Recensione
"Super Conductive Brain: Parataxis" è una delle rare opere di Kago che si può misurare coi canoni standard. In sostanza è un racconto breve di fantascienza distopica, con tratti splatter. Volendo misurarsi con una fabula lineare, comparsa graduale di personaggi e archi narrativi semplici, è come se Kago con Parataxis volesse dire al mercato "guardate che so anche fare storie normali". Il sospetto di questa volontà mi viene anche dall'alta cura nelle tavole, altro stilema inusuale per il maestro.
L'opera rimane interessante per i fan della fantascienza che si annoiano coi limiti imposti dalla morale e dal buon senso. La consiglierei come passo introduttivo a chi decidesse di entrare gradualmente nel mondo unico della mente di Kago.
Voto: 8,5. Solo 8 per Kago è un voto decisamente basso, i motivi principali sono due: la brevità dell'opera nel contesto della trama obiettivamente estesa costringono a riassunti che portano a salti di tavola e racconto sbrigativo di eventi complessi. Questo porta ad un distacco del lettore dal fluire del racconto. Il distacco è amplificato dalla presenza di tanti personaggi che non si ha il tempo e lo spazio per approfondire. Compaiono quindi all'interno delle 200 pagine decine di personaggi minori, senza un protagonista le cui avventure ci guidino nel contesto più ampio del mondo originale che Kago crea. L'assenza di protagonista comunque è il problema minore dato che l'autore ci abitua ad "annegarci" nelle sue opere, stupendoci con l'esagerazione negli eventi specifici. Kago purtroppo si annoia facilmente e in Parataxis se ne ha la percezione pratica, per essere fruibile dal largo pubblico avrebbe dovuto puntare ad una lunghezza media nello stile di Nausicaa, sei o sette volumi avrebbero consentito di approfondire gli archi narrativi, il contesto ambientale, i personaggi e le vere e proprie saghe che ci sono all'interno della storia.
Attenzione: questa parte contiene spoiler
Trama e pareri: sconsiglio la lettura a chi non abbia già letto l'opera, ma sconsiglio la lettura anche alle persone impressionabili in genere.
Ci troviamo un mondo post apocalittico in cui sono sopravvissute due tipologie di esseri umani. Quelli che hanno deciso di ibernarsi per migliaia di anni, e i discendenti di quelli che durante la catastrofe hanno scelto di farsi rimpicciolire (vi ricorderà l'ambientazione di Downsizing, ma non fatevi ingannare Parataxis è arrivata molti anni prima).
Il rimpicciolimento è virtualmente impossibile perché se rimpicciolissimo i neuroni i limiti fisici legati alla dimensione delle cellule ne impedirebbero il funzionamento. Un "geniale" scienziato riesce ad evitare il problema estraendo migliaia di cervelli, stivandoli in containers e collegandoli via radio ai corpi dei minuscoli uomini che nel frattempo popolano la terra. L'odio dello scienziato che non fu riconosciuto durante la sua vita, si ripercuote sulle persone criogenizzate, che vengono estratte dalle camere e fatte a pezzi. I pezzi di queste persone sono usati come materia prima per costruire mezzi la lavoro, autovetture, e più tardi macchine da guerra.
Nota Tecnica sulla regia.
In Parataxis il racconto inciampa su tavole giganti che aprono il contesto del punto di vista dei singoli personaggi. Qui credo che Kago ogni tanto si dimentichi del lettore e dia sfogo al proprio piacere narrativo, in un certo senso mi ricorda il genio di Andrea Pazienza, che rompe le regole della narrazione per andare incontro al proprio gusto personale, e alla propria voglia di disegnare i dettagli di una scena da un punto di vista che raccolga tutti gli avvenimenti. Queste scelte di allungamento di campo ci strappano dalla narrazione per buttarci sul contesto. Spesso il nuovo contesto è quello della violenza cruda, o meglio violenza funzionale, quasi clinica. Come se in un documentario sull'alimentazione degli esseri umani iniziassimo una scena di dettaglio sulle catene di montaggio dei mattatoi degli animali che spolpiamo e disossiamo per ricostruire monoporzioni più facili da cucinare per i consumatori. Immagina l'orrore di un pollo che vede quel documentario. Questo è Kago.
La sua costante insofferenza per quella che Lévi-Strauss ha chiamato "violenza fondativa" o "violenza necessaria", lo porta verso una fascinazione didascalica che ne vuole descrivere tutti i passaggi. Il fatto che Kago non provi un reale gusto nella violenza ovviamente non possiamo saperlo, ma credo si possa intuire da come i suoi personaggi vivono i momenti di violenza. In questo senso Parataxis è decisamente un outsider rispetto alle opere di Kago, dato che quì i personaggi non hanno veri e propri fetish, non godono della loro stessa alienazione ma provano semplicemente a vivere fuggendo da una violenza più grande (gli umani) mentre i "piccoli uomini telecomandati" sono talmente assuefatti dalla deumanizzazione dei giganti che per loro è normale trattarli come alberi in una segheria, come pietre in una cava, ed anzi si stupiscono della ribellione degli oggetti che fino a poco tempo prima non avevano una personalità.
Insomma grandissima opera che con più spazio avrebbe potuto essere immensa.
L'opera rimane interessante per i fan della fantascienza che si annoiano coi limiti imposti dalla morale e dal buon senso. La consiglierei come passo introduttivo a chi decidesse di entrare gradualmente nel mondo unico della mente di Kago.
Voto: 8,5. Solo 8 per Kago è un voto decisamente basso, i motivi principali sono due: la brevità dell'opera nel contesto della trama obiettivamente estesa costringono a riassunti che portano a salti di tavola e racconto sbrigativo di eventi complessi. Questo porta ad un distacco del lettore dal fluire del racconto. Il distacco è amplificato dalla presenza di tanti personaggi che non si ha il tempo e lo spazio per approfondire. Compaiono quindi all'interno delle 200 pagine decine di personaggi minori, senza un protagonista le cui avventure ci guidino nel contesto più ampio del mondo originale che Kago crea. L'assenza di protagonista comunque è il problema minore dato che l'autore ci abitua ad "annegarci" nelle sue opere, stupendoci con l'esagerazione negli eventi specifici. Kago purtroppo si annoia facilmente e in Parataxis se ne ha la percezione pratica, per essere fruibile dal largo pubblico avrebbe dovuto puntare ad una lunghezza media nello stile di Nausicaa, sei o sette volumi avrebbero consentito di approfondire gli archi narrativi, il contesto ambientale, i personaggi e le vere e proprie saghe che ci sono all'interno della storia.
Attenzione: questa parte contiene spoiler
Trama e pareri: sconsiglio la lettura a chi non abbia già letto l'opera, ma sconsiglio la lettura anche alle persone impressionabili in genere.
Ci troviamo un mondo post apocalittico in cui sono sopravvissute due tipologie di esseri umani. Quelli che hanno deciso di ibernarsi per migliaia di anni, e i discendenti di quelli che durante la catastrofe hanno scelto di farsi rimpicciolire (vi ricorderà l'ambientazione di Downsizing, ma non fatevi ingannare Parataxis è arrivata molti anni prima).
Il rimpicciolimento è virtualmente impossibile perché se rimpicciolissimo i neuroni i limiti fisici legati alla dimensione delle cellule ne impedirebbero il funzionamento. Un "geniale" scienziato riesce ad evitare il problema estraendo migliaia di cervelli, stivandoli in containers e collegandoli via radio ai corpi dei minuscoli uomini che nel frattempo popolano la terra. L'odio dello scienziato che non fu riconosciuto durante la sua vita, si ripercuote sulle persone criogenizzate, che vengono estratte dalle camere e fatte a pezzi. I pezzi di queste persone sono usati come materia prima per costruire mezzi la lavoro, autovetture, e più tardi macchine da guerra.
Nota Tecnica sulla regia.
In Parataxis il racconto inciampa su tavole giganti che aprono il contesto del punto di vista dei singoli personaggi. Qui credo che Kago ogni tanto si dimentichi del lettore e dia sfogo al proprio piacere narrativo, in un certo senso mi ricorda il genio di Andrea Pazienza, che rompe le regole della narrazione per andare incontro al proprio gusto personale, e alla propria voglia di disegnare i dettagli di una scena da un punto di vista che raccolga tutti gli avvenimenti. Queste scelte di allungamento di campo ci strappano dalla narrazione per buttarci sul contesto. Spesso il nuovo contesto è quello della violenza cruda, o meglio violenza funzionale, quasi clinica. Come se in un documentario sull'alimentazione degli esseri umani iniziassimo una scena di dettaglio sulle catene di montaggio dei mattatoi degli animali che spolpiamo e disossiamo per ricostruire monoporzioni più facili da cucinare per i consumatori. Immagina l'orrore di un pollo che vede quel documentario. Questo è Kago.
La sua costante insofferenza per quella che Lévi-Strauss ha chiamato "violenza fondativa" o "violenza necessaria", lo porta verso una fascinazione didascalica che ne vuole descrivere tutti i passaggi. Il fatto che Kago non provi un reale gusto nella violenza ovviamente non possiamo saperlo, ma credo si possa intuire da come i suoi personaggi vivono i momenti di violenza. In questo senso Parataxis è decisamente un outsider rispetto alle opere di Kago, dato che quì i personaggi non hanno veri e propri fetish, non godono della loro stessa alienazione ma provano semplicemente a vivere fuggendo da una violenza più grande (gli umani) mentre i "piccoli uomini telecomandati" sono talmente assuefatti dalla deumanizzazione dei giganti che per loro è normale trattarli come alberi in una segheria, come pietre in una cava, ed anzi si stupiscono della ribellione degli oggetti che fino a poco tempo prima non avevano una personalità.
Insomma grandissima opera che con più spazio avrebbe potuto essere immensa.