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“Tokyo Ghoul √A” è una serie anime composta da dodici episodi e, assieme alla stagione precedente (“Tokyo Ghoul”, dodici episodi), rappresenta una trasposizione animata molto sintetica e semplificata dell’omonima versione manga. Parecchi dettagli e avvenimenti della storia originale (a volte significativi) vengono appena accennati, se non addirittura omessi, lasciando diverse conclusioni all’intuito e immaginazione dello spettatore. Alcune vicende sono state, per motivi tecnici, modificate, per giungere tuttavia alla medesima conclusione del manga.

Inizierò con l’analizzare quello che è l’apparato tecnico dell’anime: primi piani dei personaggi e panoramiche paesaggistiche risultano lineari e dettagliate, le tonalità di colore sono forti e vivaci (fattori che, a mio avviso, tradiscono lo stile del manga); le sequenze dinamiche di combattimento appaiono tuttavia meno curate e pulite rispetto alla prima stagione dell’anime, talvolta confuse, anche se non in modo troppo evidente.
La colonna sonora è probabilmente uno dei punti di forza di questa seconda stagione: di maggior rilievo rispetto alla stagione precedente, acquisisce dei toni drammatici che si sposano perfettamente con gli eventi che va a narrare. Degne di nota sono “On my Own” e “Glassy Sky”. La opening “Munō” non è all’altezza della precedente e più suggestiva “Unravel”, ma rispecchia il ritmo narrativo e il clima che caratterizzerà questa seconda stagione. La ending “Kisetsu wa Tsugitsugi Shindeiku” riesce a concludere in modo impeccabile ogni episodio, proponendo, con ritratti dei personaggi della serie, uno scorcio di quello che è lo stile di Ishida Sui (autore del manga).

In questa stagione vengono finalmente svelati dettagli sul passato di alcuni personaggi (principali e non) con flashback relativamente brevi e, a mio avviso, mai superflui. Pur essendo di breve durata, l’anime riesce in modo più che discreto nell’intento di caratterizzare le diverse personalità; fra le più interessanti: Juuzou Suzuya, Takatsuki Sen e Arima (del quale, per il momento, sappiamo ancora poco). Ci viene inoltre proposto un “secondo Ken Kaneki”, totalmente differente da quello della prima serie, per motivi legati alla trama.
Sono numerosi tuttavia i personaggi di cui, per ora, conosciamo solo il nome: spesso fanno la loro comparsa e svaniscono senza dare indizi sulla loro importanza all’interno della storia.

Se la brevità con cui vengono narrati gli eventi è da un lato positiva, rendendo più semplice e scorrevole la storia, dall’altra rende la visione di quest’anime più impegnativa, in particolar modo per coloro che non seguono il manga: essendo l’anime poco ridondante, lo spettatore deve saper dare il giusto valore ad ogni avvenimento, dal momento che i particolari più significativi non vengono enfatizzati a dovere come spesso succede in altre opere.
Un esempio di ciò è il fatto che la scena chiave di questa stagione sia stata collocata al termine della ending dell’episodio 11: a causa di questo “inconveniente”, molti spettatori non hanno assistito alla scena e questo ha spesso portato a un ovvio giudizio negativo dell’intera opera.

La narrazione procede a ritmi relativamente lenti rispetto alla prima serie: l’attenzione è rivolta ai personaggi, alle relazioni che li legano e al loro passato. La stessa figura di Ken Kaneki, alle prese con il proprio dramma esistenziale, passa in secondo piano. Gli eventi accelerano gradualmente in direzione di una conclusione che da un lato lascia aperte molte questioni, ma dall’altro risolve il mistero più rilevante di questa seconda stagione: l’identità del gufo.

Molti fattori che solitamente portano a un giudizio negativo su quest’anime li considero invece dei punti di forza; un particolare apprezzamento va allo stile frammentato e apparentemente disconnesso della narrazione, che più di ogni altra cosa rende giustizia a quello che è lo stile narrativo del manga.
In conclusione, reputo “Tokyo Ghoul √A” una serie per molti aspetti superiore alla precedente, che tuttavia penalizza non poco coloro che non seguono il manga.