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7.5/10
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Antesignano, ispirato e ispiratore, “Siamo in 11!” si rivela un ottimo lungometraggio dal tipico gusto che oggi potremmo definire “vintage” (o di stampo “eighties”, che dir si voglia).
Nella sua ingenua e oramai preistorica fantascienza che permette di calarci in un’atmosfera cyber-quasi-punk da metà anni ottanta, l’incipit dell’opera fa quasi sorridere per quanto scientificamente approssimativo e fantasioso, tuttavia capace di gettare semplici e chiare basi sulle quali verrà costruita l’intera vicenda: l’umanità - fra svariati secoli - scoprirà il viaggio interstellare a spostamento warp, permettendosi così di coprire distanze siderali in tempi surreali per la scienza odierna. Tale conquista darà la possibilità di colonizzare lontanissimi pianeti umanamente abitabili, entrando in conflitto con alcune razze aliene (Sava e Seguru), e, nel contempo, colonizzare luoghi dalle più disparate caratteristiche geologiche. Non mancheranno inevitabili e sanguinose guerre per la conquista dei territori, alle quali succederanno periodi di pace e prosperità: in uno di questi, e in seguito a chiare necessità politiche, verrà fondata una rinomata e prestigiosa accademia dove i frequentanti riceveranno un’istruzione di altissimo livello, in modo da poter aspirare ad essere i capi del futuro, auspicando un panorama prossimo di pace, collaborazione e saggezza. L’obbiettivo dell’accademia, appunto, sarà quello di forgiare nuove menti che si dovranno occupare dei delicati equilibri fra razze, popoli dei vari pianeti e relative associazioni/corporazioni.
Insomma, come appena descritto, non una vera e propria “intro” sci-fi, ma qualcosa di piuttosto simile, artisticamente molto curato e dettagliato per l’epoca, un livello artistico invidiabile, rievocante lavori come il celebre lungometraggio dedicato ai “Transformers” che concludeva la leggendaria “G1”, o altri pregevoli tecnicismi come gli scorci meccanici e futuristici dei vari “Patlabor” e “Gundam” nei loro periodi d’oro.

Ebbene, tutto inizia in questa fantomatica e agognata accademia: sono ammessi non solo terrestri, ma anche saviani, segurunensi (?) e ogni genere di individuo proveniente da qualsivoglia pianeta, non ci sono distinzioni.
L’esame finale si tiene fra i settecento invitati, che gli esaminatori dividono in gruppi eterogenei da dieci individui ciascuno. La trama segue le vicende di Tada, orfano proveniente da molto lontano, intento a guadagnarsi un posto di rilievo nell’accademia. Il suo gruppo di dieci candidati dovrà perciò sostenere un particolare esame finale all’interno di una stazione spaziale lontana da tutto, ormai abbandonata nello spazio siderale: con lui ci saranno altri nove elementi provenienti da ogni angolo della galassia, e già qui, come impostazione, il sentore dei celebri “Dieci piccoli indiani” comincia a farsi sentire in modo tutt’altro che vago. L’imprevisto - chiaro, ovvio - è che, una volta giunti sulla stazione spaziale in rovina, i candidati scopriranno di essere inspiegabilmente in undici, invece che, come da programma, in dieci!
Chi è l’intruso? Perché sono in undici? Come è possibile che nessuno se ne sia accorto? Prima di togliersi i caschi e di dismettere le tute spaziali (tutte identiche), nessuno poteva distinguere nessun altro e, com’è ovvio che fosse, nessuno di loro conosceva gli altri candidati in gioco. Quindi?

Se le prime vibrazioni suggeriscono un qualcosa d’ispirato ad Agatha Christie, ben presto ci si accorge che l’opera divaga su ben altri e più spinosi temi che il semplice mystery-thriller. Il gruppo è variegato oltre ogni dire: oltre a Tada troviamo il re di un lontano pianeta, alto, bello, algido e pragmatico; fra i rimanenti non possono mancare l’energumeno dal cuore apparentemente docile e gentile, il calvo nerboruto dalle braccia possenti proveniente da un pianeta satellite, e, chi fra tutti più incuriosisce, colui che appare come un ragazzo dagli evidenti tratti femminei e delicati, lunghi capelli biondi e la voce bianca da fanciulla adolescente. Eppure sono solo maschi, su questa stazione sperduta.
Cosa accade davvero?
Beh, non c’è tempo da perdere; leste, giungono le istruzioni da parte dell’esaminatore: questa è la prova finale. Se uno soltanto di loro si ritirerà o per qualsiasi ragione si troverà impossibilitato a terminare la prova, allora quest’ultima fallirà per tutti e dieci (undici) i partecipanti, bocciandoli in massa. Un vero e proprio disastro che potrà essere evitato solo dandosi man forte a vicenda!
Da subito si crea un clima di misteriosa tensione che tiene lo spettatore incollato allo schermo, complice anche una colonna sonora che rimarca le ben più classiche atmosfere in perfetto stile anni ottanta, note fra il malinconico e l’onirico - un delicato ma insistente pianoforte, una variegata orchestra e note di sax imperiture forti del proprio decennio d’oro; ergo, una soundtrack che plasma lo scorrere del film attraverso una metodica attendista, gelida e carica di pathos, donando grande fascino e spessore.

Con tali premesse ci si aspetterebbe un vero e proprio giallo futuristico-spaziale, ed è qui che gli autori spiazzano tutti: ben presto la trama andrà a virare verso un intreccio dai temi più profondi e inaspettati, focalizzando l’attenzione su una vicenda sia d’accettazione che d’amore vero e proprio, capace di farci riflettere sull’importanza dell’esistenza di ogni essere vivente che popola la galassia, un viaggio interiore atto ad affrontare e magari abbattere le barriere mentali che non ci permettono di comprendere appieno il prossimo, soprattutto se si rivela troppo diverso da noi.
Fra enigmi da risolvere, bombe pronte ad esplodere all’improvviso, serate passate con una chitarra sotto la luce delle stelle e affascinanti racconti da realtà completamente differenti, gli undici sconosciuti impereranno a conoscersi, proveranno a capirsi e tenteranno di collaborare in nome di una vittoria comune... ma non mancheranno accuse, una caccia all’undicesimo intruso sempre più esasperata e colpi di scena inaspettati. Ogni elemento è posto sul palcoscenico sapientemente, fino ad un epilogo dove l’intruso sarà svelato - scoperta che passerà in secondo piano, di fronte ai temi sopracitati ben più importanti e riflessivi.
L’idea di mescolare due filoni davvero eterogenei e portarli avanti parallelamente sembra essere riuscita abbastanza egregiamente, e, sebbene alcuni passaggi risultino poco chiari, frettolosi e mal collegati, nel computo totale il lungometraggio risulta solido e di piacevole visione, con un finale forse prevedibile ma dolcissimo.

Correva l’anno 1986, abbattere pregiudizi e stereotipi di genere non era certo missione facile - anzi! -, ma il coraggio, il messaggio e il desiderio di chi ha animato quest’opera sono giunti fin qui intatti.
“Siamo in 11!” è un modo emozionante, avventuroso e spericolato - aggiungerei sperimentale - di veicolare un messaggio sano e positivo: anche nelle grandi difficoltà della vita o nei momenti più bui, con il giusto spirito possiamo trovare del bello e di conseguenza trovare anche la felicità grazie a ciò che si ha; felicità forse fugace, forse momentanea, ma sempre e comunque gioia rimane. Sarà banale, forse fin troppo fiabesco ma innegabile: l’amore, quello vero, l’amore potente così come lo immaginiamo nei nostri sogni e così come davvero si manifesta quando è totalmente puro e sincero, si rivela più forte di ogni difficoltà e ostacolo, creando fra due persone un legame coeso alla ricerca, appunto, della felicità.
Un anime dalla visione forse utopistica e dal finale un po' troppo frettoloso, ma decisamente avanti nel tempo, avvincente e pieno di suspense, che mi sento di consigliare sia agli amanti del genere futuristico sia a chi è in cerca di una storia d’amore anticonvenzionale.
Ma, in fondo, quale storia d’amore non lo è? Ogni esperienza è unica e differente da tutte le altre, con sorprese, scoperte, gioie e dolori. E vale la pena di essere vissuta, che sia nello spazio siderale o sulla nostra Madre Terra.