Non è mai semplice recensire un nuovo Final Fantasy, con il suo stuolo di appassionati (o ex tali) eterogeneo e oggi più che mai frammentato. Per una saga che tra le altre cose ha fatto della sensibilità dei suoi eventi il suo cardine (perché per il resto diciamolo, c’è sempre stato di meglio) non possono che esistere diverse scuole di pensiero, tra chi preferisce questo o quel FF per motivi che spesso ben poco hanno a che fare con gli aspetti ludici, poiché le emozioni  che possono scaturire da un’esperienza videoludica sono un fattore fuorviante e troppo soggetto all’individualità per essere uno strumento di giudizio univoco.

Con 28 anni sul groppone e diverse generazioni (e di conseguenza diverse percezioni) di videogiocatori “rapiti” nelle Fantasie Finali di Hironobu Sakaguchi e compagni, la nascita di fazioni contrapposte è divenuta inevitabile. A ciò si aggiunge la maturità degli stessi che ormai tutto hanno visto e tutto hanno (o pensano di aver) giocato, indiscutibilmente un Final Fantasy giocato a 12 anni ha un diverso impatto sul fruitore, rispetto a 30. Ne conviene che la vita di ogni nuovo FF fin dal suo annuncio non è per nulla facile, sotto assedio tra coloro che rimpiangono i bei tempi andati magari con i combattimenti a turni, o tra chi invece aspetta di provare con mano prima di criticarne ogni difetto, o ancora quelli che semplicemente fa polemica sul vestiario e le pettinature dei personaggi. Alla “fazione guerriera” si contrappone solitamente quella “moderata”, composta da giocatori che riescono a trovare del buono persino in Lightning Returns, i quali aspettano con genuina curiosità la prossima manifestazione della loro saga preferita.

Il punto sostanziale è che Final Fantasy, a differenza del suo storico rivale Dragon Quest con la sua inamovibile “triade” Horii-Toriyama-Sugiyama, cambia di volta in volta staff, muta di continuo, riscrive se stesso, si stravolge, a costo di inciampare e di fallire, e questo non da ieri ma fin da Final Fantasy II, come meccaniche di gioco già del tutto diverso dal suo predecessore. È la sua natura, “cosa rende Final Fantasy un Final Fantasy? I Chocobo”, afferma in un’intervista lo storico produttore della serie Yoshinori Kitase, come per dire che tutto il resto si può cambiare, a patto che narrazione e struttura di gioco mantengano alta la qualità e quel “sense of wonder” che un avventuriero cerca, cosa che non sempre avviene. Al di là quindi dei gusti personali, può essere errato il formare nella propria mente il personale ideale di Final Fantasy, ed imporlo all’altrui pensiero, della serie “che schifo ridatemi la barra ATB”, “i mech? Bah, Final Fantasy è draghi e magie!” e simili, senza tener presente che dietro ogni FF ci sono diverse menti con proprie visioni narrative e di gioco. La sfida dei prossimi Final Fantasy è tirare fuori il meglio da coloro che oggi siedono alle scrivanie Square Enix, cercando di uscire dal pantano della mai amata trilogia di Lightning e riconquistare il calore perduto dei suoi fan con avventure all’altezza, cercandone se possibile di nuovi. Tutto ciò per dire che Final Fantasy Type-0 è la perfetta effige di questo concetto, una storia concepita quasi dieci anni fa per i telefoni cellulari e che oggi, nel 2015, si prende carico di proiettare la saga verso il futuro.

Oggi i tanto criticati remaster HD ci permettono di fare del sano revisionismo storico e di riscoprire ciò che in passato, per un motivo o per un altro, avevamo ignorato. Final Fantasy Type-0 HD va addirittura oltre, Square Enix restituisce ai fan occidentali uno dei capitoli più peculiari e innovativi di sempre, rimasto fino ad oggi appannaggio dei giapponesi. Coloro che ebbero la fortuna di giocarlo su PSP lo descrivevano sui forum come un Final Fantasy dalla storia cupa e dal gameplay sopraffino come non se ne vedevano da tempo, facendo crescere l’attesa di una localizzazione e l’invidia di chi non poteva testarlo. Adesso Type-0 è finalmente sugli scaffali e alla portata di tutti, permettendoci così di constatare se meritasse o meno l’appellativo di “cult”, o se erano solo false glorificazioni di chi voleva vantarsi di conoscere il giapponese e giocare a cose a suo limitato uso e consumo.

In principio fu Agito XIII
 

Si potrebbe affermare che la figura di Hajime Tabata sia l’unica cosa realmente utile uscita dalla cialtrona Compilation of Final Fantasy VII, nata sostanzialmente per coprire la voragine di bilancio lasciata da The Spirits Within. Tabata inizia in Square Enix con Before Crisis, prequel di FFVII destinato ai cellulari uscito nel 2004, quando qui sui telefoni si giocava al massimo a Snake II e si rideva alla forma d’anguria del fallimentare Nokia N-Gage. Dai cellulari all’allora nuova PSP il passo fu breve ed ecco quindi una più grande opportunità per il novello game designer: Crisis Core Final Fantasy VII, ancora un prequel del capolavoro Squaresoft quindi, ma già in questo titolo si intravede l’idea di Final Fantasy secondo Tabata, un gioco maggiormente improntato all’azione e alle schivate, con un sistema di combattimento accattivante e facilmente intuibile, senza però lasciare per strada gli elementi ruolistici tipici del genere ed evitando per quanto possibile la formula votata all’alta spettacolarizzazione dei Kingdom Hearts.

Se quindi su PlayStation2 il marchio Final Fantasy, dopo i trionfi dell’era PSX, iniziava a scricchiolare con il criticato capitolo X-2 e il travagliato sviluppo del XII, lontano dai maggiori riflettori, sulla piccola PSP, si gettavano quasi inconsapevolmente le basi del futuro della serie, ma conclusi gli spin-off del 7 serviva un altro pretesto a Tabata per metter su il suo primo, vero Final Fantasy. L’opportunità arriva dal collega Kazuhige Nojima che una mattina, credendosi un moderno Tolkien, si sveglia inventando di sana pianta una mitologia nota oggi con il nome di Fabula Nova Crystallis. Ai vertici Square Enix questo trip mentale di divinità, l’Cie, Pulse e altri termini bislacchi piace e viene predisposto che i prossimi giochi di Final Fantasy condivideranno tale mitologia, anche se con mondi e personaggi come al solito differenti. All’E3 del 2006 vengono quindi svelati al mondo Final Fantasy XIII, Final Fantasy Versus XIII e Final Fantasy Agito XIII; i primi due, rispettivamente affidati a Motomu Toriyama e Tetsuya Nomura, sono destinati alla fiammante PS3 mentre il terzo, quello di Hajime Tabata, ai cellulari. Di nuovo.

Crisis Core rallenta però lo sviluppo di Agito XIII, il quale dopo qualche artwork diffuso sui personaggi inizia a scomparire dalle scene, ma in realtà il progetto cresceva sempre di più, fino a diventare decisamente troppo grande per la tecnologia dei cellulari di quel tempo. Si decide quindi di cancellare la versione mobile e trasferire il tutto su PSP sotto le cure dello stesso team di Crisis Core, ma The 3rd Birthday, altro gioco per PSP diretto da Tabata, ne rallenta di nuovo lo sviluppo.
Siamo ormai nel 2010 e Final Fantasy XIII esce nei negozi di tutto il mondo: il colossal Square Enix divide critica e pubblico diventando, meritatamente o meno, il capitolo più criticato dell’intera saga, e nel frattempo Versus XIII diviene un oggetto sempre più misterioso ad ogni fiera che salta. La Fabula Nova Crystallis rischia di crollare su se stessa appena iniziata ed è in questo clima che Tabata e i suoi decidono di cambiare il titolo del loro FF portatile, considerato  ormai troppo ambizioso per essere bollato come semplice spin-off, da Final Fantasy Agito XIII a Final Fantasy Type-0, mantenendo la mitologia di base e la storia ma staccandosi totalmente dalla numerazione XIII. Type-0 viene quindi concepito come il primo di una serie parallela di Final Fantasy destinati al mercato portatile (con a seguire vari Type-1, Type-2..), focalizzata sul gioco multiplayer in cooperativa, ma con lo sviluppo ormai concluso e tutto che sembrava virare per il verso giusto, i piani di Tabata saranno costretti di nuovo a cambiare. FF Type-0 esce in Giappone nel 2011 raccogliendo numerosi consensi da parte dei fan, un roboante 39/40 di Famitsu, un 91/100 di Dengeki Playstation e più di 740,000 copie vendute che gli permettono di piazzarsi quarto nella classifica generale del 2011, superando lo stesso FF XIII-2.

 

Tutto sembra pronto per l’approdo in occidente di Type-0, la voce di un FF diverso dal solito e al contempo affascinante si sparge in fretta su internet e l’attesa dei fan cresce a dismisura. Square Enix inizia la traduzione ma ben presto si accorgono di un problema: la PSP era ormai alla fine del suo ciclo. Laddove in patria la portatile Sony continuava a macinare successi grazie principalmente al boom dei Monster Hunter Freedom, in occidente il mercato retail della PSP aveva subito un calo vertiginoso e gli UMD vendevano sempre meno, complice anche una pirateria del software inarrestabile. L’opera di localizzazione subisce quindi una frenata in attesa di una soluzione, magari con una conversione destinata alla console che andrà a sostituire la PSP; ma questa, la PlayStation Vita, faticherà fin da subito ad imporsi sul mercato occidentale.
Inizia quindi a prendere forma l’idea di un porting in alta definizione per le console casalinghe, più o meno nello stesso periodo (metà 2012) in cui il pluri-rimandato Final Fantasy Versus XIII si “tramuta” in Final Fantasy XV e viene dirottato sulle console di nuova generazione. Nasce così Final Fantasy Type-0 HD, che salta praticamente 2 generazioni di hardware approdando direttamente su PS4 e Xbox One allo scopo di smorzare l’attesa per i prossimi best-sellers Square Enix e dando nel frattempo un assaggio di FFXV con la demo Episode Duscae.
Ma cosa più importante di tutte, il “Final Fantasy perduto” è finalmente in Europa.

 
Quattro cristalli protettori per quattro diversi regni, così si compone il mondo di Orience che per secoli ha conosciuto un periodo di pace grazie ad un trattato di non belligeranza tra i popoli. Ogni speranza di un futuro di pace viene meno però quando l’Impero di Milites, sotto il comando di Cid Aulstyne, invade il confinante territorio di Rubrem, forte di una nuova arma neutralizzante capace di inibire il potere del cristallo vermiglio, fonte del potere magico dell’esercito di Rubrem. Quando l’offensiva di Milites nella capitale sembra ormai inarrestabile, ecco che appare la “Classe Zero”, una élite di 12 cadetti in grado di utilizzare la magia, dando così il via alla controffensiva dell’esercito di Rubrem.

 

Il padre di Hajime Tabata era un professore di storia e ogni sera al posto delle fiabe dei Grimm gli raccontava una qualche avvincente battaglia del passato. Lui ne diventa così un grande appassionato, e si vede, Final Fantasy Type-0 racconta la guerra e suoi orrori come nessun altro Final Fantasy aveva tentato di fare fino ad oggi, fin dallo struggente filmato iniziale e dopo le prime ore di gioco ci rendiamo conto di trovarci davanti ad un FF diverso dal solito e privo di quella retorica che spesso ha accompagnato gli ultimi capitoli: qui non c’è spazio per eroi e prescelti, c’è una guerra e voi siete carne da macello.

Non mancano comunque rimandi al passato: in Type-0 c’è un po’ del Balamb Garden di Final Fantasy VIII nella sua atmosfera accademica-militare, una bella fetta del fascino della strategia bellica e degli intrighi politici di Yasumi Matsuno (Vagrant Story, FFXII), un’ambientazione “magitek” che non può non ricordare FFVI ma anche un mondo, Orience, prigioniero di un ciclo infinito da interrompere in linea con la tradizione narrativa più orientale (FFX, e ovviamente XIII). FF Type-0 affronta tematiche come l’amicizia, il dovere, il sacrificio ma soprattutto la morte (sbattuta letteralmente in faccia), con estrema maestria e senza le forzature e gli eccessivi sentimentalismi che troppe volte caratterizzano l'intero genere degli RPG nipponici, grazie anche ad un cast di personaggi vario e ben caratterizzato. Ai 12 membri originali della Classe Zero se ne aggiungono ben presto altri due, Makina e Rem, i quali si distinguono dagli altri per la loro maggiore “emotività”, non risparmiandoci dissapori interni al gruppo. Il Cristallo ha il potere di cancellare i ricordi dei compagni caduti in battaglia, considerato un modo per non far crollare psicologicamente i cadetti mantenendone così l’efficacia bellica; “non guardare indietro ci serve per andare avanti” dice Queen in uno scontro verbale con Makina, ponendo al giocatore risvolti e riflessioni di ampio respiro, in particolare dal capitolo 4.

 

Ovviamente con 14 personaggi giocabili è comprensibile che alcuni rimangano sullo sfondo o semplici macchiette (Cinque è terribile in tal senso), da FFVI non si vedeva un “party” così nutrito, con la differenza che qui non c’è nessuno Yeti inserito all’ultimo. Ace, Makina e Rem sono coloro che vantano i ruoli più importanti, ma quella di Type-0 è una storia corale e ricca di figure interessanti (come i potenti l’Cie) che non mancheranno di appassionare fino al bellissimo finale.

 
Come intuibile Final Fantasy Type-0 evolve la formula action-RPG di Crisis Core portandola ad uno stadio di perfezionamento più ampio. Saranno tre i membri della Classe Zero a scendere contemporaneamente in battaglia, noi ne utilizziamo uno a scelta mentre gli altri saranno manovrati dalla CPU; in caso di morte di un membro sarà possibile sostituirlo con una riserva, con tutti e 14 i cadetti all'altro mondo è game over. Il sistema di battaglia si presenta molto intuitivo e allo stesso tempo solido: tenendo ben agganciato l’avversario, abbiamo un tasto basilare per l’attacco, uno per le fondamentali schivate e due per magie e/o abilità, questi del tutto personalizzabili. Come in ogni Final Fantasy che si rispetti è possibile lanciare magie, utilizzare abilità personalizzate e invocare i potenti Esper (a costo della vita), variare strategie offensive è sicuramente una delle chiavi per la vittoria.

Essendo Type-0 concepito per un dispositivo portatile, questo si presenta con una struttura rigorosamente a missioni, studiata per sessioni di gaming più brevi rispetto a quanto ci si aspetterebbe da un Final Fantasy numerato. I luoghi dove si combatte, tolte rare eccezioni, sono abbastanza scarni e lineari, ma fortunatamente la varietà e le cose da scoprire non mancano in Type-0: intanto c’è un gradito ritorno della world map, assente niente di meno che dal nono capitolo, con i suoi luoghi da esplorare e i mostri di 30 livelli più forti di noi che spuntano fuori all’improvviso pronti a umiliarci. Alle normali azioni “sul campo” si alternano poi sessioni sulla mappa che rimandano agli strategici in tempo reale, queste hanno lo scopo di conquistare città e allo stesso tempo evitare che i nemici prendano i nostri insediamenti. Il minigioco è abbastanza semplice come meccanica ma è comunque un piacevole diversivo alle solite mazzate.

Passeremo poi buona parte del nostro tempo libero, quello che intercorre tra una missione principale e l’altra, all’interno dell’Akademeia, dove è possibile interagire con gli altri membri della Classe Zero e i vari studenti (alcuni davvero strambi e curiosi) che popolano la struttura, permettendoci di approfondire ulteriormente i personaggi e l’ambiente che ci circonda. All’Akademeia abbiamo a disposizione anche una stalla per allevare i Chocobo e un’arena dove allenarsi,  oltre alle immancabili quest da accettare e portare a compimento per far passare il tempo, che è “dinamico”. Similmente a quanto accade nella saga Atelier infatti, in Type-0 il tempo libero che abbiamo va consumandosi in base alle azioni che andremo a compiere, per esempio parlare con qualcuno e uscire nella world map vi costerà rispettivamente 2 e 6 ore. Alcune missioni secondarie potrebbero sembrare fuori dalla nostra portata durante la prima partita, altra caratteristica di Type-0 è la sua rigiocabilità e la presenza del New Game+  non è solo un orpello ma risulta fondamentale per scoprire tutti i segreti e sbloccare un finale alternativo. Peccato che a causa dei tempi stretti dello sviluppo sia stato rimosso il multiplayer cooperativo, caratteristica dell’edizione PSP e qui sostituita da personaggi di supporto manovrati dalla IA, un'implementazione online avrebbe sicuramente restituito a Type-0 una delle sue funzionalità originarie.

 

Ad un certo punto al giocatore potrebbe però venire il dubbio: come alleno ben 14 personaggi in vista delle missioni più ardue? Qualcuno dovrà per forza di cose rimanere indietro. Per quanto si possa di tanto in tanto variare, è infatti abbastanza facile affezionarsi agli stili di lotta di quei 3 o 4 personaggi di nostro gusto ignorandone inevitabilmente altri, ed è qui che entrano in scena alcuni metodi alternativi per “farmare” i personaggi che utilizziamo meno. Per prima cosa è possibile ripetere le missioni completate selezionandole direttamente dal menu principale, punti esperienza e guil si trasferiscono nella partita principale e volendo si può cambiare anche il livello di difficoltà. Le missioni daranno una valutazione e solo ripetendole è possibile racimolare alcuni oggetti bonus. Come seconda risorsa ci sono le lezioni teoriche, parlando con il moogle nella vostra classe darete il via ad una lezione che in base alla “materia” conferisce la crescita dei parametri (come quelli magici) o della semplice esperienza extra.

Infine c’è il curioso quanto originale allenamento segreto, in cosa consiste? È l’una di notte, siete stanchi e in procinto di spegnere la console, ma prima di andare a dormire lasciate uno dei vostri personaggi (quello che non usate mai ma che in futuro potrebbe rivelarsi utile) alle amorevoli cure di un maestro dalle parti dell’arena, lui lo allenerà per voi con metodi ai quali non possiamo assistere, dopodiché il gioco passerà automaticamente al menu principale. Il giorno dopo al vostro ritorno il personaggio avrà guadagnato un paio di livelli e aumentato i propri parametri, più lunga sarà l’attesa, e più efficace sarà l’allenamento segreto, anche se ha il limite di interessare un solo personaggio alla volta.

 

Mettiamo subito le cose in chiaro: Final Fantasy Type-0 non è un gioco PS4, e neanche un gioco PS3/360. Nonostante gli sforzi di HexaDrive (gli stessi che hanno curato The Legend of Zelda: Windwaker HD) per rendere la resa visiva quanto meno accettabile su una console home con poligoni rifatti e nuovi effetti di luce, la sua arretratezza tecnica rispetto ai canoni odierni si dimostra a tratti impietosa, in particolar modo sulle animazioni dei NPC (personaggi non giocanti) e sulle texture degli ambienti. Le porte dell'Akademeia sembrano fatte di cioccolato e un po' ovunque si ha la sensazione che sia passato Mastro Lindo a dare una lucidata al tutto, ma la cosa che probabilmente darà maggior fastidio è l’effetto “blur” della telecamera, alquanto evidente, mentre per il resto è una semplice questione di abitudine e anzi, tenendo conto dell’hardware originale su cui girava, Type-0 ha un che di poderoso.
Come valutare quindi l’aspetto grafico di FF Type-0? Ovviamente ognuno è libero di trarre le proprie considerazioni; chi vi scrive considera Type-0 un gioco del 2011 riproposto su una piattaforma moderna, e null’altro, allo stesso modo in cui un film in bianco e nero tale rimane anche in blu-ray, e non viene colorato per essere rivalutato. Si può sindacare sul discutibile prezzo di lancio, questo sì, ma il prezzo non deve mai essere uno dei fattori di giudizio poiché esso è volubile, oggi un gioco costa 60, domani lo scontano a 30, l’anno successivo lo tirano dietro a 10, il voto al contrario rimane lo stesso.

 

Tutt’altro discorso sulla colonna sonora, qui non c’è critica che tenga. Takeharu Ishimoto (The World End With You, Dissidia) ha tirato fuori una OST epica, possente, in perfetta sintonia con i ritmi di gioco e la regia di Tabata con il quale lavora praticamente dai tempi di Before Crisis. Inutile cercare il Uematsu in Type-0, lo stile è del tutto differente e non troverete una Aerith’s Theme o una To Zanarkand da queste parti, la tipologia di storia non lo richiede, in compenso Ishimoto ci regala la miglior intro dai tempi di Liberi Fatali, una versione inglese della canzone “Colorful - Falling in Love” e una nuova ending intitolata “Utakata”, assenti su PSP, che si vanno ad aggiungere al bellissimo tema principale “Zero” dei Bump of Chicken per completare una soundtrack composta con grande cura e maestria. Molto gradita, infine, la presenza del doppiaggio giapponese in alternativa a quello inglese.
 
Agito in latino significa agitare, scuotere, come se fin dal principio il destino dell’opera di Hajime Tabata fosse quello di dare una scossa ad una saga da troppo tempo prigioniera di una crisi di identità. Se la sua arretratezza tecnica è l’unico scotto da pagare per tornare ad esplorare terre sconosciute in groppa ad un Chocobo, rivivere una vicenda ricca di pathos e farsi rapire da un gameplay tanto intuitivo quanto profondo e appagante, si firma volentieri.
Innovativo e allo stesso tempo rispettoso del nome che porta, Type-0 è più Final Fantasy di molti che l’hanno preceduto, dimostrazione di quanto il genere nell’ultima decade si sia rifugiato nelle più calme acque delle console portatili per ritrovare se stesso, lontano dai rischi di budget milionari e vincoli di mercato che spesso attanagliano la creatività sulle piattaforme più performanti. Come nel caso del remake di FFIII del 2007, FF Type-0 viene oggi meritatamente liberato dalle catene dell’oblio alle quali era imprigionato, ripagando pienamente l’attesa di una localizzazione a lungo chiesta e sperata.
Se il buongiorno si vede dal mattino, questa per la saga creata 28 anni fa da Hironobu Sakaguchi sarà una generazione migliore rispetto alla precedente, per quanto sia ancora prematuro parlare di un ritorno ai fasti che furono e sarà compito del capitolo XV non farci rimpiangere Type-0. Ma intanto almeno per oggi possiamo dire senza remore: bentornato Final Fantasy.