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Attenzione: la recensione contiene spoiler!
Anche sul film "Seven"


“B: The Beginning” è un anime originale non tratto da manga o novel; è forse questo il principale aspetto che lo contraddistingue, nel senso di sua “croce e delizia”, per non essere ancorato o derivato da qualcosa di già esistente.

Nelle precedenti recensioni giustamente è stato definito un “mischione”… e io condivido questo giudizio: per essere meno “negativi”, lo definirei piuttosto un “patchwork” di idee non sempre originali, dove l’originalità sta nel mettere insieme due generi (il fantasy/soprannaturale con quello thriller/poliziesco/azione/psicologico/complotto/fantapolitica) a mio modesto avviso difficilmente conciliabili, anche perché il fantasy in questo anime sembra un po’ “avulso” sia dal contesto storico, sia dall’ambientazione dell’anime: a mero titolo di esempio, al termine della visione dei dodici episodi non ho ben compreso come l’uomo “normale” sia riuscito a riprodurre ed allevare questi esseri misteriosi dotati di poteri soprannaturali, rifugiandosi in “spiegazioni di comodo” quali, ad esempio, i “Market Makers”.

Sembra che i misteriosi esseri superdotati siano più il frutto della avidità e cattiveria umana che di una stirpe di esseri semidivini residenti sul nostro pianeta in un contesto di pura fantasia (ne scrivo dopo), rendendo l’elemento fantasy un po’ simile come logica ad un film e ad un’altra serie di Netlflix (Hannah), in cui i servizi segreti creavano e allevavano super soldati (attraverso l’utilizzo di sostanze speciali e la genetica) per compiere missioni impossibili e poi il “giochino” sfugge loro di mano e l’elemento migliore diventa una sorta di nemesi delle losche intenzioni (idea alla base anche della serie J. Bourne). Qui Koku (l’essere soprannaturale alato) e tutta la progenie di bambini soprannaturali sembrano un po’ dei super agenti speciali alla mercé del potere, ma in questa serie si capisce poco o nulla delle motivazioni in base alle quali operano. E allora: a cosa serviva l’elemento “soprannaturale”?

Passiamo al secondo filone, quello “thriller/poliziesco/azione/psicologico/complotto/fantapolitica”. Tra il precedente e questo l’anello di congiunzione è rappresentato da Keith Flick, soprannominato il “genio” per le sue straordinarie qualità investigative, ossia il solito ex poliziotto che ricompare all’improvviso, dopo anni dal caso dell’omicidio della sorella sul quale ha indagato senza successo. Tralasciando, per non spoilerare troppo, l’aspetto che lo lega per il suo passato agli esseri soprannaturali (e che tornerà utile a Koku per prendere consapevolezza sul suo passato), la trama si sviluppa sulle azioni criminali di una frangia di tali semidei per poi sfociare nel thriller psicologico finale ove la trama sembra assomigliare per come è costruita a “Seven”, il film di qualche annetto fa, in cui lo psicopatico di turno mette in piedi una serie di delitti (ispirandosi ai sette peccati capitali) per fare in modo che il poliziotto prescelto per il suo disegno lo uccida, realizzando pertanto il suo delirante disegno. E non si può negare che tale impostazione assomiglia molto, soprattutto negli episodi finali, alla “sfida” tra Keith e il suo vecchio amico Gilbert.

E così, mentre Koku, e la parte di trama sul soprannaturale, continua la sua missione per ritrovare e salvare la “amata” Yuma, nel filone thriller/poliziesco c’è la parte più avvincente della storia con il finale anche un po’ lirico in cui Gilbert sperava nel profondo del suo ego di essere fermato proprio dall’unica persona di cui nutriva una profonda stima, amicizia e rispetto, ossia Keith... e il tutto per dimostrare a Keith in una sorta di diatriba filosofica e psicologica che in caso di estrema necessità uccidere è l’unica soluzione per il bene.

Quest’ultima parte della serie è ovviamente quella che ho potuto apprezzare di più e riconosco che la scopiazzatura/adattamento da “Seven” è comunque ben riuscita: il momento in cui Keith si decide ad uccidere Gilbert è a mio avviso descritta, resa e animata molto bene soprattutto per le implicazioni umane e filosofiche: Keith vince per aver salvato una vita umana e Gilbert vince (morendo) per dimostrare la sua teoria sull’amico e unica persona che riteneva a lui pari per intelligenza (paradigmatica l’affermazione di Keith sul loro “insano” rapporto di amicizia: “Gilbert costruisce enigmi indecifrabili cui solo Keith riesce a trovare la soluzione”).

L’ambientazione della trama è coerente con il genere “melting pot” cui si ispira la storia: il regno di Cremona. Un’ambientazione fantasy in una città di mare, con il Torrazzo (simbolo di Cremona), un laboratorio di liuteria (altra specialità di Cremona), negozi con l’insegna “panetteria” con il nome seguente in giapponese che vendono panini ripieni alla crema di fagioli e le zeppole di san Giuseppe (che per quanto ne so è un dolce tipico di Napoli e dintorni). In questa città le auto che girano sono un mix di anni 50-60 (Mini e Isetta, utilizzate da una delle protagoniste: Lily) e modernità (Land Rover, utilizzata dalla polizia). Il tutto senza molto senso, visto che le tecnologie rappresentate nell’anime sono del tutto coerenti con quelle attuali (computer, smartphone, ecc.).

I personaggi sono tanti e, mentre quelli soprannaturali sono poco caratterizzati ed approfonditi (anche Koku è un po’ deludente), quelli umani normali sono più intriganti, soprattutto Keith, Gilbert, Lily e il capo della squadra RIS.

Tutto sommato un anime che per quanto mi riguarda merita di essere visto per la parte poliziesca e thriller piuttosto che per quella fantasy/soprannaturale... Ma credo che con questo prodotto gli autori volessero strizzare l’occhio a più “mercati” rendendolo ibrido senza particolari eccellenze e originalità.

Il giudizio va di conseguenza: positivo per la parte che ho apprezzato di più e non lusinghiero per quella di minor interesse.