Il nome di Sid Meier è capace di creare sgomento e sussurri colmi di eccitazione e aspettativa, soprattutto nei giocatori PC di più vecchia data. E a ragion veduta, perché il nome del designer canadese è legato indissolubilmente a quello di uno dei franchise più rappresentativi del personal computer come piattaforma da gioco. Ne è passata di acqua sotto i ponti dal primo capitolo di Civilization, che nel 1991 inaugurò una saga rimasta nel cuore di diverse generazioni di videogiocatori, tra meme su Gandhi e le bombe nucleari e carriere scolastiche e lavorative distrutte da quella droga chiamata "ancora un altro turno".

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Sid Meier's Civilization VI, uscito il 21 di questo mese (come sempre, in esclusiva per PC) prosegue nel solco di una filosofia di design già tracciata con l'acclamato predecessore Civilization V, che nel caso di quest'ultimo era stata focalizzata sulla creazione di un 4X le cui componenti fossero perfettamente in equilibrio, il tutto all'interno di un'interfaccia - mai così importante come in questo sottogenere videoludico - tra le più chiare ed eleganti mai viste per un titolo di strategia. Pure, il quinto capitolo della serie aveva prestato il fianco a più di una critica, centrata soprattutto sull'eccessiva semplificazione di alcune meccaniche di gioco.

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Il sesto capitolo di Civilization arriva dunque davanti ad una platea mai così carica di hype e trepidazione, come in questi anni, a fronte soprattutto dei passi in avanti compiuti dal genere 4X negli ultimi tempi - grazie soprattutto a prodotti innovativi come quell'Endless Legend di Aplitude, che è riuscito a unire con genialità tradizione e rivoluzione, oppure interessanti sperimentazioni come il recentissimo mix grand strategy/4X Stellaris, firmato Paradox. La palla passa dunque a Firaxis Games, capitanata come sempre da Meier ma stavolta coadiuvato dal guru dei giochi da tavolo Ed Beach, che ha portato con sè le sue competenze e la sua esperienza nel settore, influenzando non poco lo sviluppo del titolo.
 

 
Il primo impatto con il sistema di gioco di Civilization VI è talmente naturale da risultare sconcertante, poiché è piantato fermamente sui punti cardine che hanno definito il gameplay dei predecessori: il gioco inizia dando al giocatore la possibilità di scegliere un leader di una determinata fazione storica (per esempio, l'imperatore Traiano guida i Romani), ognuna dotata di precisi bonus e unità uniche, per poi passare a definire nei minimi dettagli la mappa di gioco - estensione, risorse, tipi di terreno, caratteristiche geologiche e così via. Il processo è semplice e intuitivo, e il tutto è sottolineato da un accompagnamento sonoro di impressionante grandiosità, che riesce a mettere subito nella giusta atmosfera... ma di questo ne parleremo meglio più avanti.

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Veniamo quindi catapultati all'interno di una mappa generata casualmente, assumendo subito il controllo di due unità: un colono, con il quale fonderemo la nostra prima città, e un guerriero. E la mappa, insieme proprio alle città, e uno dei perni sui quali si focalizza la quasi totalità del gameplay di Civilization VI: essa, infatti, non è solo ricchissima di risorse di vario tipo da sfruttare in ogni modo, divise fra risorse di lusso utili negli scambi commerciali con le altre civiltà e risorse strategiche necessarie per creare le unità più tecnologicamente avanzate; non è solo tatticamente vitale sia nella gestione economica del proprio impero che in quella militare, grazie al fatto che ogni esagono della mappa possiede dei propri bonus in base al tipo di terreno - per esempio, le colline sono ideali per costruire miniere e aumentare la produzione, e al tempo stesso forniscono un bonus difensivo alle unità; bensì, la world map di Civilization VI è anche e soprattutto uno specchio del nostro operato come leader della civiltà, un'entità in continuo mutamento pregna di modifiche e cambiamenti che si accumulano a mano a mano che procedono le ere tecnologiche: vedere le strade diventare sempre più elaborate, e le caselle riempirsi a poco a poco di miglioramenti cittadini come fattorie e fabbriche di pari passo con il proseguire dei secoli è una sensazione ancora difficilmente replicabile in altri titoli dello stesso genere, nonostante le già citate evoluzioni che lo hanno contraddistinto. Il tutto è anche sottolineato da un certo grado di risposta visiva, in quanto le caselle produttive "lavorate" dai cittadini veranno visualizzate in maniera diversa rispetto a quelle inutilizzate - ferventi di attività le prime, deserte le seconde. Si tratta di un piccolo tocco di classe visivo tanto esteticamente gradevole quanto utile sul piano pratico, potendo permettere la comprensione a colpo d'occhio della situazione economica di una città.

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Già, le città, protagoniste di Civilization fin dagli albori della serie. E in questa iterazione sono, davvero, più vive e complesse che mai: le risorse di base, quelle sulle quali si fonda l'economia della fazione scelta, sono sempre le stesse (cibo, produzione, scienza, oro e fede), e rimane immutato da Civilization V il sistema di creazione dei miglioramenti alle caselle, tramite i quali si possono ottenere bonus alla resa produttiva delle stesse, e da effettuarsi usando dei lavoratori. Tuttavia questi ultimi, stavolta, non sono unità come tutte le altre ma dispongono di un certo numero di "cariche", ovvero possono costruire istantaneamente i suddetti miglioramenti ma possono essere utilizzati solo alcune volte prima di sparire per sempre. Si tratta di una innovazione semplice, eppure sostanziale nelle proprie ramificazioni strategiche, in quanto convince il giocatore a scelte oculate sia nella pianificazione economica che in quella territoriale.
 

 
Qui entrano in gioco anche i distretti, forse quella che si configura come la principale rivoluzione di Civilization VI: essi consistono in gruppi di edifici specializzati - come il distretto di ricerca, quello commerciale, quello militare e così via - e per costruirli è necessario occupare interamente una casella, la quale riceverà dei bonus di vicinanza a seconda di determinati fattori; e così, nel caso per esempio del distretto religioso, si avranno bonus maggiori se la scelta ricade su una casella adiacente a foreste, montagne o altri paesaggi naturali imponenti. Se i lavoratori limitati costituiscono una novità di gameplay che forza il giocatore a scelte pesanti nel breve termine, quella dei distretti è una evoluzione che apre ampi scenari di possibilità a lungo termine; i distretti sono anch'essi limitati ad un certo numero per città, a seconda della quantità di popolazione presente nella singola città, e il sistema di bonus - anche assai sostanziali - porta naturalmente il giocatore a cercare di ottimizzare al meglio possibile la pianificazione e lo sviluppo dei propri insediamenti, epoca dopo epoca, in particolare alle difficoltà più alte

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Persino le meraviglie, edifici simbolo dell'ingegno umano la cui edificazione porta benefici immensi al giocatore, occupano ognuna una casella intera; il risultato è una urbanizzazione progressiva della mappa di gioco turno dopo turno, con le metropoli più grandi capaci ognuna di occupare senza sforzi metà di un continente; si tratta di una caratteristica tanto spettacolare esteticamente quanto ricca di significato, in qualità di vero e proprio "storico" cronologico dell'andamento della propria partita. Per non parlare, poi, del fatto che il numero limitato di distretti che è possibile edificare in una città porta un ulteriore livello di scelta che il giocatore è obbligato a compiere nella specializzazione degli insediamenti, dimenticando quindi la possibilità di costruire ogni genere di edificio possibile presente nelle precedenti iterazioni della saga. Il sistema di sviluppo e di gestione di Civilization VI non è forse quello più profondo o ricco di dettagli, nè se guardiamo alla serie Civilization nè in confronto ad altri titoli 4X, ma è senza dubbio uno di quelli più soddisfacenti, a tratti geniale nelle sue possibilità tattiche, in virtù del continuo feedback sia visivo che in-game dei propri sforzi.

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L'ampio spettro di scelte e direzioni da prendere nel gioco si rispecchia nelle condizioni di vittoria, la cui varietà riprende quella di Civilization V nella sua versione finale con tutte le aggiunte portate dalle due espansioni. Oltre alla classica vittoria per dominazione sono presenti vittorie culturali, religiose e scientifiche, ognuna tesa a premiare, come si può facilmente immaginare, una determinata focalizzazione delle risorse del proprio impero. Lungi dall'essere una mera lista di obiettivi che è possibile perseguire a piacimento, le svariate tipologie di finali premiano soprattutto i giocatori flessibili, oltre ad incentivare a dismisura variazioni nel proprio stile di gioco da una partita all'altra; è perfettamente possibile impersonare una fazione militarista in una partita, portando la pace con le armi, e una fazione focalizzata sulla ricerca scientifica in un'altra, arrivando a traghettare la propria civiltà nello spazio - con enorme soddisfazione di un giocatore che, magari, è riuscito a raggiungere tale risultato senza nemmeno dover entrare in guerra con un'altra fazione.
 

 
Non paghi del cambio di rotta apportato alla gestione delle città, i ragazzi di Firaxis hanno inoltre inserito decine di cambiamenti strutturali, ognuno più apprezzabile dell'altro: l'aspetto diplomatico è stato uno di quelli più piacevolmente irrobustiti, grazie alle agende - tratti comportamentali di base - che contraddistinguono ogni civilizzazione controllata dalla IA; avremo quindi una Spagna che apprezza le culture che seguono il suo stesso credo religioso, ma in compenso difficilmente sopporta le civiltà che esplorano con costanza il mondo di gioco (arrogandosi, in pratica, la nomina di unici e veri esploratori del creato). Tali pilastri portanti di ogni nazione donano una dimensione ulteriore alle intelligenze artificiali con le quali ci si confronta, caratterizzando funzionalmente ognuna di esse e costringendo il giocatore a giostrarsi politicamente tra le pretese dei propri avversari digitali nel tentativo di ingraziarseli. Oppure, certo, è sempre possibile nuclearizzare i propri rivali, grazie ad un sistema di gestione militare (basato sull'utilizzo di una unità per casella) rimasto sostanzialmente immutato rispetto al corrispettivo di Civilization V. Sarebbero stati benvenuti, in questo senso, alcuni miglioramenti, dato che così com'è il combattimento rimane tatticamente molto semplice e basilare, ed è forse la parte più debole del gioco.

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Piccole lamentele a parte, c'è tanto da dire e da elogiare nel lavoro di Firaxis, e non basterebbe un articolo lungo il doppio di questo per descrivere adeguatamente il tutto, tra l'introduzione di un sistema di Casus Belli che costringe il giocatore ad avere una più che valida ragione per attaccare i propri vicini pena un enorme contraccolpo diplomatico, il nuovo sistema di gestione politica "a carte" con bonus intercambiabili su un determinato numero di slot che permette fluidità e variazione massima nelle proprie strategie a seconda delle circostanze, la possibilità di contribuire attivamente allo sviluppo tecnologico completando delle mini-sfide (come distruggere un accampamento barbaro per ottenere un bonus nella ricerca sulla lavorazione del bronzo), il rinnovato vigore dei barbari ora incredibilmente letali nelle prime fasi della partita, la gestione migliorata delle città stato ora rese molto più interessanti e strategicamente vitali. Piccoli e grandi ritocchi e perfezionamenti, provenienti in gran parte dal già ottimo lavoro svolto sull'espansione Brave New World del quinto capitolo, che fanno di Civilization VI un titolo incredibilmente complesso nei suoi dettagli interni, ma al contempo accessibile fin da subito (grazie ad un dettagliato tutorial e all'enciclopedia interna del gioco) e immediatamente appagante, nonostante siano presenti alcuni passi falsi all'interno della curva di difficoltà del gioco, in quanto alcune meccaniche inedite, come il nuovo ruolo delle credenze religiose e l'importante funzione svolta da abitazioni e attrattiva delle città, non sono spiegate adeguatamente quanto dovrebbero.

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Sul versante estetico, Civilization VI è foriero di un cambio netto di art design rispetto al precedente capitolo, ora caratterizzato da una certa vena cartoonesca e fiabesca. Tale deriva può piacere o no, ma rimane comunque innegabile la cura riposta nella realizzazione di particolari come la mappa inesplorata, riprodotta come una cartina geografica vecchio stile. Sul piano puramente tecnico il gioco si focalizza sulla funzionalità piuttosto che sulle brute texture, offrendo ottima pulizia e chiarezza dell'immagine a discapito di un aspetto grafico piacevole ma non esaltante. Dove però Civilization VI brilla è nel comparto sonoro, che vede il ritorno in pompa magna di Christopher Tin, già autore del tema principale di Civilization IV, la celeberrima "Baba Yetu" - ad oggi, l'unica canzone appartenente ad un videogioco ad aver vinto un Grammy, il che dovrebbe già aiutare a farvi un'idea sulla bravura del compositore. E il buon Tim stavolta si supera, perché al magnifico e possente tema principale, "Sogno di Volare (The Dream of Flying)", si alternano composizioni ispirate per ognuna delle fazioni presenti, le cui melodie non solo traggono la propria base da canzoni popolari reali (la ballata "Scarborough Fair", per esempio, è stata usata come base per il tema dell'Inghilterra, mentre le gesta americane sono sottolineate dal celebre pezzo folk "Hard Times Come Again No More"), ma crescono in maestosità e complessità strumentale di pari passo con il passare delle ere. Un tocco di classe semplice, ma non per questo meno superbo.

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Civilization VI costituisce, in un senso senso, il perfetto board game digitale. L'equilibrio dei suoi meccanismi di gioco è preciso come un orologio svizzero, è adatto sia al novizio che al giocatore smaliziato, sa ricompensare a dovere la flessibilità di pensiero dei giocatori donando una risposta sempre elegante a stili di gioco anche completamente diversi fra loro, il tutto sottolineato da una cornice estetica funzionale e da una colonna sonora semplicemente incredibile. Turno dopo turno, si rivela come un degno erede del nome che porta, un titolo unico nel suo genere, ancora senza eguali dopo più di 25 anni di longevità della serie. Chapeau.