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Piattaforma: PlayStation 3 --- Voto 7
"Il primo Dead or Alive venne eretto su quattro pilastri, su due estremità c’erano i giocatori casual e quelli hardcore, dall’altra parte il sesso e la violenza. L’obiettivo era trovare un punto di incontro tra questi quattro elementi, il gioco non doveva essere troppo complicato per fare in modo che i casual e i principianti potessero divertirsi, ma nemmeno troppo facile per non perdere l’utenza hardcore. Non doveva essere troppo violento per non urtare i giocatori più sensibili e neanche diventare troppo “sexy” per non trasformarlo in un Ero-game."

Il fondatore e ormai ex game designer di spicco dei Team Ninja, Tomonobu Itagaki, definisce così in una recente intervista la sua creatura più famosa, asserendo che l’ultimo capitolo di Dead or Alive (il primo sviluppato senza il suo supporto), abbia di contro virato decisamente troppo sul lato sexy e su quello hardcore, rischiando in tal modo di allontanare nuovi giocatori e chiudersi in una nicchia di appassionati. Sarà davvero così? Quanto è difficile oggi creare un picchiaduro accessibile, ma allo stesso tempo sufficientemente tecnico per appagare i più esperti? DOA ci prova ma senza rinunciare alla tentazione di aggiornare per qualche anno il medesimo gioco, infarcendolo di DLC a pagamento per arrotondare.

Fin dalla sua nascita nel 1996, la serie di Dead or Alive ha ignorato il suo più diretto rivale che spopolava in quel periodo, ossia Tekken, prendendo invece come punto di riferimento il Virtua Fighter di SEGA, sia tecnicamente (il primo capitolo venne sviluppato su scheda arcade Sega Model2, la stessa di VF2, e il secondo su scheda NAOMI, la tecnologia basata sul Dreamcast) sia come approccio ai comandi, con due soli tasti per l’attacco (pugni e calci) diversamente dai 4 di Tekken. Al posto del terzo tasto di Virtua Fighter, quello della difesa, DOA si presentò con un comando adibito alle contromosse, e proprio queste saranno l’elemento distintivo del gameplay della serie Tecmo rispetto a quelle della concorrenza; con la semplice pressione di un tasto era possibile bloccare i colpi dell’avversario e contrattaccare, rendendo tutto molto più frenetico rispetto a quanto visto fino ad allora nei picchiaduro 3D.
In seguito il sistema è stato rivisto, oggi per effettuare le contromosse bisogna premere anche le direzioni ed è stato aggiunto il tasto per le proiezioni, ma sostanzialmente la base del gameplay di Dead or Alive si poggia sul cosiddetto “Triangle System”, una sorta di carta-sasso-forbici in chiave fighting game dove i singoli colpi battono le proiezioni, le proiezioni battono le prese e le prese battono i colpi. Se fino ad oggi avete giocato a DOA senza essere a conoscenza di ciò, vuol dire che fate parte di quella categoria di giocatori casual di cui faceva riferimento Itagaki: non che sia necessariamente qualcosa su cui fare penitenza andando a nascondersi, ma queste sono proprio le basi.

Ovviamente man mano che si va ad approfondire il sistema di combattimento entrano in scena altri fattori, su tutti quello dei Critical Stun, ossia quando l’avversario va in stordimento dopo un colpo critico dandovi l’opportunità di continuare una combo. Padroneggiare lo "stun" e sapere quando e come colpire è di fondamentale importanza per strappare una vittoria contro gli avversari più ferrati.

Tra le novità introdotte in questo quinto capitolo e fatta risaltare fin dai primi trailer, abbiamo quella dei Power Blows, ovvero dei potenti colpi, disponibili solo con metà della vita a disposizione, in grado di scagliare l’avversario verso determinati elementi critici dello scenario (illuminati di giallo nel momento i cui si effettua il colpo), con conseguente aumento di danno.

Dead or Alive infatti fin dalle sue origini si è distinto anche per tale caratteristica: le “danger zone” del primo capitolo (pavimenti al di fuori del perimetro sui quali i personaggi subivano maggiori danni quando atterrati) sono mutuate dal secondo gioco in poi in un’interazione con gli ambienti sempre più marcata: dall’essere semplicemente sbattuti al muro al fare un volo pindarico dal decimo piano di un palazzo il passo è breve, e in questo quinto Dead or Alive cantieri che crollano sotto i vostri piedi, elicotteri che vi sparano missili in faccia e vagoni che vi vengono addosso sono situazioni all’ordine del giorno. DOA5 permette comunque al giocatore di disattivare tutti questi “elementi disturbatori”, nell’eventualità in cui si volesse disputare una lotta uno contro uno senza tanti fronzoli, rinunciando alla spettacolarità dell’interazione ambientale.

Ultimo ma non ultimo tratto distintivo che rende tale un Dead or Alive, è la particolare cura riposta sul suo cast di lottatrici e nel fan service che ne consegue. Evoluzione poligonale dell’ipnotico davanzale della mai troppo lodata Mai Shiranui di Fatal Fury, le forme delle combattenti di DOA si prestarono per la prima volta alle bellissime leggi della dinamica ereditateci dal buon Isaac Newton, secondo cui "Ad ogni azione (movimento delle lottatrici) corrisponde una reazione pari e contraria (dei loro seni)", esaltando tutta la loro sensualità rispetto alle rigide e a tratti spigolose esponenti di sesso femminile di Tekken e Virtua Fighter. Da allora Dead or Alive non si è più nascosto dalla sua nomea di picchiaduro un po’ hot, ma anzi ha continuato a premere sul pulsante del fan service inserendo lottatrici sempre più sexy di pari passo con l’evoluzione tecnica dell’hardware ospitante, dal Dreamcast alle Xbox fino fino alla generazione attuale, cercando di non valicare quella linea di volgarità ma quasi sempre esprimendosi tramite un approccio soft e di autoironia, pronto nel prendere in giro i più disparati stereotipi delle fantasie erotiche maschili. Ciò però a scapito, c’è da dire, di una mai troppo ricercata originalità del concept design e del carisma stesso di alcuni personaggi, alle volte inconsistente se comparato alla concorrenza.

Se c’è infatti un aspetto dove Dead or Alive decisamente non eccelle, è senza dubbio quello narrativo. Non che gli altri competitors vantino chissà quale trama da far impallidire un gioco di ruolo, ma DOA non sembra neanche volersi impegnare per imbastire su uno story mode un minimo interessante, infarcito com’è della solita organizzazione che sponsorizza l’ennesimo torneo di arti marziali, il solito clone malvagio e le solite storielle di rivalità e vendette rappresentate con dialoghi ridicoli collocati in modo molto confuso e frammentato, per usare degli eufemismi.

Le altre modalità in singolo non spiccano per originalità ma anzi si limitano alla più collaudata delle tradizioni, tra arcade, prova a tempo, squadre e sopravvivenze varie DOA5 non riserba particolari sorprese per il giocatore in solitario, se si esclude la possibilità di scattare delle foto ai nostri replay cercando di cogliere “il momento” da bravi fotografi in erba, o la graditissima funzione che permette di caricare i replay direttamente su youtube. La modalità online è quindi il valore aggiunto essenziale per ogni picchiaduro moderno, affrontare i migliori giocatori sparsi per il globo o semplicemente sfoggiare l’ultimo succinto costume sbloccato/acquistato è l’essenza di DOA5, anche se i server non sempre si sono dimostrati impeccabili.

Dead or Alive 5 si è aggiornato alla versione "Ultimate" nel 2013, e infine a quella "Last Round" nel 2015, anche sulle console di nuova generazione, pertanto è consigliabile rivolgersi alle edizioni più recenti per giovare dei contenuti che sono stati aggiunti negli anni.