Recensione
La mia Maetel
9.0/10
A vent'anni dalla sua stesura (serializzata nel 2006–2007) diventa splendido rileggere un'opera come "La mia Maetel" del maestro Oku.
La trama ha un'apparenza lineare: uno sguardo domestico, pochi luoghi, pochi personaggi. Eppure quella semplicità ci stupisce: l'andamento accelera, spezza il ritmo e lascia quasi senza fiato, Oku rompe intenzionalmente la monotonia per far emergere le crepe emotive del protagonista. Il risultato è un equilibrio fra commedia e disagio che molti recensori giapponesi hanno definito "una nuova sensibilità sul tema dell’hikikomori" tema sorprendente se si pensa al resto della sua produzione.
L’incredulità e l’inerzia del protagonista maschile diventano la lente attraverso cui leggiamo una patologia sociale attuale: l’isolamento egoista che si trasforma in prigione auto-imposta. Oku non si limita a ritrarre comportamenti, ma tratteggia con delicatezza quel vuoto che rende l’atto di ricominciare qualcosa di faticoso e insieme fragile. È qui che l’opera funziona meglio: riesce a farci immedesimare, anche quando la storia compie scelte narrativamente discutibili.
Sul piano stilistico, il disegno è un’arma a doppio taglio a favore della storia: linee pulite, personaggi resi con tenerezza, volti che comunicano più di mille didascalie. Questo aiuta il lettore a provare empatia per un personaggio che, su carta, potrebbe risultare fastidioso. Alcune scelte narrative (e alcune scene a sfumature erotiche o moralmente ambigue) possono sembrare forzate o poco realistiche, ma viste nel contesto del racconto, servono a porre il lettore davanti a domande scomode su limiti di affetto e responsabilità.
Il finale è clamoroso e commovente: non chiude tutto con la logica del lieto epilogo perfetto, ma piuttosto con una parola gentile gettata verso il futuro, e in questo senso è veramente ottimo lavoro per il Sig. Oku, che dimostra una grande voglia di raccontare anche chi è ai margini della società.
In conclusione: "me~teru no kimochi" non è solo un curioso episodio nella carriera di Oku, è la prova che un autore divenuto noto per la violenza più splatter può avere la mano sensibile per le piccole cose. È una lettura consigliata a chi cerca un manga che sappia alternare leggerezza e dolore, e che non tema di essere scomodo.
La trama ha un'apparenza lineare: uno sguardo domestico, pochi luoghi, pochi personaggi. Eppure quella semplicità ci stupisce: l'andamento accelera, spezza il ritmo e lascia quasi senza fiato, Oku rompe intenzionalmente la monotonia per far emergere le crepe emotive del protagonista. Il risultato è un equilibrio fra commedia e disagio che molti recensori giapponesi hanno definito "una nuova sensibilità sul tema dell’hikikomori" tema sorprendente se si pensa al resto della sua produzione.
L’incredulità e l’inerzia del protagonista maschile diventano la lente attraverso cui leggiamo una patologia sociale attuale: l’isolamento egoista che si trasforma in prigione auto-imposta. Oku non si limita a ritrarre comportamenti, ma tratteggia con delicatezza quel vuoto che rende l’atto di ricominciare qualcosa di faticoso e insieme fragile. È qui che l’opera funziona meglio: riesce a farci immedesimare, anche quando la storia compie scelte narrativamente discutibili.
Sul piano stilistico, il disegno è un’arma a doppio taglio a favore della storia: linee pulite, personaggi resi con tenerezza, volti che comunicano più di mille didascalie. Questo aiuta il lettore a provare empatia per un personaggio che, su carta, potrebbe risultare fastidioso. Alcune scelte narrative (e alcune scene a sfumature erotiche o moralmente ambigue) possono sembrare forzate o poco realistiche, ma viste nel contesto del racconto, servono a porre il lettore davanti a domande scomode su limiti di affetto e responsabilità.
Il finale è clamoroso e commovente: non chiude tutto con la logica del lieto epilogo perfetto, ma piuttosto con una parola gentile gettata verso il futuro, e in questo senso è veramente ottimo lavoro per il Sig. Oku, che dimostra una grande voglia di raccontare anche chi è ai margini della società.
In conclusione: "me~teru no kimochi" non è solo un curioso episodio nella carriera di Oku, è la prova che un autore divenuto noto per la violenza più splatter può avere la mano sensibile per le piccole cose. È una lettura consigliata a chi cerca un manga che sappia alternare leggerezza e dolore, e che non tema di essere scomodo.