Recensione
Jujutsu Kaisen
5.5/10
“You are my special” (o forse no)
“Jujutsu Kaisen” è l’adattamento animato dell’omonimo manga targato Gege Akutami e, ultimamente, sta godendo di un ampio favor populi presso il pubblico nipponico (e non).
Le ragioni di un tale fervente entusiasmo da parte degli appassionati rimangono, almeno per quanto mi riguarda, un mistero. La serie, infatti, non brilla particolarmente per originalità né, tantomeno, per qualità narrativa; ma andiamo con ordine.
Dopo l'incomprensibile successo di “Demon Slayer” (o, mutatis mutandis, di “Attack on Titan”) questa volta è “Jujutsu Kaisen” ad imporsi nel pantheon degli shounen come il prossimo oggetto di venerazione da parte delle folle. Tuttavia, non è dato comprenderne la ragione, in quanto la serie non aggiunge alcunché di nuovo al genere, tanto da risultare, né più né meno, come una sostanziale e algida riproposizione dei più caratteristici topoi dello stesso. “Jujutsu Kaisen” compie, infatti, una sorta di curiosa opera di decoupage; saccheggiando un po’ “Naruto”, depredando un po’ “Bleach” e strizzando l'occhio a numerosi altri shounen classici (talvolta citandoli espressamente), incastra accortamente i propri pezzi dando l’apparenza di una formula nuova, ma così non è.
Non a caso la serie si pone, invero, alla guisa di un anti-shounen, vestendosi di un sudario di illusoria serietà e maturità che, cionondimeno, non riesce del tutto nell’intento di occultarne l’inadeguatezza.
Non vi è chi non veda, infatti, che la trama e lo storytelling di “Jujutsu Kaisen” siano afflitti da molteplici carenze, sia da un punto di vista contenutistico che strettamente diegetico.
Partendo da quest’ultima considerazione, l’affabulazione della serie si evolve malamente, arrancando in una sinusoide irregolare di alti e bassi che, purtroppo, soffre di frequenti accelerazioni salvo poi inchiodare in fangosi “spiegoni” che certo non giovano al ritmo narrativo.
E infatti, “Jujutsu Kaisen” in un primo momento inserisce letteralmente il turbo e brucia le tappe, lasciando però la maggior parte dei propri elementi claudicanti, senza un adeguato approfondimento, senza prendersi il tempo per evolvere gradualmente conducendo con sé lo spettatore. Conseguentemente la serie si trova spesso costretta a forzare le spiegazioni (alle volte ne fa anche a meno) a beneficio del fruitore che, del tutto legittimamente, può sentirsi sballottato e confuso in queste vorticose montagne russe.
Peraltro, verso il terminare della seconda stagione la situazione, inaspettatamente, si inverte e il ritmo rallenta in modo innaturale, dilatando i tempi narrativi all’inverosimile, tanto da rendere estenuante la visione. La trama procede fondamentalmente di combattimento in combattimento, esasperando irragionevolmente la durata degli scontri e concedendo pochissimo peso ad altri eventi di rilievo, come la morte di alcuni personaggi, con un risultato del tutto anticlimatico nonché farraginoso.
Inoltre, di punto in bianco, sovente la narrazione si sviluppa in direzioni completamente casuali, che appaiono totalmente ‘randomiche’ e calate ex abrupto dall’alto, fornendo l’impressione che la storia sia concepita più di arco in arco che rispettando una visione di insieme coerente (salvo alcuni macro aspetti, come ad esempio il “piano” di Sukuna, che sono tuttavia sotterranei).
Vi è, ad onore del vero, una parziale eccezione a questo modus operandi nel film e nel flashback, e ciò risolleva leggermente il mio giudizio sulla serie.
Per quanto concerne la storia, i contenuti di “Jujutsu Kaisen” sono comodamente approssimabili allo zero assoluto. Le motivazioni dei personaggi, le loro caratterizzazioni e, più in generale, le tematiche della serie sono essenzialmente monodimensionali, piatte e affrontate in modo epidermico. La serie tenta invano di darsi un tono mediante l'espediente di scene violente, morti crudeli, poteri peculiari e personaggi molto “cool”, ma ciò, invero, all’unico scopo di celare un soggiacente vacuum concettuale.
Fermo quanto sopra esposto, vi è da ammettere che l’autore tenta di ribaltare alcuni cliché tipici degli shounen, come ad esempio l’onnipresente “arco di allenamento”, la non fallibilità del protagonista, il fatto che spiegare il proprio potere lo renda più forte (così che ha effettivamente senso che i personaggi lo facciano, sebbene comunque appaia anche come un pigro espediente per poter giustificare gli ‘spiegoni’), nonché la morte di personaggi principali (in un afflato quasi alla “Game of Thrones”).
Il fatto stesso che Sukuna non sia controllabile da Itadori ma, a tutti gli effetti, un vero e proprio villain, che persegue i propri piani, è un tentativo di remare contro ad alcuni stereotipi del genere. Si tratta però di scelte che, nell’economia complessiva della serie, non riescono nel loro intento, perché riguardano aspetti prettamente formali. Peraltro, la mancanza di un allenamento rende poco credibili i progressi del protagonista che subisce "level up" totalmente arbitrari e che non hanno adeguata giustificazione.
A stemperare un poco tale valle di lacrime vi è, comunque, la presenza di alcune figure effettivamente interessanti, quali Nanami, Mahito oppure Geto, la cui scrittura è abbastanza buona; tuttavia, trattasi di elementi non idonei e sufficienti a sovvertire la generale drammatica carenza di contenuti di quest’opera.
Un ulteriore elemento che ho trovato tutt’altro che convincente è il cosiddetto “sistema di poteri” che sta alla base di tutto l’ecosistema sovrannaturale di “Jujutsu Kaisen”.
Se, da un lato, il concetto delle maledizioni quali mostri che nascono dalle emozioni e dai sentimenti negativi è interessante, sebbene non certo inedito o avveniristico (basti pensare agli ultimi episodi di “Ayakashi Japanise Classic Horror” o a “Mononoke”), dall'altro lato, le tecniche innate sono invece sintomo di estrema pigrizia. Mi spiego meglio: nel mondo di “Jujutsu Kaisen” ogni individuo cela dentro di sé una tecnica innata, ovverosia un potere unico che soltanto lui può utilizzare, il quale può rimanere sopito oppure essere risvegliato. Tali tecniche, tuttavia, si caratterizzano per gli effetti più disparati e diversi, dal poter invertire le leggi della fisica al poter trasferire il proprio cervello da un corpo all’altro.
Ebbene, tale struttura appare palesemente quale un comodo generatore automatico di poteri ‘randomici’, come più aggrada e necessita all’autore, senza che questi sia costretto a darne spiegazione, perché tanto si tratta di “un potere innato” che letteralmente “ciccia” fuori ex nihilo.
Inutile dire che siamo lontani anni luce da sistemi molto più interessanti come, per limitarci ad un solo esempio, il Nen di “Hunter x Hunter”, le cui dinamiche sono dettagliatamente e accuratamente strutturate.
Da ultimo, e molto brevemente, la realizzazione grafica è in generale molto buona, così come la regia, le animazioni e le musiche. Vi è da essere onesti su questo: la confezione di “Jujutsu Kaisen” è veramente pregevole e appagante, in particolar modo per quanto riguarda la realizzazione di alcuni combattimenti dell’arco di Shibuya.
Concludendo, non mi sento di dire che “Jujutsu Kaisen” sia per forza di cose da considerare come un brutto anime, anzi, in ragione anche (e soprattutto) del proprio apparato grafico si lascia tutto sommato guardare; tuttavia, soffre di un generalizzato "hype" che purtroppo lo fa percepire come molto sopravvalutato rispetto a ciò che è: uno shounen senza infamia né lode.
“Jujutsu Kaisen” è l’adattamento animato dell’omonimo manga targato Gege Akutami e, ultimamente, sta godendo di un ampio favor populi presso il pubblico nipponico (e non).
Le ragioni di un tale fervente entusiasmo da parte degli appassionati rimangono, almeno per quanto mi riguarda, un mistero. La serie, infatti, non brilla particolarmente per originalità né, tantomeno, per qualità narrativa; ma andiamo con ordine.
Dopo l'incomprensibile successo di “Demon Slayer” (o, mutatis mutandis, di “Attack on Titan”) questa volta è “Jujutsu Kaisen” ad imporsi nel pantheon degli shounen come il prossimo oggetto di venerazione da parte delle folle. Tuttavia, non è dato comprenderne la ragione, in quanto la serie non aggiunge alcunché di nuovo al genere, tanto da risultare, né più né meno, come una sostanziale e algida riproposizione dei più caratteristici topoi dello stesso. “Jujutsu Kaisen” compie, infatti, una sorta di curiosa opera di decoupage; saccheggiando un po’ “Naruto”, depredando un po’ “Bleach” e strizzando l'occhio a numerosi altri shounen classici (talvolta citandoli espressamente), incastra accortamente i propri pezzi dando l’apparenza di una formula nuova, ma così non è.
Non a caso la serie si pone, invero, alla guisa di un anti-shounen, vestendosi di un sudario di illusoria serietà e maturità che, cionondimeno, non riesce del tutto nell’intento di occultarne l’inadeguatezza.
Non vi è chi non veda, infatti, che la trama e lo storytelling di “Jujutsu Kaisen” siano afflitti da molteplici carenze, sia da un punto di vista contenutistico che strettamente diegetico.
Partendo da quest’ultima considerazione, l’affabulazione della serie si evolve malamente, arrancando in una sinusoide irregolare di alti e bassi che, purtroppo, soffre di frequenti accelerazioni salvo poi inchiodare in fangosi “spiegoni” che certo non giovano al ritmo narrativo.
E infatti, “Jujutsu Kaisen” in un primo momento inserisce letteralmente il turbo e brucia le tappe, lasciando però la maggior parte dei propri elementi claudicanti, senza un adeguato approfondimento, senza prendersi il tempo per evolvere gradualmente conducendo con sé lo spettatore. Conseguentemente la serie si trova spesso costretta a forzare le spiegazioni (alle volte ne fa anche a meno) a beneficio del fruitore che, del tutto legittimamente, può sentirsi sballottato e confuso in queste vorticose montagne russe.
Peraltro, verso il terminare della seconda stagione la situazione, inaspettatamente, si inverte e il ritmo rallenta in modo innaturale, dilatando i tempi narrativi all’inverosimile, tanto da rendere estenuante la visione. La trama procede fondamentalmente di combattimento in combattimento, esasperando irragionevolmente la durata degli scontri e concedendo pochissimo peso ad altri eventi di rilievo, come la morte di alcuni personaggi, con un risultato del tutto anticlimatico nonché farraginoso.
Inoltre, di punto in bianco, sovente la narrazione si sviluppa in direzioni completamente casuali, che appaiono totalmente ‘randomiche’ e calate ex abrupto dall’alto, fornendo l’impressione che la storia sia concepita più di arco in arco che rispettando una visione di insieme coerente (salvo alcuni macro aspetti, come ad esempio il “piano” di Sukuna, che sono tuttavia sotterranei).
Vi è, ad onore del vero, una parziale eccezione a questo modus operandi nel film e nel flashback, e ciò risolleva leggermente il mio giudizio sulla serie.
Per quanto concerne la storia, i contenuti di “Jujutsu Kaisen” sono comodamente approssimabili allo zero assoluto. Le motivazioni dei personaggi, le loro caratterizzazioni e, più in generale, le tematiche della serie sono essenzialmente monodimensionali, piatte e affrontate in modo epidermico. La serie tenta invano di darsi un tono mediante l'espediente di scene violente, morti crudeli, poteri peculiari e personaggi molto “cool”, ma ciò, invero, all’unico scopo di celare un soggiacente vacuum concettuale.
Fermo quanto sopra esposto, vi è da ammettere che l’autore tenta di ribaltare alcuni cliché tipici degli shounen, come ad esempio l’onnipresente “arco di allenamento”, la non fallibilità del protagonista, il fatto che spiegare il proprio potere lo renda più forte (così che ha effettivamente senso che i personaggi lo facciano, sebbene comunque appaia anche come un pigro espediente per poter giustificare gli ‘spiegoni’), nonché la morte di personaggi principali (in un afflato quasi alla “Game of Thrones”).
Il fatto stesso che Sukuna non sia controllabile da Itadori ma, a tutti gli effetti, un vero e proprio villain, che persegue i propri piani, è un tentativo di remare contro ad alcuni stereotipi del genere. Si tratta però di scelte che, nell’economia complessiva della serie, non riescono nel loro intento, perché riguardano aspetti prettamente formali. Peraltro, la mancanza di un allenamento rende poco credibili i progressi del protagonista che subisce "level up" totalmente arbitrari e che non hanno adeguata giustificazione.
A stemperare un poco tale valle di lacrime vi è, comunque, la presenza di alcune figure effettivamente interessanti, quali Nanami, Mahito oppure Geto, la cui scrittura è abbastanza buona; tuttavia, trattasi di elementi non idonei e sufficienti a sovvertire la generale drammatica carenza di contenuti di quest’opera.
Un ulteriore elemento che ho trovato tutt’altro che convincente è il cosiddetto “sistema di poteri” che sta alla base di tutto l’ecosistema sovrannaturale di “Jujutsu Kaisen”.
Se, da un lato, il concetto delle maledizioni quali mostri che nascono dalle emozioni e dai sentimenti negativi è interessante, sebbene non certo inedito o avveniristico (basti pensare agli ultimi episodi di “Ayakashi Japanise Classic Horror” o a “Mononoke”), dall'altro lato, le tecniche innate sono invece sintomo di estrema pigrizia. Mi spiego meglio: nel mondo di “Jujutsu Kaisen” ogni individuo cela dentro di sé una tecnica innata, ovverosia un potere unico che soltanto lui può utilizzare, il quale può rimanere sopito oppure essere risvegliato. Tali tecniche, tuttavia, si caratterizzano per gli effetti più disparati e diversi, dal poter invertire le leggi della fisica al poter trasferire il proprio cervello da un corpo all’altro.
Ebbene, tale struttura appare palesemente quale un comodo generatore automatico di poteri ‘randomici’, come più aggrada e necessita all’autore, senza che questi sia costretto a darne spiegazione, perché tanto si tratta di “un potere innato” che letteralmente “ciccia” fuori ex nihilo.
Inutile dire che siamo lontani anni luce da sistemi molto più interessanti come, per limitarci ad un solo esempio, il Nen di “Hunter x Hunter”, le cui dinamiche sono dettagliatamente e accuratamente strutturate.
Da ultimo, e molto brevemente, la realizzazione grafica è in generale molto buona, così come la regia, le animazioni e le musiche. Vi è da essere onesti su questo: la confezione di “Jujutsu Kaisen” è veramente pregevole e appagante, in particolar modo per quanto riguarda la realizzazione di alcuni combattimenti dell’arco di Shibuya.
Concludendo, non mi sento di dire che “Jujutsu Kaisen” sia per forza di cose da considerare come un brutto anime, anzi, in ragione anche (e soprattutto) del proprio apparato grafico si lascia tutto sommato guardare; tuttavia, soffre di un generalizzato "hype" che purtroppo lo fa percepire come molto sopravvalutato rispetto a ciò che è: uno shounen senza infamia né lode.