Su queste pagine probabilmente avete notato come alcune recensioni escano con un leggero ritardo rispetto la media, una situazione che sicuramente ricalca lo slow journalism ma che regala a voi utenti qualcosa di importante: una valutazione di un'esperienza quanto più vicina a quella reale, con tempi e modi che la gran parte dei videogiocatori attua quando si trova pad alla mano.
Con Starfield dunque non si poteva fare altrimenti, un'opera gargantuesca che necessita di tempo per essere metabolizzata e compresa, analizzata e studiata e in fine valutata senza quella fretta che in questo campo la fa da padrona.
 
Il momento è giunto

Dunque, abbiamo finalmente tra le mani Starfield, la prima nuova IP di Bethesda dopo innumerevoli anni e che arriva con un sapore diverso, quello di esclusiva Microsoft. Un colpo importante per il team di Redmond, capace finalmente di vantare una killer application, contando anche su Xbox GamePass, già dal day one.
Milioni di giocatori si sono già approcciati al nuovo lavoro sci-fi e nonostante la ventata di aria fresca dovuta ad ambientazioni, feature e all'aggiornato Creation Engine, il feeling è sempre il medesimo. Chi ha già vissuto le precedenti avventure Bethesda infatti, tra Fallout e The Elder Scrolls, si sente praticamente a casa, una confort zone che però, come vedremo, nasconde più insidie che altro.

Ci troviamo intorno il 2300. L'umanità è riuscita a colonizzare una buona fetta della Via Lattea, un po' per scelta, per via dell'innata indole ad esplorare, un po' costretta, visto che la Terra si stava via via trasformando in Marte. Unendo le forze dunque, l'umanità ha trovato modo di raggiungere le stelle, ma questa alleanza dura molto brevemente, spezzandosi in varie fazioni con cui ci ritroveremo a interagire. Entrati a far parte di Constellations, si andrà alla ricerca di misteriosi manufatti, capaci forse di dare una risposta definitiva allo spazio, al tempo e alla vita. Una risposta insomma che non sia “42”.

Questo però, come Bethesda ci ha ampiamente abituati, è solo la punta dell'iceberg di un'esperienza assai più complessa ed espansa, senza mai dimenticare i propri canoni di scrittura e sceneggiatura e purtroppo, anche di regia.
Si è tanto parlato di viaggi spaziali e di intelligenza artificiale (cose che vedremo dopo) ma uno dei problemi più grandi di Starfield sta proprio nel modo in cui viene messo in scena tutto quanto. Si può puntare il dito verso il Creation Engine certo, ottimo quando si tratta di fisica quanto non lo è in fatto di animazioni dei personaggi. Il nuovo lavoro Bethesda è infatti un gioco di ruolo di piena regola ma questo aspetto non riguarda solo il puro e semplice gameplay, statistiche e perk da migliorare o meno. Gioco di ruolo vuol dire anche "mondo di gioco" e per funzionare, prima di tutto, deve essere credibile.
 
Un mistero grande quanto l'universo

Il world bulding creato per Starfield è qualcosa di incredibile, sia dal punto di vista artistico sia dal punto di vista del background narrativo, visto la mole di informazioni presenti, anche comunicando con un semplice passante. Le varie fazioni presenti hanno senso di esistere, una tangibilità che sicuramente aiuta il giocatore a districarsi tra le diverse scelte presenti che però, come al solito, influiscono sono superficialmente sul mondo di gioco. Ma lasciamo perdere questo aspetto per adesso per l'elemento importante da tenere a mente non è tanto il “macro”, che funziona, ma le parti che lo compongono e una di queste, è data dai personaggi.
Nonostante si possa scegliere se vivere il gioco in prima o in terza persona (dipende da quanto apprezziate le animazioni) l'interazione con gli altri è pressoché nulla. Come nei lavori precedenti infatti, lo scambio di battute è relegato a un menu di frasi preimpostate, mutevoli in base all'esperienza acquisita e che possono essere considerate come un coltellino svizzero dialettico. In sostanza, dialoghi a scelta multipla che però, soffrono prima di tutto di una qualità molto altalenante, peggiorata dalla totale mancanza di regia.

Di fatti, ogni volta che interagiamo con qualcuno, si avvia il classico zoom verso l'interlocutore, un primo piano che ci focalizza su personaggio che vanta animazioni facciali ingessate ed esclude quasi totalmente il contesto intorno a esso. Qualcuno potrebbe dire: “beh, è la firma Bethesda”, un marchio di fabbrica, una tradizione quasi. Ma è giusto così?
Negli ultimi anni abbiamo assistito a tantissime opere di livello, sia a livello narrativo sia a livello di regia, mettendo su un piedistallo il tanto bistrattato Cyberpunk 2077 (qui un approfondimento) che di limiti sicuramente ne aveva ma non quello di far sentire il giocatore parte di qualcosa o di qualcuno. L'ultimo lavoro di CD Project RED infatti eccelle nel modo in cui si interagisce con gli altri, vantando anche dei dialoghi davvero interessanti e che spinge il giocatore ad approfondire il contesto. Starfield si presenta davvero freddo e dissociativo: quanto comunicato dal doppiaggio non traspare dal modello poligonale e questo è un grosso limite quando, in qualche modo, dovremmo provare empatia.
 
Niente male come città spaziale

Può sembrare assurdo, ma si avverte più umanità nelle comunicazioni solo radio di Armored Core VI (qui la recensione) che in tutto Starfield e considerando alcune scelte di rilevanza cruciale, anche di vita o morte, vivere queste situazioni tocca minimamente il cuore del giocatore. In poche parole, Starfied non è credibile, non solo per il modo in cui si interagisce (per pietà non parleremo le romance) ma anche per la qualità della scrittura e della sceneggiatura. Esistono dei momenti, molto rari, in cui non sopraggiunge quel classico “zoom” ed è lì che accade la magia, un momento in cui interagiamo in modo verosimile con qualcun altro, cambiando drasticamente il volto dell'esperienza. Purtroppo non accade quasi mai.
Un universo così vasto e complesso comporta per forza di cosa una qualità altalenante di quest e interazioni, in una bilancia che se pende al 60% tra le cose fatte bene è tanto di guadagnato. Il problema è che in questo caso si assiste al contrario, con solo l'ultimo terzo dell'avventura a divenire realmente interessante e con ottimi spunti narrativi. Quello che viene raccontato, il più delle volte, è semplice routine o da romanzo di “serie B”, a tratti ilare, a tratti cringe. Fortunatamente però non è sempre così.

Sfruttando tutto il panorama pop, vi sono situazioni che riescono a tenere alta l'attenzione, tra esperienze a là Alien o da Spaghetti Western, sino alla fantascienza dura e pura che trova paradossalmente nel New Game + il suo vero picco.
In questa bulimia di dialoghi e documenti, si può incappare anche in un altro effetto collaterale: quello delle quest. Infatti, oltre a quelle normalmente assegnate da chi è al comando, potremmo ritrovarci nella lista missioni di cui non si ha coscienza, perché magari un passante, mentre chiacchierava, parlava di come ha trovato lavoro presso una multinazionale. È così che, semplicemente andando a spasso per i pianeti, potremmo ritrovarci con una caterva di incarichi non richiesti capaci di mettere soggezione alla stessa maniera di Assassin's Creed: Odyssey (qui un approfondimento). Ma con l'open world Ubisoft, c'è anche un altro tratto in comune.
 
Benvenuti sulla Terra

Starfield è un'opera sci-fi, simile per certi versi a The Expanse anche per il concetto di credibilità di strutture e navi spaziali. Si viaggia molto dunque, liberamente tra avamposti, pianeti e lune sparse per la galassia, senza dimenticare stazioni spaziali, altre navi e palazzi. Sì, anche palazzi e case fanno parte dell'avventura proposta da Bethesda, perché accomunati dagli stessi problemi: caricamenti e dispersività. Proprio come nei precedenti lavori, ogni passaggio richiede un caricamento e considerando che le cose da vedere sono tante, il frazionamento dell'opera è dietro l'angolo. Starfield si configura come una piccola grande collezione di perdite di tempo, che non solo inficia sull'effettiva fruibilità dell'opera ma anche sul coinvolgimento visto che mentre ci si trova in missione o si è immersi tra le stelle, esiste quell'attimo di smarrimento dovuto alla schermata di caricamento che ci distacca dal flusso dell'immersione. Come abbiamo visto, Starfield è già poco immersivo e i vari caricamenti non fanno altro che peggiorare la situazione. Ma c'è di più: proprio come il già citato Odyssey, Starfield è tremendamente dispersivo, intrinsecamente dovuto al contesto spaziale ma soprattutto per il design delle quest che ci porta da un lato all'altro della galassia colonizzata solo per trenta secondi di chiacchierata.

Non capita spesso di trovarsi in un mood fatto di acquisizione missione, caricamento/i, viaggio, caricamento/i, svolgimento, caricamento/i, viaggio, caricamento/i, dialogo, caricamento/i e così via verso l'infinito e oltre. Non è godibile e si ritorna sulla credibilità, in cui si può contare su tecnologia illimitata da tutto l'universo ma non si può effettuare una chiamata interurbana.
Semplici comunicazioni via radio a distanza avrebbero snellito a dismisura la frammentazione del gameplay, evitando di rifare viaggi semplicemente per sentirsi dire “bravo”. Il design delle quest è semplicemente antiquato, rimasugli di un passato che ha visto milioni di giocatori passare dal punto A al punto B, dal punto C al punto D e di nuovo al punto B per poi tornare al punto A. Questo problema è dovuto anche al lunghissimo tempo di sviluppo di Starfield molto probabilmente ma queste scelte nascondono forse dei limiti strutturali dello studio, alla stessa maniera con cui Polyphony Digital si interfaccia con Gran Turismo.

Nonostante il paragone sia un po' azzardato, la sensazione è quella di trovarsi nella stessa identica situazione quando si approcciano i due titoli, schiavi di lunghi processi di sviluppo, magari nel frattempo superati e con un'incapacità di fondo di rinnovarsi, senza prendere nemmeno in considerazione quanto realizzato dalla concorrenza. Ed è su queste basi che arriviamo ai viaggi spaziali, già accennati e che rappresentano uno dei core dell'esperienza. La questione Viaggi Rapidi, “polemica internettiana” dell'ultima ora è in realtà un problema superfluo: volendo si può viaggiare tra un pianeta e l'altro o tra un pianeta e sua luna ma visto che si tratta di distanze siderali, risulta abbastanza ovvia l'implementazione di questa feature. Snellisce anzi un po' il gameplay, frazionando l'esperienza, certo, ma sicuramente velociazzando qualcosa che altrimenti avrebbe impiegato ore per singolo spostamento.
 
Staticità e inverosimiglianza


Qualcuno diceva “nello spazio nessuno può sentirti urlare” ma in Starfield la situazione è ben diversa. Si incrocerà quasi sempre qualche nave amica o nemica e qualche stazione spaziale, con cui si potrà avviare qualche comunicazione via radio. Anche la scelta di mantenere l'audio durante le gite nello spazio è una scelta che spettacolarizza molto quello che ci accade attorno (del resto servono feedback), soprattutto durante i combattimenti spaziali. Tutto ruota attorno all'incredibile editor della nostra nave, con centinaia di pezzi che andranno a comporre quasi liberamente ciò che vogliamo. Il configuratore è davvero eccezionale e benché le varie componenti siano avare di statistiche, si può costruire la nave dei propri sogni e mandarla a esplorare strani e nuovi mondi o a combattere per il semplice piacere di farlo. In una situazione in cui possiamo smistare l'energia ai diversi sistemi per migliorarne l'efficacia in base l'esigenza, il combat system spaziale è sorprendente, capace di regalare dei buoni feedback e anche una certa dose di tatticismo, posizionandosi ad esempio dietro un asteroide e attendendo il momento propizio per attaccare. La possibilità di abbordare addirittura le navi avversarie poi regala delle sensazioni piratesche d'altri tempi e su questo, c'è da dire che il divertimento è assicurato.

Tutto è demandato alla scelta del giocatore in Starfield, anche nella ricerca delle risorse necessarie per il crafting, ad esempio se farlo a terra o sparando all'impazzata verso un meteorite. Questo approccio lo si vede un po' in tutti gli anfratti dell'opera e ovviamente anche nelle fasi di shooting.
Come da tradizione infatti, questa è una componente focale dell'esperienza, evoluta rispetto quanto visto in Fallout 4 e sorprendentemente piacevole nonostante un feedback non sempre all'altezza. Si nota anche un auto aim decisamente marcato indipendentemente dall'arma utilizzata, in certi frangenti necessario visto l'utilizzo del jetpack. Impugnare le diverse bocche da fuoco regala una piacevole esperienza nell'insieme anche se vanno considerate delle hitbox un po' ballerine e un bloom forse eccessivo. Si spara parecchio dunque e benché il dinamismo non sia proprio di casa, riesce a regalare diverse dose di adrenalina, almeno quando l'IA funziona.
Anche questo è uno dei grossi problemi di Starfield: sia amici, sia nemici sono legati da routine comportamentali davvero basilari, in cui si va alla ricerca di un riparo e poco altro. Ma se su i nemici si può far davvero poco a quanto vediamo dai titoli presenti sul mercato, è l'IA dei nostri compagni a essere un problema rilevante, soprattutto quando si tratta di stealth. Al contrario di Ellie in The Last of Us, il nostro companion è pienamente visibile al nemico, il che significa che al 99% l'essere nascosti non servirà assolutamente a nulla.

È vero, ci sono compagni più propensi allo stealth di altri, ma di base chi ci accompagna rappresenta spesso un ostacolo in più durante l'esplorazione o i combattimenti, anche soltanto mettendosi tra noi e il nostro obiettivo. Siamo nel 2023 ed è anche ora di vedere qualcosa di un attimino più evoluto.
Qui veniamo alla parte tecnica, con il già citato Creation Engine in grado di mostrare scorci mozzafiato e un livello di dettaglio mai visto prima in una produzione Bethesda. Certo, siamo anche in un'altra generazione rispetto l'uscita di Fallout 4 ma considerando la mole di contenuti presenti, è lodevole il lavoro fatto dal team di Rockville, anzi ancor di più vista la mancanza dei soliti bug e glitch che siamo stati abituati a vedere.
La staticità di fondo però rende tutto un po' “vuoto”, dando la sensazione di trovarsi in ambienti fin troppo finti, come se in un film vedessimo la cinepresa. Si perde quella magia di fondo in grado di immergerci in una realtà non nostra, un problema a tutto tondo insomma.
Tuttavia la componente artistica fa il suo lavoro, con il cosiddetto NasaPunk capace di rendere astronavi, armi e abbigliamento non solo concettualmente tangibili e vicine a noi, ma anche interessanti a vedersi, visto che in qualche modo, si dà ancora molto più spazio alla praticità che allo stile. Un approccio appunto alla The Expanse come detto precedentemente e che rende Starfield subito riconoscibile, dandogli identità. L'approccio “starwarsiano” ai pianeti poi è azzeccato, almeno in quelli principali, con pianeti che esprimono un solo bioma o uno stile. Abbiamo per esempio Neon in pieno Cyberpunk, Nuova Atlantide che si configura come la città perfetta, Akila in pieno stile western e così via.

Questa buona varietà e densità di contenuti significano due cose: tante, tantissime cose da fare ma anche una certa pesantezza tecnica che su PC, si sente parecchio. L'ottimizzazione di Starfield è tutt'altro che perfetta e a peggiorare le cose vi è la totale mancanza al supporto del DLSS Nvidia che sicuramente avrebbe migliorato le cose. Tuttavia la stabilità non si discute e trovato un setup di impostazioni adeguate, difficilmente ci si troverà davanti a problemi.
Concludiamo la disamina con la componente audio, abbastanza standard negli effetti e con un doppiaggio (inglese, sottotitoli in italiano) di buona fattura ma rovinato dalla poca espressività dei personaggi. Musiche di pregevole fattura a cura di Inon Zur, riescono a suscitare emozioni anche quando il gioco fatica a restituirle, soprattutto durante la riproduzione del tema principale in grado di portarci istantaneamente in un'epopea di viaggi stellari, esplorazioni e il sogno di trovare risposte alle domande ancestrali dell'uomo. Almeno lui, ci riesce.
 
Starfied purtroppo non riesce a raggiungere tutti gli obiettivi prefissati. Un word building impressionante e la mole di contenuti non riescono a colmare le mancanze di fondo di un titolo che fatica davvero a restituire davvero qualcosa dopo averci passato su qualche ora. La qualità fin troppo altalenante della scrittura e discutibili scelte di design minano la totalità dell'esperienza, forse fin troppo ancorata a dettami un po' superati. Serve qualcosa di davvero nuovo, qualcosa di fresco in grado di portarci anima e mente in mondi inesplorati, quei mondi dove nessuno è mai giunto prima. Il problema è che in quello di Starfield ci siamo stati fin troppo.