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Una breve ma doverosa premessa prima di iniziare a dar fuoco alle polveri: non ho familiarità alcuna col manga di Isayama. Ne conosco la trama, ma non le modalità, ragion per cui potrei involontariamente attribuire all'anime - che comunque mi risulta abbia avuto la sua benedizione - dei difetti non suoi. Ciò detto, una parolina per chi, trovandosi nelle medesime condizioni, temesse di non essere sufficientemente preparato alla visione di questo suo parziale adattamento animato: non correte pericolo di venir lasciati indietro, perché non solo i personaggi principali ne sanno meno di voi, ma la narrazione procede a un ritmo che definire bradipesco è farle un complimento, con tanto di riassunti a prova di pesci rossi, eyecactch espositivi - gli unici davvero interessanti - e supercazzole pseudo-esplicative come se fosse antani. Sì, insomma, 'na goduria. Un atto di tafazzismo in venticinque comode rate. Ma la cosa che ti fa davvero esclamare: "Oh, rabbia!" è che al di là di questi inspiegabili e reiterati tentativi di rovinarsi con le sue stesse mani questo "Shingeki no Kyojin" un suo perché ce l'ha. Cos'aspetti a tirarlo fuori è un mistero - l'ennesimo e senza ombra di dubbio il più snervante di tutti. Ma magari la colpa è mia che ho sbattuto le palpebre una volta di troppo e mi sono persa il momento.

Da cent'anni l'umanità vive entro i confini di tre alte cerchie di mura: Maria, Rose e Sina. Questo esilio tutt'altro che volontario si deve alla comparsa dei Giganti, misteriose creature perlopiù non iscrivibili tra i "soggetti senzienti e pensanti" (cit.) il cui unico scopo si direbbe quello di far di noi povere formichine ambiziose il loro fiero pasto. Si vive bene, in questa gabbia dorata multistrato; non proprio equamente, certo, ma se non altro le mura sono abbastanza alte da tener fuori i mostri. Ma per confortevole che possa essere una prigione rimane una prigione, e a Eren Jaeger di far finta che vada tutto bene proprio non va. Che ne è della sovranità dell'uomo? Che ne è del mondo là fuori? Ma soprattutto, chi l'ha detto che questa sorta di tregua armata durerà per sempre? La risposta a quest'ultima domanda non si farà attendere a lungo: la città di Shingashina, propaggine meridionale del Wall Maria dove vive il ragazzo, viene presa d'assalto dai Giganti, l'arrivo dei quali coglie in contropiede sia la popolazione che, cosa ancor più grave, il cosiddetto Corpo di Guarnigione, intitolato a proteggerla. Sopravvissuto per un pelo alla mattanza, a seguito della quale ha perduto la madre, Eren giura vendetta ed entra nell'esercito assieme agli amici Mikasa e Armin. Il suo obiettivo è quello di diventare un membro del Corpo di Ricerca, specializzato nel combattere i Giganti nel loro territorio allo scopo di contenerne l'avanzata e acquisire nel contempo quante più informazioni possibili sul loro conto.

In realtà questo è più che altro un antipasto di quel che andremo effettivamente a vedere, perché dei cinque anni che intercorrono tra l'offensiva dei Giganti su Shingashina e la fine dell'addestramento di Eren e compagni ci viene mostrato ben poco: qualche (buona) riflessione di gundamiana memoria sulle brutture della guerra, un paio di scazzottate tra reclute, fiacche strizzatine d'occhio a "Full Metal Jacket" - con il Sergente Hartman che dall'aldilà ricambia con uno sputo -, siparietti comici che c'entrano come il cavolo a merenda, salti temporali di comodo e una caratterizzazione dei personaggi molto all'acqua di rose. Poi iniziano gli scontri coi Giganti e da lì in avanti è una melina continua. Per interi episodi ci si agita sulla sedia per l'irritazione di essere costretti ad assistere a scene dilatate fino all'inverosimile, con Eren che cincischia mentre attorno a lui amici e colleghi cadono come mosche. Panico? Rigurgiti di pacifismo? Macché: non c'è nulla che lo renda più felice di pestare i Giganti tipo acini d'uva. E li pesta, eh? Eccome se li pesta. Ma prima che entri in azione ci vuole una vita, cosa che specialmente nella seconda parte causerà ai suoi commilitoni ancora più problemi di quelli dovuti dalla sua natura di cane sciolto. La spiegazione che viene data in-universe, e cioè che ha bisogno di un motivo, rivela tutta la sua volatilità durante l'arco del Gigante Femmina (chi sarà mai "El Barto"?), di cui nemmeno l'Avvocato Messina di Fiorello potrebbe mai assumere la difesa; ciononostante ci vorrà del bello e del buono per convincere Eren a fare qualcosa, come se in precedenza non avesse dato prova di poter scattare per molto meno. E no, non si tratta di character development, quanto piuttosto di vaghi sprazzi non contestualizzati di umanità.
Qual è il problema, mi domando? La troppa o troppo poca fedeltà al manga? Un numero troppo esiguo di capitoli da adattare? È vero che stiamo parlando di un titolo a cadenza mensile, ma non mi pare che la carne al fuoco gli faccia difetto. E allora perché questo stillicidio? Non è uno slice of life, questo. Non è di arrivare in ritardo a scuola o di farsi notare dal senpai di turno che questi ragazzi si devono preoccupare, ma della loro stessa vita. E non è facendoli parlare gli uni addosso agli altri - quanti di coloro vengono provvisti di favella, cioè - che se ne delinea la psicologia.

Ecco, appunto, la psicologia dei personaggi. Del terzetto principale l'unico a salvarsi è Armin, che magari sarà anche un po' piattola, non dico di no, ma se non alto ha cuore, oltreché testa. Mikasa invece non sarebbe malaccio se solo non fosse così ridicolmente efficiente nei combattimenti e interessata unicamente a Eren, le cui evidenti turbe psichiche - non è un'iperbole, quel ragazzo ha veramente qualcosa che non va ai piani alti - non sembrano impensierirla affatto. Molto "meh" anche i loro compagni di brigata, eccettuati Annie, Marco e Jean, l'unico nel quale sia ravvisabile il compimento di un qualsivoglia percorso. Per quanto riguarda gli ufficiali è inutile dire che quello che spicca maggiormente è il capitano Levi, ma sono tanti quelli che meritano una menzione speciale, dal suo superiore Smith a Rico del Corpo di Guarnigione passando per Hanji, che pur mostrando un entusiasmo decisamente fuori luogo per il suo mestiere rimane uno dei personaggi più caritatevoli e facilmente accessibili in circolazione. Nel complesso poteva andare peggio, ma la mancanza di un protagonista-eroe - non sono la stessa cosa, non mi stancherò mai di ripeterlo - si fa sentire in maniera oserei dire drammatica: non si può esserlo soltanto a targhe alterne, non in un mondo tanto crudele e bisognoso di qualcosa, o meglio qualcuno, in cui poter credere.

Alla regia ritroviamo Testuro Araki, e già da questo ci si può fare un'idea di ciò a cui andiamo incontro; in una parola, anzi, tre, spacconate a non finire. Sia chiaro, non è un male, anche perché una storia di questo tipo di presta molto bene allo scopo. Il problema sono i continui cali di tensione a cui va soggetta la sceneggiatura. "Ma almeno così il budget è salvo, no?". Eh, mica tanto. Passi qualche espressione infelice di tanto in tanto, passino un paio di sequenze non proprio ispirate, ma il riciclo no, quello mi fa girare le scatole. Il character design è un pelino incostante, ma tutto sommato abbastanza ben fatto; quanto ai Giganti, in generale rendono bene l'idea, ma alcuni, come quello moe e il sosia di Freddie Mercury, risultano improbabili anche per gli standard di questo show.
Io ho seguito il doppiaggio giapponese, e devo dire di averlo trovato piuttosto interessante. Ho apprezzato in particolar modo Marina Inoue nei panni di Armin e l'accoppiata Ono-Kamiya su Erwin e Levi, ma mi sento di promuovere un po' tutti, non foss'altro che per ricompensarli di tutti gli sbadigli immeritati. Tuttavia il vero fiore all'occhiello del comparto tecnico è l'OST, variegatissima e di un'espressività più unica che rara; molto adrenaliniche le due opening, sofisticata la prima ending, ampiamente collaudato ma ben riproposto il concept della seconda.

Per concludere, per me che prima ne conoscevo soltanto i meme un pregio quest'anime ce l'ha, vale a dire che mi ha fatto venire voglia di dare un'occhiata anche al manga. Ma a che prezzo, Frits mio d'oro, a che prezzo!