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Ormai cinquant’anni fa, nel lontano 1972, quando si combatteva ancora la guerra del Vietnam, un autore dello spessore di Go Nagai, scrisse un manga che avrebbe cambiato per sempre il mondo fumettistico giapponese e mondiale. “Devilman” è un’opera che racconta delle paure di quel tempo, le incertezze e quella sensazione oppressiva di essere sempre sotto gli occhi attenti delle autorità e di chi ti sta intorno. In quello che è il suo capolavoro, Go Nagai esprime concetti che, a mezzo secolo di distanza, risultano attuali ancora oggi, perché sostanzialmente la razza umana non è cambiata, anzi sembra essere regredita e utilizza un tratto da fumettista vecchio stampo che, però, fa invidia a molti mangaka dei giorni nostri, alcuni dei quali hanno cercato di imitarlo senza successo. In tutta la sua crudezza e il suo realismo, “Devilman” è un’opera attuale, senza tempo, quasi fuori di esso, che gode e continuerà a godere di una certa longevità. Eppure, prima o poi, la modernità arriva a bussare, come un qualsiasi promoter della Folletto, anche alla porta di un capolavoro di tale fattura. Perché il vecchio, se fatto bene, piace, soprattutto ai giorni nostri, dove le persone sono alla costante ricerca del vintage, ma come dice Barney Stinson: “New is always better”. Ecco, dunque, che nel 2018, Netflix decide di proporne una trasposizione animata, ben diversa da quella degli anni ’70. Una serie fresca, che trasuda modernità da tutti i pori, e rinnova l’opera originale, cambiandone anche l’ambientazione. Il colosso dello streaming fa le cose in grande e alla regia chiama un genio come Yuasa. La “frittata” è fatta. Il capolavoro è assicurato e infatti, i puristi forse non mi perdoneranno l’eresia, l’anime è di una spanna sopra al manga.

La storia parla di Akira Fudo, un ragazzo timido e impacciato, che dopo tanto tempo rincontra un suo ex-compagno di scuola, nonché amico d’infanzia, Ryo Asuka. Quest’ultimo, a cui Akira è molto legato, gli rivela un fatto spaventoso, ovvero che il mondo originariamente apparteneva ai demoni guidati da Satana che, cacciato dal Paradiso, aveva creato il suo regno di distruzione proprio sulla Terra. Adesso, queste creature, rimaste per migliaia di anni sotto i ghiacci, sono pronte a ritornare e a dominare nuovamente il loro regno, sottraendolo agli esseri umani che, nel frattempo, lo hanno colonizzato e reso di proprio dominio. Per fermali, c’è un unico modo: fare sì che un uomo riesca a fondersi con un demone, diventando un Devilman. Un essere, che possiede la forza di un demone, ma il cuore di un essere umano e che, in questo modo, potrà difendere l'umanità dalla minaccia incombente. Inutile puntualizzare, che la persona indicata per assolvere a questo arduo compito, è proprio Akira Fudo.

Dal punto di vista contenutistico, siamo sulla stessa linea d’onda dell’opera originale. Alla sceneggiatura c’è Ichirō Ōkōchi, che mostra, allo stesso tempo, riverenza e intraprendenza. Da una parte, resta fedele agli avvenimenti principali della controparte cartacea. Il sabba viene modernizzato, ma si conclude sempre alla stessa maniera, il combattimento tra Akira e Silene ha lo stesso esito e, soprattutto, il finale capolavoro non subisce nessuna modifica significativa, a parte la scelta, di puntare maggiormente sulla componente emotiva. Dall’altra, molti eventi vengono cambiati, alcuni traslati cronologicamente e altri addirittura eliminati. Lì dove necessario, vengono fatti i dovuti cambiamenti e migliorie. Senza mai dimenticare, però, i tratti essenziali del sensei. L’ecchi è sparso a macchia d’olio per tutte le puntate. Tantissime le scene di sesso e, come da tradizione, oppai mostrate senza alcun tipo di censura. Lo spargimento di sangue è all’ordine del giorno. I combattimenti sono violenti, perché violenta è la natura dei demoni, così come quella umana e, da questo punto di vista, la fedeltà di Ōkōchi si palesa soprattutto rispetto alla morale e al messaggio vincolato dall’opera originale. Un messaggio chiaro, ancora attuale a tanti anni di distanza, su cui la trasposizione animata ci invita a riflettere molto attentamente. Infatti, la critica di Yuasa, che prima fu di Go Nagai, è pesantissima e la si percepisce tutta. D’altronde, se sono intercorsi cinquant’anni, ma le cose non sono cambiate, due domande dovremmo pur farcele no?

Il capolavoro, però, viene fatto con la regia e il comparto musicale. Masaaki Yuasa rappresenta certezza assoluta. Ad oggi, sono poche le opere di questo regista a cui ho preso visione, ma nessuna mi ha mai deluso. Il tratto è inconfondibile e, seppur molto diverso da quello crudo e sporco del sensei, che ci ha regalato delle tavole uniche, si adatta molto bene all’anime, sempre in nome di quella modernità più volte citata. Le inquadrature sono sbalorditive e alcune scene mi resteranno impresse nella memoria fino al giorno della mia dipartita. La corsa di Akira, per liberare i genitori dalla prigione del demone, è sicuramente uno dei momenti più alti dell’intera opera. Ad accompagnare, le musiche stupende di Kensuke Ushio, autore di un lavoro straordinario. Alcune molto rievocative della saga Souls e delle musiche leggendarie di Matoi Sakaruba. Tutte dei veri e propri capolavori. Da “Crybaby” a “From Here to Eternity”. Benedetta la playlist su Spotify e lode al grandissimo Kensuke Ushio. Musicalmente parlando, una delle cose migliori viste nell'ultimo periodo.

Insomma, di motivi per guardare “Devilman Crybaby” ve ne ho dati parecchi. L’unico ostacolo potrebbe essere la regia, che riconosco essere molto eccentrica e quindi, facilmente criticabile. Ma se avete letto il soggetto originale, non potete assolutamente perdervi questo capolavoro di trasposizione animata.