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Chissà in quanti avranno sentito parlare del ‘dio dei manga’ Osamu Tezuka e quanti invece, spinti dalla curiosità, hanno deciso di avventurarsi nella lettura di una delle sue opere; io faccio parte di questa seconda categoria e, siccome navigo in un periodo di forte voglia di provare, mi sono procurato un’opera che fino a poco tempo fa non sarebbe neanche mai entrata nei miei pensieri: La Principessa Zaffiro.
Risalente agli ormai lontani anni 50 (nonostante qualche revisione avvenuta negli anni successivi), quest’opera viene considerata il primo shoujo della storia, nonostante gli standard proposti non fossero di certo quelli che oggi ritroviamo nei lavori dello stesso genere. Vista l’esperienza personale mi sento di fare una doverosa premessa: non fermatevi all’apparenza, perché lo stile sia del disegno che della narrazione sono molto differenti rispetto quelli a cui siamo abituati, e ad una prima occhiata questo manga potrebbe far storcere il naso a molti.

Nel regno di Silverland la regina partorisce, a causa di un dispetto di un angelo discolo nell’Immensità del Cielo, un neonato con due cuori, uno di sesso maschile e l’altro femminile; a causa di questa ambiguità, l’infante avrà l’aspetto di una ragazza ma l’animo di un ragazzo, problema assai grave in un regno che non ammette successori femmine al trono. Per risolvere l’inconveniente i regnanti, assieme a pochi consiglieri di fiducia, si prodigheranno per allevare il neonato come un maschio, permettendogli di manifestare la sua vera natura solamente nei momenti privati, all’oscuro degli estranei. Questo non è altro che il presupposto per una serie di avventure, storie d’amore (ricambiate e non), lunghi viaggi, esseri fantastici, trappole e inganni per la conquista del trono.

Il racconto in principio parte semplice e quasi banale, con un linguaggio basilare e dei concetti scontati, scene veloci e senza articolazione della trama. Col passare delle pagine quello che in principio era sembrato uno sviluppo lineare inizia a complicarsi, appaiono molti personaggi (spesso collegati fra loro) e le situazioni diventano sempre più coinvolgenti. Nonostante ciò verso la fine dell’ultimo volume iniziano a susseguirsi un incredibile numero di avvenimenti, per poi ritrovarsi con un finale piuttosto frettoloso e poco delineato, il che è veramente un peccato vista la qualità dello svolgimento.

Il disegno rimanda all’idea di una fiaba, ed è adatto al tipo di storia che ci ritroviamo fra le mani; è molto semplice, le comparse non brillano d’originalità e gli sfondi non sono dettagliati. Nonostante ciò il tratto è pulito, comprensibile e le vignette sono ben delineate, creando così una sorta di ordine e precisione; le scene di lotta e azione sono solamente abbozzate, ma non creano particolari difficoltà nella lettura, nonostante non coinvolgano il lettore (la mira di questo manga è decisamente un’altra). Una lode al disegno da fare è quella all’originalità; di certo questo non è il tratto caratteristico degli shoujo ma, nonostante ciò, i volti trasmettono emotività grazie al notevole uso di sguardi e posture della bocca.

Pubblicato in Italia nel 2001 da Hazard Edizioni, La Principessa Zaffiro gode di un’edizione mirata, purtroppo, solo a un pubblico di nicchia, dato il prezzo di 9,81 euro (in decimali a causa del cambio dalla lira). Considerato il costo, l’edizione è fin troppo essenziale e, nonostante i volumi abbiano dalle 214 alle 256 pagine, sono presenti innumerevoli pecche. In primo luogo il senso di lettura ribaltato rispetto all’originale, poi la carta troppo trasparente, qualche errore di adattamento (soprattutto per quanto riguarda lo scambio tra punti di domanda e punti esclamativi), un orrore di scrittura di una parola inglese e pochi extra. Al contrario, c’è una sovraccoperta buona, la rilegatura è resistente ed elastica (anche se non troppo) e permettere una lettura agevole. Insomma, un’edizione che avrebbe potuto costare di meno per quello che offre ma, a parte questo, discreta.
Un discorso a parte è da fare per la traduzione perché, come specificato nel manga stesso, i traduttori hanno dovuto fare un particolare e lungo lavoro di adattamento, in quanto in giapponese, a livello grammaticale, non è possibile capire se un soggetto quando parla è un maschio o è una femmina, e nella traduzione in italiano di quest’opera, il problema sorge in quanto Tezuka pone particolare enfasi su quest’aspetto.

Una storia che può essere apprezzata da tutti, con uno stile fiabesco che narra di mondi fantastici e storie d’amore; per quanto lo stile ricordi una favola, la trama non potrà essere apprezzata da un bambino in quanto piuttosto complicata nello svolgimento, problema che si può aggirare se sarà un adulto a leggergliela. Sottolineo questo fatto perché opere di questa genuinità e freschezza dovrebbero essere ricordate, per quanto questa non si attesti proprio su un livello alto (son sicuro che sono altre le opere di Tezuka che lo hanno reso celebre). Insomma, è soltanto un bel racconto di fantasia raccontato piuttosto bene.

VOTO FINALE: 7/10
by bruttabestia 18/07/2009