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"Kanashimi no Belladonna" è un incubo di celluloide dai toni pastello, crudo, potente, suggestivo ed esclusivista come tutte le opere sperimentali; profondamente crepuscolare e dotato di uno spiccato istinto predatorio, prova un piacere al limite del dissoluto nell'attesa di un candidato che soddisfi i suoi standard. È pertanto consigliabile da parte del potenziale spettatore condurre una ricerca preliminare purchessia, onde evitare di trovarsi impreparato di fronte all'altera e brutale eloquenza dei suoi contenuti. Scopo, o per meglio dire desiderio di questa recensione, è per l'appunto quello di fornire una testimonianza che possa risultare utile in tal senso.

Nell'epoca feudataria due servi che intendessero contrarre matrimonio dovevano corrispondere al loro signore una dote, in mancanza della quale quest'ultimo poteva rivendicare per sé il privilegio di godere della sposa prima di cederla formalmente al marito: questa barbara consuetudine è conosciuta con il nome di jus primae noctis, che tradotto dal latino significa "diritto della prima notte". La verginità di una donna, garante fisico ma tutt'altro che infallibile della sua integrità d'animo, era infatti considerata un adeguato indennizzo al mancato guadagno del suo padrone.
La dolce Jeanne è per l'appunto una di queste sventurate il cui fiore è stato calpestato dal greve stivale della legge, sulla cui suola ora campeggia, al pari di uno schizzo di fango, il suo venerabile sangue. Traumatizzata e tenuta a distanza dal marito, che pur amandola non riesce a dimostrarglielo, la ragazza comincia a covare dentro di sé il seme del rancore: giacché la felicità sembra esserle preclusa per sempre, è il suo ragionamento, che anche gli altri soffrano come lei. Le manca tuttavia il potere di mettere in pratica questo suo ozioso proposito, potere che una creatura misteriosa di cui un giorno riceve la visita si professa disposta a concederle a patto che lei rinunci a corpo e anima. Ha inizio così questa storia di voluttà e di vendetta di un agnello fattosi lupo tra i lupi.

Il languido immobilismo dell'impianto narrativo mi ha ricordato sia il film muto sia - per utilizzare un riferimento storicamente più attinente - i bassorilievi contenuti all'interno delle chiese attraverso cui il volgo veniva introdotto alle storie dei santi e della Bibbia. Ne consegue che la naturale suddivisione in sequenze a cui si rifà ogni racconto risulti più marcata del consueto; qualche stand alone, per così dire, c'è, così come qualche scena tirata un po' per le lunghe, ma nulla che risulti palesemente fuori contesto. "Kanashimi no Belladonna" non è uno di quegli anime che ti catapultano nell'azione, peraltro ivi ridotta all'essenziale: direi piuttosto che è come un vecchio peeping show a gettoni. Occorre pertanto portare pazienza e dargli il tempo di mettere in mostra le proprie carte, e anche in quel caso non è detto che se ne rimanga soddisfatti.

Non credo si possa definire lo scavo introspettivo il piatto forte del prodotto, nel senso che trama è così lineare e la voce narrante così puntuale nel riempire eventuali buchi che il cambiamento di Jeanne appare più fisiologico che psicologico. Manca, in altre parole, un vero e proprio coinvolgimento da parte dello spettatore, che si ritrova a guardarla sprofondare quasi senza battere ciglio. Soltanto facendo un confronto tra la Jeanne ancora restia a rinunciare ai propri principî e la baccante del diavolo con un petalo di belladonna in bocca ci si rende conto di quanto le terribili esperienze che ha vissuto abbiano distorto il suo sguardo sul mondo. Due persone diverse, quindi? Non ne sarei così sicura. Lo stesso diavolo mette in discussione questa tesi, ma a parte questo l'etica della "seconda Jeanne", quantunque primitiva e viziata dalle circostanze, non pare poi così dissimile da quella della "prima".
Degli altri personaggi si parla poco, ma questo non deve sorprendere né indispettire dal momento che per la stessa Jeanne sono indistinguibili gli uni dagli altri. In quest'ottica il marito risulta, per la maggior parte del tempo, appena identificabile sullo sfondo, ma per quel poco che lo si vede fare qualcosa il suo carattere viene delineato con la giusta dose di plausibilità.

Ma il decodificatore per eccellenza è, com'è ovvio, il sesso, per trattare il quale "Kanashimi no Belladonna" opta per una conturbante combinazione di simbolismo e pornografia. Non è un caso che l'evoluzione di Jeanne, a malapena consapevole di possedere un corpo, inizi proprio dalle sue carni vilipese e purtuttavia ancora in grado di pulsare, di accogliere, di secernere, giacché il solo fatto di riappropriarsene costituisce un formidabile atto di ribellione contro un sistema che mira alla completa spersonalizzazione dell'individuo.
Chiaramente riappropriarsi del proprio corpo significa anche decidere come e con chi condividerlo. Nel farlo Jeanne conoscerà sia il disperato egoismo tipico di chi, subito un abuso sessuale, cerca rifugio nella promiscuità, sia l'incosciente altruismo di qualcuno così coscio di sé da non avere più bisogno di conferme.

Agli occhi di un fruitore di anime del giorno d'oggi il comparto tecnico dell'opera può sembrare, quantunque non proprio scipito, come minimo un po' fiacco. In effetti le animazioni non sono un granché, così come il doppiaggio quasi pastoso, ma il character design e la fotografia sono senza dubbio degni di nota: il primo conferisce al tutto un quantomai gradito tocco vintage, mentre la seconda, di una squisitezza più unica che rara, si distingue per il modo in cui riesce a ingentilire uno scenario che di gentile non avrebbe un bel nulla. Molto azzeccata anche la colonna sonora, in particolar modo per quanto riguarda il malinconico tema principale.

Arrivati a questo punto l'avrete capito da voi, ma permettetemi di esplicitare il concetto: "Kanashimi no Belladonna" non è uno di quei titoli a cui si può approdare tramite un consiglio. Devi scegliere di volerlo guardare e lui deve scegliere di lasciarsi guardare da te, altrimenti l'esperimento è destinato a fallire.