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7.0/10
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Must indiscusso di tutti gli adolescenti nati e cresciuti nel periodo a cavallo tra gli anni ’80-’90, “Mila e Shiro: due cuori nella pallavolo”, con la celebre opening cantata dall’iconica Cristina d’Avena, riuscì nell’intento di avvicinare milioni di ragazzi e ragazze, soprattutto italiane, allo splendido gioco della pallavolo. Anche conosciuto come “Attacker You!” nel resto del mondo, l’anime è stato d’ispirazione per moltissimi spokon venuti dopo, da “Slam Dunk” ad “Haikyuu!!”, ed è da molti considerato un cult senza tempo, da guardare assolutamente se si vuole approcciare all’animazione giapponese di quegli anni.

La trama segue le vicende di Mila Hazuki, una ragazza che, dopo un'infanzia passata con i nonni in campagna e per questo cresciuta selvaggiamente, si trasferisce a Tokyo da suo padre Toshiko, un fotografo ritornato in Giappone dopo molti anni all'estero, per frequentare la scuola media. Qui scopre tante cose del suo passato, legate in special modo alla madre, e di sé stessa. In modo del tutto fortuito, potremmo dire quasi per caso, Mila scopre di possedere delle grandi doti atletiche e di amare la pallavolo. Entra così nell’Hikawa, la squadra della sua scuola e, grazie ad un talento naturale e al duro allenamento, diventa in breve tempo una campionessa, attirando sempre più fan, tra cui il suo fratellino adottivo Sunny. La pallavolo le dà, inoltre, la possibilità di conoscere Shiro Tachiki, un ragazzo che frequenta la sua stessa scuola, di cui presto si innamora, in quanto accomunati dalla stessa fervida passione: la pallavolo. Riusciranno, dunque, un ragazzo e una ragazza nel pieno dell’adolescenza a far coincidere l’amore e la pallavolo, oppure saranno costretti ad una scelta che escluda una delle due cose?

Centro focale dell’anime è la sua protagonista, Mila Hazuki, tanto da poter parlare di un “one girl show”. I riflettori sono tutti puntati su di lei, sulla sua crescita come persona, ma ancor più come giocatrice di pallavolo. Mila è un diamante grezzo che deve solo essere lavorato. Dunque, come in ogni spokon che si rispetti, e questo mi ha molto ricordato “Slam Dunk”, si parte dalle basi e dall’apprendimento dei concetti fondamentali della pallavolo, utili anche e soprattutto allo spettatore. Seguono le prime partite, un alternarsi di vittorie e sconfitte, durante le quali comincia a sbocciare il talento della ragazza. Nonostante la loro importanza, le partite occupano, soprattutto all’inizio, i minuti finali delle puntate, lì dove nella trasposizione animata del capolavoro di Inoue, ogni episodio racchiudeva in sé le azioni di un solo minuto di partita. Da questo punto di vista, l’anime non risulta estenuante e le puntate scorrono lisce come l’olio. Molta più attenzione si dà, invece, a ciò che gravita attorno ad un match, alla sua preparazione e ai dilemmi adolescenziali di Mila. E qui, interviene il primo problema dell’opera, legato solamente alla sua versione italiana. Mila, almeno all’inizio, non fa altro che pensare a Shiro, notte e giorno, peccato che, escluse le prime puntate, il ragazzo non si veda quasi mai. Ecco che il titolo italiano, “Mila e Shiro: due cuori nella pallavolo” diventa fuorviante. Di amore si parla, ma in modo alquanto limitato. L’opera originale, cioè il manga, è classificato anche come shojo, ma presenta soprattutto le caratteristiche dello spokon. Lo sport e la pallavolo si prendono la scena, perché il vero sogno di Mila, non è quello di stare con Shiro, ma quello di vestire la maglia della nazionale giapponese di pallavolo e farà di tutto pur di realizzare questo sogno. Si metterà in gioco, subirà batoste, ma alla fine si rialzerà sempre. E questo ci porta al secondo grande dilemma dell’opera. Nonostante l’anime scorra bene, riuscendo a mantenere alta l’attenzione dello spettatore, gli autori seguono un copione fin troppo ripetitivo: allenamento in vista di una partita; comparsa di una rivale; giorno della partita e quindi scontro con la rivale; momento di crisi per Mila; Mila si riprende e trascina la sua squadra alla vittoria (non sempre, per fortuna); lo scontro agonistico fa nascere tra Mila e la sua rivale una nuova amicizia. Da questo punto di vista, invece si, l’anime è estenuante. Cinquantotto puntate quasi tutte uguali, alla lunga, sono dure da mandar giù.

Eppure, tutto questo viene oscurato da quello che è il vero problema della serie, su cui passare sopra sarebbe inaccettabile, perché io capisco gli anni ’80 e “l’arretratezza tecnologica”, almeno rispetto ai giorni nostri, ma un comparto tecnico brutto, o se preferite inadeguato, come quello visto in “Mila e Shiro”, fa sembrare bello quello di “Natsu e no Tobira”. Personaggi, spesso e volentieri anche la protagonista, disegnati male e che si confondono tra di loro. Fondali piatti. Un riciclo delle scene tale, da far venire il voltastomaco anche agli ecologisti e, nel complesso, un’animazione poco convincente, su cui bisognerebbe chiudere anche un eventuale terzo occhio. Insomma, non sarà questo il punto forte dell’opera, né tanto meno il suo aspetto più importante, ma di certo grava e non poco sul risultato finale della stessa. Le musiche, invece, si difendono bene, anche per la sola presenza, nella versione italiana, della canzone di Cristina D’Avena, che gode e continuerà a godere di fama imperitura.

In conclusione, se siete amanti delle belle animazioni potete anche decidere di guardare altro; se siete amanti della pallavolo, probabilmente, potreste trovare di meglio; se vi piacciono gli spokon, allora, potrei darvi mille consigli, ma mi limito ad uno: gli spokon, specialmente quelli usciti prima dell’inizio del terzo millennio, vanno letti e non visti; ma se siete amanti dell’animazione giapponese anni ’80, allora questa è un’opera che non dovete assolutamente perdervi.