (e innescato da una gag tanto banale quanto classica), non spingerà Kumiko a stringere subito amicizia, ma ella comincerà ad avvicinarglisi non appena scoprirà che Tsuneo possiede una sconfinata passione per le escursioni subacquee: osservare le meraviglie marine da così vicino, cosa può esserci di più bello? Sembra destino: galeotto, sarà il mare a far scoccare la prima scintilla d’interesse fra i due. La passione per gli oceani sterminati, per i pesci più rari e colorati, i luoghi esotici e misteriosi... tale inevitabile fascino attrarrà la titubante ragazza, facendo (in parte) cadere i muri di reticenza e diffidenza che da sempre erige verso il prossimo.

Lo studio psicologico dei protagonisti è davvero curato: la loro evoluzione caratteriale avviene in maniera naturale, spontanea, per nulla forzata, è un vero piacere seguire la vicenda che, soprattutto nella parte centrale, scivola via come un’onda sospinta da brezza mattutina, fra vicende di cuore, lavoro e speranze per il futuro, alti e bassi, sogni e paure, sfiorando il cuore dello spettatore delicatamente ma insistentemente: una vera e propria poesia in movimento.
La composizione di colori, in combinazione con la colonna sonora e i vari momenti narrati sapientemente all’interno dell’opera, donano frangenti di intimità davvero commoventi: una fragile, vibrante storia sentimentale che cresce lentamente fra righe d’insicurezza e voglia di afferrare il futuro a piene mani, dolci attimi di gelosia e continue scoperte di sé stessi e di ciò che li circonda. Gli ingredienti ci sono tutti, e vengono adoprati sapientemente. Così scopriremo che la nonna iperprotettiva e troppo coriacea in realtà nasconde - come tutti - determinate e plausibili motivazioni, e che Tsuneo comprenderà molto più a fondo e a sue spese la vera sofferenza che Kumiko affronta silenziosamente ogni giorno, un espediente narrativo che farà da cardine a tutta la vicenda, e che cambierà le carte in tavola senza preavviso.

“Josée, la tigre e i pesci”, come spiegato poc’anzi, possiede un’evoluzione dei personaggi eccezionale, realistica, meravigliosamente intensa, emotivamente potente e molto plausibile, nonostante alcune circostanze tendano ad essere idealizzate per trarne un quadretto piacevole e leggero, con il sospetto che nella vita reale situazioni analoghe possano invece sortire difficoltà di non poco conto, probabilmente più aspre e dolorose.
Kumiko si troverà quindi “costretta” ad affrontare i suoi demoni - pardon, tigri, ancora una volta, metaforicamente, e, buffo a dirsi, addirittura fisicamente, quantomeno a distanza. I pesci invece saranno compagni di sogni, desideri impossibili, fantasie messe su carta che la condurranno lungo un cammino difficile ma ricco di prospettive interessanti.

Per quanto l’intera vicenda sia stata pensata e costruita con grande abilità, la sezione centrale rimane senza dubbio quella più intensa, realistica e vivida, capace di far immedesimare al massimo lo spettatore, che con un minimo di empatia può riuscire a percepire il groviglio di combattute emozioni in cui i protagonisti continuano a districarsi.
Assurdo a dirsi, ma la parte forse meno incisiva risulta proprio il finale: dolce, aperto, tranquillo, pertinente e, diciamo, “giusto”, ma privo di quel mordente e di quelle emozioni che, probabilmente, lo spettatore potrebbe attendersi, al termine di un percorso narrativo di enorme qualità tecnica.
Rimane tuttavia un’impronta indelebile, una stretta al cuore e una lacrima che va asciugata con gentilezza, perché a questo mondo esistono certe cose che, nella loro dolorosa complessità e sofferenza, non possono essere giudicate ma soltanto comprese, osservate e accettate.

Diamine, là fuori sarà anche pieno di bestie spaventose, ma presto o tardi la tigre deve essere affrontata, se si vuole vedere il mare.