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Piattaforma: PlayStation 4 --- Voto 9
Dopo il rocambolesco finale di Yakuza 5, Kazuma Kiryū deve scontare una nuova condanna di 3 anni, mentre sono ormai sulla bocca di tutti le dichiarazioni della idol nascente Haruka Sawamura al suo ultimo concerto, che ha messo in luce il suo rapporto con un membro della Yakuza. Lasciate le scene Haruka prova quindi a tornare all’orfanotrofio Morning Glory di Okinawa, attendendo insieme agli altri orfani la scarcerazione di Kiryū, ma neanche qui riesce a sfuggire dalla morsa dei media, e per non recare ulteriori disturbi ai residenti dell’orfanotrofio, una notte fa di nuovo perdere le proprie tracce.

Scontata la sua pena, Kazuma Kiryū si reca prima a Okinawa, per poi tornare a Kamurocho per cercare informazioni su Haruka, dove viene a sapere, grazie al suo vecchio amico agente Makoto Date, che è stata vittima di un incidente, investita da un’auto, e che giace ora in un coma in ospedale. Neanche il tempo di metabolizzare il tragico avvenimento e porsi tutti i quesiti sulle sue dinamiche, Kiryū scopre con suo enorme stupore che Haruka ha ora un figlio, Haruto, rimasto indenne dall’incidente grazie al sacrificio della giovane madre. Il mistero si infittisce, cosa è successo alla ragazza in questi due anni? Chi l’ha investita, e chi è il padre del bambino? Domande a cui Kiryū vuole assolutamente trovare risposta, ma ha una sola traccia, una foto scattata in una cittadina nella prefettura di Hiroshima: Onomichi. Kiryū si reca quindi in questa cittadina portuale, portandosi dietro Haruto, ora sotto la sua custodia.


Bisogna approcciarsi in modo diverso a Yakuza 6: The Song of Life (Ryū ga Gotoku 6: Inochi no uta), rispetto ai due capitoli che l’hanno preceduto. Zero e Kiwami hanno avuto un ruolo senza dubbio importante nel tentativo di riavvicinare il pubblico occidentale a questa serie, con uno splendido prequel e un doveroso remake del primo episodio, permettendo di conoscerla anche a coloro che comprensibilmente non sono riusciti negli anni, per un motivo o per un altro, a seguire tutte le vicende di Kazuma Kiryū nate su PlayStation 2. Yakuza 6 però è Yakuza 6, e può essere un’ovvietà matematica dire che segue le dirette vicende di Yakuza 5, non fosse che quest’ultimo è uscito solo in digitale, e solo su PlayStation 3, il che potrebbe rendere per qualcuno ormai scomodo e difficoltoso il suo recupero, in attesa dell'annunciato remaster.

Sega però ha anche questa volta stupito e giocato d’astuzia, accantonando quasi la totalità dei personaggi di contorno (eccetto un Akiyama versione barbone), che sovente hanno provato a rubare la scena all’indiscusso protagonista, o quantomeno ad affiancarne la figura, per proporre questa volta una storia più intimista, dove concetti di famiglia e legami affettivi ricoprono un ruolo dominante. Pur non rinunciando a quelle situazioni sopra le righe tipiche della serie, sforando più volte nel B Movie, Yakuza 6 mette in scena una storia appassionante con i dovuti interpreti, senza divagazioni di sorta, scritta con l’onesta ed evidente ambizione di dare a Kazuma e Haruka, dopo aver regalato ampio spazio un po’ a tutti nel finale di Yakuza 5; una conclusione personale per i due protagonisti di cui abbiamo visto e vissuto la crescita in questi dieci anni, come a voler chiudere un cerchio, aperto nel 2005 con quell’incontro al bar Bantam.

Ad affiancare Kiryū nella sua ricerca della verità un gruppetto di mafiosetti di Onomichi, la piccola famiglia Hirose, facente parte della Yomei Alliance di Hiroshima e con a capo un misterioso vecchietto, Toru Hirose, il personaggio interpretato da Takeshi Kitano. Kiryū guadagnerà la fiducia di Tsuyoshi Nagano, Yuta Usami e gli altri membri della famiglia, inizialmente ostili, e con loro condividerà l’intera vicenda, in un aggrovigliato e appassionante intreccio di destini e confronti che coinvolgerà Tojo Clan, Yomei Alliance, Triade Cinese e Mafia coreana, con un controllo sullo script e dei tempi narrativi impeccabile.

La nuova Onomichi è il perfetto teatro delle vicende centrali della storia, quella stessa Onomichi scelta dal regista Yasujirō Ozu per il suo capolavoro del 1953 Viaggio a Tokyo. Tra le poche città scampate ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e quindi costellata di templi e luoghi di interesse storico, Onomichi è stata fonte di ispirazioni di famosi poeti e scrittori; la sua caratteristica morfologia; le strette stradine, il centro commerciale reduce di un boom economico ormai lontano e i suoi panorami, trasmettono a chi visita questi luoghi sensazioni contrastanti e nostalgiche. Qui Kiryū si prende dei rari momenti di riflessione, accudisce il piccolo Haruto, si fa aiutare dalla barista Kiyomi; in contrasto con la frenetica e ormai irrecuperabile Kamurocho, il cinema Ninkyo-eiga tipico della serie sembra quasi lasciare spazio ad una sorta di detective story, in un mix di indagini e quotidianità, intimismo famigliare e fratellanze, gioie e sofferenze, lotte interne ma anche sentimenti (anche uno come Someya saprà sorprendere), esternati o repressi.

I fan di Yakuza comunque possono stare tranquilli, risse in ogni dove, spericolate irruzioni in edifici pronti ad essere messi a soqquadro e battaglie contro coriacei mafiosi, che al solito preferiscono un’onorevole scazzottata contro il leggendario Drago di Dojima piuttosto che un semplice colpo di pistola, sono tutte lì, al loro posto. Il nuovo engine permette luoghi più aperti e multilivello, elementi distruttibili quali vetrine oppure ostacoli da prendere a calci per proseguire, e ovviamente una quantità maggiore di nemici su schermo. Inoltre è abbastanza dilettevole scoprire come la saga si scopra, nelle piccole cose, testimone di quelli che sono i cambiamenti abitudinali della società, ad esempio in questo capitolo capita di scorgere, allo scoppio dell’ennesima rissa per strada, i passanti che ad una fuga preferiscono scattare una foto con il cellulare.
Yakuza 6 pecca però nelle battaglie contro i boss, che tendono a non differenziarsi granché in quanto stile di combattimento (qui si sente l’assenza di un Majima), ma è in generale tutto il battle system ad aver subito una sorta di semplificazione, che rispetto ai 4 stili visti in Yakuza 0 e Kiwami preferisce tornare alle origini con un Kiryū potenziabile tramite skills, passive o attive, non poche di numero ma di cui alla prova dei fatti il gioco e le situazioni ne stimolano scarsamente il loro effettivo utilizzo, rendendo le battaglie un po’ tutte simili fra loro.

Fortunatamente, come da tradizione, Yakuza 6 ha molto altro da offrire alle scazzottate. Le due location disponibili mettono a disposizione il solito campionario di sub stories, attività ricreative e minigames dalla profondità sempre sorprendente. Alle più articolate (e spesso assurde) sub stories, questo capitolo aggiunge le Trouble Missions: tramite una specifica app dello smartphone (si è aggiornato il nostro Kiryū!) riceveremo le notifiche sulle persone in difficoltà, da aiutare entro un certo limite di tempo. Il Clan Creator è la novità più corposa di Yakuza 6, un vero e proprio gioco gestionale in cui saremo chiamati a comandare una gang da strada per affrontarne delle altre rivali, reclutando nuovi membri, accumulando esperienza e aumentando così sempre di più la nostra influenza. Kiryū è uno che non riesce proprio a dire di no, e per questo a Onomichi vestirà anche i panni dell’allenatore di una squadra dilettante di baseball, ruolo in cui dovremo dimostrare tutte le nostre doti manageriali sullo sport più amato dai giapponesi.

Insomma, c’è di che divertirsi, a queste attività si aggiungono gli ormai abituali passatempo quali mahjong, freccette, hostess club e karaoke, farsi dei selfie, senza dimenticare di fare una capatina ai due Club Sega dove troveremo i classici arcade visti in Yakuza 0, ma anche i nuovi Puyo Puyo e un’eccezionale conversione di Virtua Fighter 5: Final Showdown. Dopo tre lunghi anni di prigione però il nostro Kiryū potrebbe aver bisogno di determinati stimoli, dunque perché non provare una scottante live chat all’internet café, dove troverà nientemeno che AV Idol come Yua Mikami e Anri Okita, in tutta la loro sensualità (mi raccomando, andateci in tutta discretezza con nessuno in casa onde evitare imbarazzanti equivoci.. no non lo dico per esperienza personale..).

Il nuovo Dragon Engine conferisce a Yakuza 6 un aspetto più moderno: effetti di luce, riflessi, quantità notevole di elementi sul campo e la assenza di qualsivoglia stacco di caricamento nelle fasi esplorative, che prevedono ora una libertà maggiore nello scandagliare edifici (abbastanza divertente mettere a soqquadro uffici e spaventare gli impiegati) e salire sui terrazzi, la città diviene anche verticale. Ciononostante sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più per il primo Yakuza realizzato appositamente per PlayStation 4, di per sé il ritorno ai 30 fps non sarebbe un problema, non fosse che ogni tanto qualcuno si perde per strada, e dal punto di vista tecnico il salto qualitativo con Zero non è poi così rilevante. Considerato che le due città sono tutto sommato contenute in termini di metratura per gli standard odierni, il team poteva osare di più, come per esempio inserendo un meteo dinamico; per il prossimo Shin Ryū ga Gotoku, che aprirà un nuovo corso, la serie dovrà dimostrare di non adagiarsi troppo sugli allori su questo versante. Sul doppiaggio invece Yakuza 6 non si è risparmiato affatto, i dialoghi della storia sono praticamente tutti doppiati in giapponese, garantendo un coinvolgimento narrativo sempre di alto livello.

Ryū ga Gotoku ad un punto di svolta come la vita di uno stanco Kiryū, sempre di fronte ad un orizzonte indistinto, nel mezzo degli avventori del quartiere a luci rosse che ormai non può più sopportare, sempre ai margini in un continuo combattere, rincorrere, e che vede nel suo unico legame famigliare, Haruka Sawamura, il raggio di sole che attraversa una prigione di insegne al neon. Al netto di limiti strutturali che la serie si trascina da qualche anno, con Yakuza 6 la storia di Kiryū non poteva concludersi nel modo più adeguato, la quale per il suo ultimo atto rinuncia ad un certo sfarzo visto in precedenza, ma che in compenso non si risparmia in carica emotiva.