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5.0/10
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Attenzione: la recensione contiene spoiler!

Probabilmente se avessi letto "Alita" anni fa, magari al tempo della sua pubblicazione, oppure prima di altri shonen, forse mi sarebbe piaciuto, ma ho una lunga lista di letture alle mie spalle e siamo nel 2023, quindi l’unica cosa che posso dire è che questo manga non è invecchiato benissimo e fin dal primo capitolo è possibile notare il perché. Ma andiamo con ordine iniziando dalle cose belle.

Tra i pregi si annoverano sicuramente i disegni dettagliati e molto precisi soprattutto nei combattimenti, infatti, questi sono per la maggior parte facili da seguire. Lo stile ha ovviamente quel sapore tipico degli anni ’80 soprattutto durante i primi capitoli e sembra anche esserci una particolare influenza di altri manga, come "Ken il guerriero", nella realizzazione di alcuni personaggi maschili.
I punti dolenti, invece, risiedono nei personaggi e nella narrazione. L’idea che Kishiro vuole trasmette del personaggio di Alita è quella di una ragazza forte all’esterno, ma dal cuore fragile, combattuta tra l’essere un’umana o un cyborg, e tormentata dal passato che non riesce a ricordare. Sicuramente nulla di originale, ma basta poco per rendere questa un’ottima premessa per un bel personaggio introspettivo, peccato che non sia questo il risultato raggiunto da Kishiro. Fin da subito è possibile notare come l’autore preferisca la tecnica del “o’ dimo” di Boris, ovvero non il mostrare i sentimenti dei personaggi con azioni e interazioni tra loro, ma prendere momenti spesso casuali all’interno di un’azione per far dire frasi che cercano in tutti i modi di risultare profonde fallendo miseramente.
Ad esempio: capitolo 5, Alita è scesa nelle fogne per inseguire Makaku che ha rapito la piccola Koyoko; fino a quel momento Alita ha mostrato di avere coraggio e sprezzo del pericolo, è stata ironica e irriverente verso Makaku, e adesso sembra esserci una lotta contro il tempo per salvare la bambina, ma no, meglio fermarsi per due vignette solo per pensare «Anche io ho un cuore sensibile, anche se è molto nascosto dentro di me.» Non è quello il momento giusto per questo tipo di pensieri e soprattutto non è il personaggio a doverlo dire in modo così palese, dovrebbe essere qualcosa che il lettore scopre prima e di cui poi ha la conferma.
Inoltre, ci sono momenti, frasi e pensieri che vengono mostrati una volta e non hanno impatti importanti sulla trama. Come ad esempio quando Alita scappa dopo la morte di Yugo: Ido inizia a cercarla senza sosta per poi trovarla mentre gareggia nel Motorball, vuole riportarla a casa, ma lei non vuole; vengono mostrate due o tre vignette in cui Ido sembra provare una sorta di amore ossessivo e possessivo verso Alita, afferma anche che vuole farla di nuovo sua… e basta l’unica conseguenza di questo è la sua alleanza con Jashugan, e un po’ di rabbia verso la ragazza, nient’altro.
Si potrebbe continuare ancora con gli esempi, ma meglio fermarsi qui. Il punto è che lo sviluppo dei personaggi e le loro relazioni sono davvero realizzati in modo superficiale e, anche se andando avanti migliora (vedi il personaggio di Den/Kaos), rimane comunque un problema molto evidente (vedi il rapporto di Alita con Figura Quattro). Per quanto voglia davvero farmi piacere i personaggi, questi non riescono davvero ad emergere dalla piattezza in cui li ha rinchiusi l’autore.
Ultima nota sul finale, bella l’idea del segreto di Salem e tutta la storia della creazione delle città e di Melkhizedek, ma avrei preferito avere una scoperta più graduale della verità invece di vederla “buttata a casaccio” negli ultimi capitoli.
Come già scritto, i disegni sono belli e dettagliati con un fascino di fine anni ’80, i combattimenti forse la parte migliore del manga, ma per il resto è un’opera da leggere giusto per il successo che ha avuto nel panorama battle shonen.