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Nel 1979 ci si rende conto che effettivamente la serie di Galaxy Express 999 non aveva raggiunto altissimi livelli su tutti i versanti. Si decide finalmente, e soprattutto a buona ragione, di produrre un film che possa ridare in qualche modo dignità agli affascinanti mondi e alle storie fiabesche di Matsumoto. E non fu affatto una scelta sbagliata, ché se la serie anime del 1978 riuscì a produrre qualche soldino, il premiare la buona volontà degli stanchi spettatori di Galaxy Express 999 era d’obbligo.

Così vide la luce la versione cinematografica di Galaxy Express 999, completamente rivisitata, sia nella trama sia negli aspetti tecnici, in modo che un fan di Matsumoto che si fosse prestato alla sua visione non avrebbe più messo mano a cappi e antidepressivi.
La suddetta versione, infatti, apportò interessanti novità alla trama: in un futuro non precisato un ragazzo di nome Tetsuro, finalmente abbellito per come si conviene a un vero protagonista, si dibatte tutti i giorni tra le avversità dei poveri sobborghi dell’immensa e futuristica città di Megalopolis, dove solo la parte ricca della popolazione possiede ormai un corpo meccanico. Il ragazzo incontrerà dopo varie peripezie Maetel, donna affascinante e misteriosa, che gli offrirà il biglietto del Galaxy Express 999 con destinazione la galassia di Andromeda, dove il ragazzo potrà procurarsi un corpo meccanico. In cambio dovrà tenerle compagnia lungo questo viaggio. Rispetto alla serie anime il viaggio toccherà soltanto quattro pianeti, gli snodi fondamentali attorno a cui si sviluppa la trama, e che nell’anime stesso ne avevano risollevato minimamente la dignità.

I protagonisti si evolvono: Tetsuro non è più vittima d’imperante pietismo, né di altri sentimenti simili, ma diventa deciso, meno frignone, più intelligente, e di conseguenza più carismatico, anche in virtù del suo nuovo aspetto, del suo naso notevolmente rimpicciolito fino a raggiungere proporzioni normali e degli occhi, che finalmente hanno un’iride.
Il protagonista subisce inoltre un’interessante svolta personale, cui arriva dopo un percorso di meditazione individuale, indice di grande maturità. A differenza dell’anime, infatti, Tetsuro nel lungometraggio sviluppa un odio profondo verso i meccanoidi, che lo porta a rifiutare l’idea di diventare meccanoide egli stesso. Dopo la lotta contro il conte Mecha al Castello del Tempo, sul pianeta frontiera Heavy Melder, Tetsuro salirà sul treno con animo maturo, cosciente, razionale, sviluppando decisioni e pensieri frutto di una profonda interiorità. Finalmente dunque un protagonista degno.

Ancora note dolenti invece per Maetel, che purtroppo anche qui soffre di appiattimento caratteriale. La bionda viaggiatrice senza tempo sembra sempre evasiva, ma si tratta di un’evasività che non si risolve in fascino, in quanto il mistero che può contenere s’intuisce fin da subito, vuoi per il dannoso spoiler della serie anime precedente al film, vuoi perché anche nell’architettura della trama del lungometraggio ci sono buchi non trascurabili. Un esempio ne è la trattazione della vita precedente di Maetel stessa, o la spiegazione del motivo per cui la regina Promethyum ha deciso di trasformare tutto l’universo nella più perfetta creatura artificiale, totalmente assente. Inoltre, poco o niente viene approfondito il rapporto della madre con la figlia, di conseguenza spesso quando le due si affrontano si avverte la cesura delle loro rispettive storie.

Il fan service di questo film salta agli occhi fin dalla prima scena, dove nei meandri dei poveri sobborghi di Megalopolis le taglie di Harlock e dell’equipaggio dell’Arcadia tappezzano i muri. In questo film ritorna il “Leijiverse”, cioè l’universo-Matsumoto, uno spazio indefinito, senza tempo, in cui confluiscono tutti i principali protagonisti delle sue opere, precedenti e posteriori. Qui hanno importanti camei Harlock e l’equipaggio dell’Arcadia, Tochiro ed Esmeralda.
La loro presenza non è una semplice apparizione, ma aleggia continuamente sullo svolgimento dell’intreccio, contribuendo alla risoluzione di alcuni nodi fondamentali.
Non che nella serie anime di Galaxy Express 999 tali personaggi non fossero mai comparsi. In realtà vi figurarono, ma furono anche vittima di un assurdo stravolgimento caratteriale che ne fece dei veri e propri vigliacchi attaccati ai propri tornaconti personali, poco importa se poi alla fine non si trattasse di loro, ma di copie meccaniche senz’anima.
Il trauma ingenerato nello spettatore dalla visione di un Harlock che trema dinanzi ai pericoli e che scappa come un vigliacco, o di un’Esmeralda che rinnega ogni giustizia, era stato fin troppo forte. Così ora Harlock diventa figura paterna e amichevole per Tetsuro, intervenendo spesso in suo aiuto con entrate spettacolari di cui l’Arcadia è protagonista. Esmeralda diventa confidente e aiutante, soprattutto dopo avere scoperto che fili invisibili ma profondi legano Tetsuro al suo amato Tochiro, di cui lei è alla perenne ricerca.
Tochiro è l’antenato spirituale di Tetsuro, il valoroso guerriero spaziale la cui eredità verrà raccolta dal ragazzo tramite l’investitura simbolica che riceverà dalla madre di Tochiro sul pianeta Titano: un passaggio di consegne simboleggiato dal dono del caratteristico mantello del famoso personaggio di Matsumoto, assieme alla sua pistola e al suo cappello, segni incontrovertibili della sua forte personalità.

A livello tecnico non si raggiungono vette altissime, considerando gli anni di cui il prodotto è figlio, ma non si può negare che sia avvenuto su tutti i fronti un vero e proprio miracolo rispetto alla scarsità di cui fu vittima la serie televisiva.
Le animazioni finalmente sono un po’ più sciolte. Quantomeno esistono capigliature mosse dal vento, movimenti un po’ più fluidi e dinamici. La presenza di Komatsubara alla loro direzione dà un notevole salto di qualità, che si nota soprattutto nelle scene in cui il Galaxy Express è in movimento.
Il mecha si distingue, ma non particolarmente. L’Arcadia e la Queen Emeraldas registrano una curva discendente rispetto alla serie anime di Capitan Harlock. La mano di Itabashi, proprio sulle due astronavi non emoziona particolarmente.
Colori vividi e intensi, con ombreggiature forti o delicate a seconda dell’atmosfera che si vuole creare conferiscono alla fotografia, alla cui direzione troviamo i nomi congiunti di Fukui e Katayama, una complessità densissima.

Questa è uno dei maggiori elementi tecnici, dunque, che risollevano le sorti del lungometraggio. I fotogrammi della casa della madre di Tochiro, come altri squarci paesaggistici del pianeta Titano, sono difficili da dimenticare per le tinteggiature lievi e delicate, come difficile da dimenticare è il fotogramma relativo alla bellissima distesa ghiacciata sul pianeta Plutone, dominata da colori che vanno dal blu notte al bianco intenso, senza nessuno stacco tra tinte forti e tinte delicate. Per non parlare infine dei bellissimi fondali del pianeta degli Heavy Melder: un deserto sterminato alla cui frontiera si estende il favoloso Castello del Tempo, che con la sua mole caratterizzata da colori tetri si estende in un territorio arido, dove i colori caldi si mischiano ai colori freddi, provocando un distacco forte. L’immagine della vecchia Death Shadow abbandonata in mezzo a queste riarse distese, un tempo popolate di vita, è visivamente potentissima. È fan service sfrenato, è vero, ma ha un potenziale affettivo grandissimo su ogni spettatore che sia in grado di riconoscerla e allo stesso tempo di ammirarla in questa nuova veste di relitto abbandonato all’incuria.
Notevolissima infine è la resa tecnica della città della meccanizzazione, sul pianeta Maetel, dove grandissime torri che svettano su un cielo plumbeo e avveniristici snodi stradali e stazioni ferroviarie fiondano lo spettatore in una realtà molto vicina a ciò che si definisce fantascienza, ebbene sì, finalmente.

Alla regia si riconosce subito la presenza di Rin Taro, in quanto non ci sono scelte registiche particolari. Il lungometraggio si svolge in maniera fluida e continua, come se lo spettatore fosse all’interno delle vicende narrate. La lentezza dell’intreccio è un’altra caratteristica riconoscibile del famoso regista, che per questo genere di opera avrebbe forse fatto meglio a inserire qualche accelerazione negli eventi di contorno.
Le musiche, prodotto di Nozumu Aoki, non si distinguono particolarmente rispetto a quelle della serie classica, anzi registrano una lieve curva discendente, in quanto i motivi della soundtrack non riescono a raggiungerne la stessa intensità e maestosità mista a leggerezza. Vengono dunque superate dal forte impatto visivo di alcune scene. Migliore rispetto a quella dell’anime classico è invece l’ending,<i> Yukihide Takekawai</i>, molto più dinamica e orecchiabile.

Il giudizio complessivo non è negativo, considerato che la serie classica delude davvero su tutti i fronti. Finalmente ci si trova di fronte a un’opera degna di portare un nome, finalmente ritroviamo una dignitosa logica e una consequenzialità razionale. Finalmente si accenna alla vera natura di Maetel, per quanto anche questa soluzione risulti alquanto fantasiosa. La fantasia, però, in dosi giuste, equilibrate e soprattutto logicamente concatenate, non è una cosa negativa, ma può conferire all’opera quel pizzico di fascino in più che le potrebbe mancare. È dunque questo il caso del lungometraggio di Galaxy Express, dove finalmente, anche se non in maniera costante durante lo svolgimento del film, la simbologia del treno, come treno della vita, come fugacità della giovinezza, compare in tutta la sua profondità:<i> “…La vita è come un treno che viaggia su binari infiniti nello scorrere del tempo infinto, portando con sé sogni, speranze, ambizioni, e giovinezza…”</i>.
Un sette premia i passi in avanti compiuti su tutti i livelli da quest’opera, ma sottolinea anche alcune sue imperfezioni, presenti soprattutto nell’articolazione della trama e nella sceneggiatura.