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Mi accingo a commentare la seconda serie di "Classroom of the Elite" e, come temevo, devo confermare che "the song remains the same"... Al termine della visione, ormai mi sono fatto l'idea che l'unica parola che possa riassumere il mio pensiero sull'anime sia: "arido".
Premessa doverosa: so che sto per scrivere un'ovvietà, ma, per coloro che fossero interessati alla visione, meglio partire dalla prima serie risalente al 2017. La seconda, uscita nella primavera/estate di quest'anno, purtroppo conferma tutti i limiti della prima serie con qualche ulteriore peggioramento.

L'anime narra le "gesta" degli alunni di una scuola superiore (liceo XX) che avrebbe la presunzione di formare gli "eletti", ossia un gruppo di ragazzi che dovranno diventare e rappresentate la classe dirigente del futuro della nazione. Di per sé l'intento potrebbe essere buono, tuttavia non ravvedo gli stilemi di scuola di "élite": la scuola oltre alle lezioni "ordinarie" impone una serie di sfide, individuali o collettive, cui attribuisce dei punteggi che cumulati a livello di classe dovrebbero consentire al gruppo di migliorare il ranking, per poi vincere al termine dell'anno scolastico. Le sezioni del primo anno di questi "selezionatissimi" personaggi sono quattro: dalla A alla D.
Senza entrare troppo nel merito, per evitare spoiler, l'originalità delle sfide risiede nella loro "cervelloticità" e, soprattutto, che la scuola consenta agli alunni di utilizzare quasi ogni mezzo per vincere, favorendo intrallazzi, ricatti, trucchi, alleanze di comodo, ecc. ovvero tutto lo scibile dei sotterfugi ispirati all'ormai abusato principio machiavellico de "il fine giustifica i mezzi". Quindi si assiste in oltre venti episodi (tra le due serie) a situazioni al limite del grottesco, in cui i ragazzi (già alcuni di loro affetti da problemi psicologici pregressi e irrisolti) si sfidano senza esclusione di colpi a prevalere (o meglio prevaricare) sugli altri in una sorta di downward spiral, in cui danno sfoggio del peggio dell'animo umano soprattutto in termini di cattiveria, assenza di scrupoli e manipolazione delle menti più deboli.

Avendo visto un discreto numero di anime con ambientazione scolastica, mi sono ormai creato il convincimento che il sistema scolastico giapponese sia visto (e di conseguenza rappresentato) come lo strumento del "male", utilizzato dal "sistema" della società giapponese per formare soldatini in eterna competizione tra loro affinché diano sempre il loro massimo per il raggiungimento del bene comune: il progresso del sistema.
È inutile citare quanti manga e anime abbiano preso in considerazione il tema, illustrando i problemi e le conseguenze di tale impostazione. Sotto questo punto di vista, "Classroom of the Elite" sembra una esasperata metafora della negatività del sistema scolastico, di cui estremizza in maniera paradossale e assurda i difetti di impostazione. In un certo senso e fatte le debite proporzioni di trama, sembra assomigliare anche a "Kakegurui": in quest'ultimo si utilizzano (e male) il gioco d'azzardo e le scommesse, per dare sfogo alle umane passioni e psicosi, per rappresentare, sempre in un ambito "elitario", una scuola che, invece di fornire una formazione per i figli e figlie di papà, diventa una sorta di Gomorra dove i ragazzi si esercitano nella nobile arte del "dominare"... Se interpretassi la trama in tal senso, l'anime diventerebbe uno strumento di "denuncia"... Ma funzionerebbe solo se ci fosse almeno un personaggio che in qualche modo tenti di "sabotare" lo scopo della scuola. E il personaggio ci sarebbe. Un ragazzo dal nome piuttosto difficile sia da pronunciare sia da scrivere: Kiyotaka Ayanokōji.

In estrema sintesi, dagli episodi dell'anime si capisce in modo non del tutto chiaro che il soggetto è una sorta di "enfant prodige", un essere superiore capace di utilizzare le sue facoltà mentali e fisiche per eccellere nella scuola rispetto agli altri. Visto l'andazzo dell'istituto, il buon Kiyotaka si adegua immediatamente ai giochetti (credo per lui puerili... - anche per lo spettatore, ndr) che la scuola organizza per mettere in competizione gli alunni e si cimenta con estrema abilità a renderli a proprio favore, o meglio a favore della classe, in modo che possa prevalere sulle altre e guadagnare posizioni nella classifica. Tanto sarebbe superiore che cerca sempre di nascondersi e restare nell'anonimato, utilizzando come pedine, prestanome e test dummies i propri compagni, utilizzando sia una capacità di persuasione fuori dal comune sia mezzucci che contemplano anche "il ricatto" in senso lato, mascherato da forma di aiuto.
Insomma, un personaggino che, sia nella prima serie sia nella seconda, in due monologhi interiori manifesta il suo senso di superiorità senza troppi giri di parole. Alludo a un dialogo con Suzune Horikita in cui lei ammette la sua superiorità e lui tra sé e sé ammette che per lui le persone che lo circondano sono solo dei mezzi per i suoi fini e, nella seconda serie, al dialogo con Sato dopo l'appuntamento avuto con lei. Qui il dialogo è paradigmatico del personaggio e in senso lato della serie. Lei chiede se si era divertito, perché lui non sorride mai (vero, in tutto l'anime ha l'espressività di un artropode), e lui risponde di sì, ma che non è abituato a sorridere (tra sé e sé afferma che non è che non sia capace di sorridere, ma che Sato non ha nulla che lo faccia sorridere e lo renda felice...). Il carico da novanta arriva subito dopo la dichiarazione di Sato nei suoi confronti e alla sua risposta, che non giudico nei contenuti ma nei modi, che denotano solo il disprezzo nei confronti di coloro ai quali il soggetto non sia interessato. Posso solo concedere l'attenuante a Kiyotaka di tenere lontane le persone da lui per via di oscuri disegni e piani che ha in testa, ma su venticinque episodi lui e tutti gli altri personaggi (ad eccezione di una, Kei Karuizawa, che sembra più normale) sono francamente tutti permeati da un nichilismo e cinismo puerile oltre ogni limite, che non porta a una reazione da parte degli studenti a un sistema scolastico che sembra più una specie di "gabbia dorata".

Pertanto, dopo due serie, a me sembra che l'anime non funzioni: monotono, noioso, ripetitivo... quando non sa più dove andare a parare, tira pure fuori la "macelleria messicana" (violenza fine a sé stessa), in cui Kiyotaka e Ryūen discettano sulla filosofia della paura, e il primo sembra più un J. Bourne in salsa nippon...
Una farsa grottesca dove dopo venticinque episodi non c'è ancora un minimo di messaggio positivo, un barlume di speranza che qualcosa interrompa la negatività che permea tutta la storia, attirando lo spettatore verso il fondo della vacuità. E i personaggi sono delle semplici maschere dietro le quali si nascondono, per difendersi o per non manifestare il loro "vuoto".

Lato tecnico mi sembra che si confermi un prodotto piuttosto convenzionale senza particolari spunti degni di nota, opening ed ending nel classico genere di questo tipo di prodotti e nulla più.
In attesa della terza stagione (per chi volesse continuare nel supplizio), resto dell'idea che sia possibile capire il disegno finale solo leggendo novel/manga, ma credo che siano ancora in corso... e la curiosità resterà insoddisfatta.