Nel corso della lunga, quasi interminabile settima generazione di console, abbiamo assistito all’uscita di molti videogiochi di successo, e di conseguenza alla nascita di franchise destinati a superare il successivo step generazionale e a durare nel tempo. La serie di Uncharted non solo fa parte di questa categoria, ma si colloca in quella ristretta cerchia di nomi, come Gears of War, Mass Effect e poche altre, che ha rappresentato la sua epoca, le sue caratteristiche, assumendone la forma, le idee, i pregi e i difetti. E le lodi nei confronti di Naughty Dog si sono sprecate negli ultimi anni; meritate in toto o meno, lo studio californiano è il vero El Dorado di Sony Computer Entertaiment, il Re Mida dell’industria, la Pixar dei videogames, e possiamo continuare. La loro forza sta nel volersi rimettere sempre in gioco e non adagiarsi mai sugli allori: nel 2000 potevano creare altri dieci Crash Bandicoot e invece no, marchio venduto e sotto con Jak and Daxter. Nel 2005 la storia si ripete, Jak è all’apice, c’è lo script pronto per il quarto ma no, nuova console nuova serie, facciamo Uncharted, e così via fino al capolavoro The Last of Us (2013), che guai a definire un Uncharted con gli infetti.

Con Uncharted però le cose sono andate diversamente: escludendo infatti giochi corsistici vari, la serie di Nathan Drake è la prima dei Naughty Dog a varcare la trilogia e la sua soglia generazionale, ritrovandosi ora con un quarto capitolo in sviluppo, inevitabilmente divenuto uno dei giochi più attesi per la PlayStation 4 e del 2016 in generale, esclusiva invidiata dalla concorrenza al punto da spingerla ad accaparrarsi l’ultimo Tomb Raider. Tale trattamento è frutto certamente dell’affetto riservato a “Nate” sia dal pubblico che dalla critica, ma anche dell’indubbio potenziale che questa serie può ancora esprimere su un hardware più performante, per nulla intimorita dallo spettro aleggiante di The Last of Us e dai paragoni che possono generare.
Nonostante però l’ampia diffusione della console che l’ha preceduta, vi è su PlayStation 4, statistiche alla mano, una buona fetta di “nuova utenza” che non ha mai avuto una PS3 in casa e di conseguenza, non ha potuto vivere le tre avventure di Nathan Drake. Ecco quindi la soluzione tanto prevedibile quanto efficace: una bella selezione di remaster, sulla falsariga della Halo: Master Chief Collection uscita un anno fa, titolo compreso. A dispetto delle superficiali critiche che spesso attraggono certe operazioni, qui lo scopo è addirittura triplice: far appassionare nuovi giocatori alla serie in vista del quarto episodio, coprire la finestra di lancio autunnale inizialmente prevista proprio per Uncharted 4 (poi rimandato), e ultima, ma è quella che più ci interessa, approfittarne per dare una sistemata a queste tre opere donandogli una luce tutta nuova. Sarà tutto oro ciò che luccica? 

La saga di Uncharted

 

Rilasciato nel novembre del 2007, un periodo in cui era la Xbox360 a dettare legge mentre la nuova PS3 rincorreva affannosamente, Drake’s Fortune fu il classico gioco giusto al momento giusto. Dopo Jak 3 i Naughty Dog decisero di abbandonare lo stile cartoon che li caratterizzava e provare per il loro progetto successivo un approccio più realistico, ora che la tecnologia a disposizione permetteva risultati a loro modo di vedere molto più soddisfacenti rispetto alla PlayStation 2. I problemi insorsero quasi subito, a partire dal fatto che buona parte dello staff era specializzato nello stile cartoon di Jak & Daxter e passare ad uno realistico era un procedimento tutt’altro che naturale, ciò portò addirittura a numerose dimissioni in fase di sviluppo e quel periodo viene definito come uno dei più difficili della storia dei Naughty Dog.
Il team non aveva inoltre fatto i conti con il Cell, una sorta di processore-mostro di Frankenstein tanto potente quanto a tratti incomprensibile ai più e che stava dando non pochi grattacapi a coloro che si accingevano a sviluppare su PS3, rispetto alla ben più accessibile controparte Microsoft. In quegli anni, passare dalla PS2 alla PS3 fu per molti come fare un salto nel vuoto e spaccarsi tutte le ossa, ma i Naughty Dog lavorarono duramente in stretto contatto con Sony per consegnare un’esclusiva degna di questo nome entro la data di uscita prevista, ottenendo un ottimo successo.
Approfittando di un calo di popolarità del personaggio di Lara Croft (seppur rivitalizzata dai Crystal Dynamic dopo il disastro di Angel of Darkness), i Naughty Dog crearono un gioco di avventura che fece subito breccia nel cuore dei giocatori, con un personaggio che differiva dal classico eroe dei videogames d'azione tutto d’un pezzo, un avventuriero dalla battuta sempre pronta che a differenza dell’atletica e taciturna Croft vecchia maniera, lo sentiamo lamentarsi spesso e volentieri alla vista di una scalata particolarmente dura o all’arrivo di un’orda di nemici, a metà tra un protagonista LucasArts e il George Stobbart di Broken Sword, ed è proprio la sua esternata normalità a renderlo irresistibile.

A differenza inoltre di Tomb Raider, Uncharted si presenta con un approccio decisamente più action: a delle fasi esplorative e a sporadici enigmi, se ne alternano infatti altre caratterizzate da sparatorie decisamente sostanziose, basate sul sistema di coperture non inventato ma perfezionato e portato in auge dal Gears of War di Epic Games (2006), rendendo l’esperienza un mix efficace di avventura e frenetica azione di matrice cinematografica. Uncharted: Drake’s Fortune offrì però un’alternativa al grigiume degli altri TPS del periodo grazie ad un level design sopraffino che non rinuncia ai colori più sgargianti, cosicché possiamo incamminarci in una verde e fitta foresta splendidamente realizzata, ammirare panorami in lontananza e risalire le rapide di un torrente con una moto d’acqua.
Nel corso delle 10 ore necessarie al completamento dell’avventura, si avverte tuttavia in questo primo episodio una certa ciclicità del ritmo di gioco, il quale non coniuga perfettamente l’alternanza tra le fasi esplorative e quelle d’azione, che appaiono fin troppo estranee tra loro: si scala un ostacolo, si giunge in una piazzola dove ci attende un’orda di nemici, poi nuovo ostacolo, in seguito nuova piazzola, e a ripetere. I sequel proveranno comunque a correggere questo difetto imbastendo scenari più vari, qualche enigma in più e fasi stealth, nonostante sia possibile già in Drake’s Fortune sparare o lanciare granate mentre si è appesi, segnale comunque della volontà del team di rendere l’esperienza fin dal principio la più fluida possibile.
 

A due anni di distanza esce l’inevitabile sequel, dal titolo Among Thieves, tradotto in Il Covo dei Ladri. Con un hardware ormai collaudato e i problemi di sviluppo alle spalle, i Naughty Dog non trovano più freno alla loro creatività e confezionano un colossal epico, simbolo non a caso del Rinascimento PlayStation 3 che proprio nel 2009, in concomitanza con l’uscita del modello slim, si accingeva a recuperare terreno sulla sua rivale a suon di esclusive, fino ad arrivare alla quota di mercato odierna.
Uncharted 2 prende Drake’s Fortune e lo porta all’estremo, fin dalla sua scena di apertura, considerata tra le migliori mai create (anche secondo J.J. Abrams), diretta in modo superbo dal punto di vista cinematografico, ma che al contempo stupisce perché pone abilmente il giocatore stesso al centro dell’azione.
La narrazione, sempre a cura di Amy Henning, l’abile sceneggiatrice dei Soul Reaver, crea un gioco di flashback, suscitando dubbi sul giocatore (come è finito Drake in quel treno a strapiombo sul dirupo? Cosa sta cercando?) e catapultandolo così immediatamente nella storia, la quale congiungerà passato e presente con una maestria registica raramente riscontrata altrove. E le sequenze impresse indelebilmente nella mente dei giocatori si sprecano in questo secondo capitolo, che sia il pavimento di un palazzo che ti crolla sotto i piedi dopo essere stato colpito dai missili di un elicottero, o i vagoni di un treno in corsa che letteralmente ti passano sopra la testa in seguito a delle esplosioni, Uncharted 2 è un tripudio di emozioni e sequenze al cardiopalma.

Le fasi shooter e le esplorazioni sono ora perfettamente amalgamate, anche se alle volte si ha la sensazione che questo secondo capitolo abbia, in alcuni frangenti, calcato decisamente troppo la mano in fatto di mattanza (in Tibet ci troviamo contro un vero e proprio esercito, con tanto di carro armato, seriamente?), al punto che appare difficile in determinate situazioni distinguerlo da un gioco di guerra. Gli enigmi inseriti assumono così il ruolo di mero intervallo tra una strage e l’altra, anche se Uncharted 2 è abile nel portare avanti la storia con splendide cut-scene e non disdegna momenti più tranquilli e di grande atmosfera, come l’arrivo al villaggio tibetano.
Una cura registica e musicale imponente ad accompagnare l’avvincente trama (nonostante un cattivo abbastanza banale) e una nuova compagna d’avventura un po’ cliché ma dal lato B decisamente apprezzabile completano il quadro di quello che forse non è il capolavoro del secolo, ma uno dei più importanti giochi della passata generazione sicuramente, e che a sei anni dalla sua uscita può ancora dire la sua in fatto di divertimento ed emozioni.
 

Dopo il trionfo di Uncharted 2 furono in molti a chiedersi se quello non fosse il limite raggiungibile dal genere su PlayStation 3, se fosse in qualche modo possibile superare i traguardi tecnici raggiunti di Naughty Dog con un terzo capitolo. Avevano ragione solo in parte, Drake’s Deception non avrà sul finire del 2011 un impatto sul mercato pari a quello del suo illustre predecessore, in fondo tale compito era quasi impossibile, ma si prende comunque carico di raffinare un gameplay con alcuni graditi aggiustamenti. Risalta fin dall’inizio un sistema di combattimento corpo a corpo totalmente rivisto, non più limitato alle semplici scazzottate da 3 colpi viste nei capitoli precedenti ma bensì basato su contrattacchi, prese ed eliminazioni furtive realizzate ora in maniera molto più realistica. Riviste da zero anche le animazioni, le movenze di Drake appaiono ancora più fluide e soprattutto si adattano di conseguenza ad ogni situazione, da antologia per esempio il modo in cui si incammina sulla sabbia del deserto, forse ancora oggi la migliore mai realizzata.

Ciò su cui però Uncharted 3 tentò di far presa sul pubblico fin dai primi trailer fu la componente narrativa, descritta come la più curata della saga e che per la prima volta si prefiggeva lo scopo di scavare nel passato del protagonista. Se l’inizio di Uncharted 2 catapultava il giocatore in un misterioso futuro prossimo (la scena del treno), il terzo lo porta in un passato remoto, narrando uno spezzone della gioventù di Nathan, il suo incontro con Victor Sullivan ma anche con colei che sarà l’antagonista di questo terzo gioco, Katherine Marlowe, un cattivo finalmente azzeccato e carismatico.
Graficamente impeccabile, Uncharted 3 vanta alcune tra le sequenze più spettacolari viste nel corso della generazione e che, come nel caso del suo predecessore, hanno fatto cascare diverse mascelle sul pavimento. Impossibile non citare il capitolo ambientato sulla nave da crociera, o l’assalto ad un aereo in decollo, scena alla quale il regista dell’ultimo Mission Impossible ammette di essersi ispirato.

Se Uncharted 3 ha un difetto, è la breve durata della sua avventura, che si attesta su non più di 7-8 ore ad una difficoltà normale, quindi inaspettatamente più breve rispetto ai due capitoli precedenti. Gli immancabili collezionabili e i trofei da conquistare impegneranno il giocatore più completista per almeno altri 2 playthrough, oltre al fatto che su PS3 era inclusa una corposa modalità online (assente nella collection), ma indubbiamente cresce il rammarico per un’esperienza troppo breve per lasciare un segno indelebile.
Il motivo di ciò fu presto ben chiaro e porta il nome di The Last of Us; annunciato appena un mese dopo l’uscita di Uncharted 3 (oscurandolo mediaticamente), appare evidente di come una buona fetta dello staff fosse già impegnato sullo sviluppo del nuovo e ambizioso progetto, e con il senno in poi questo si avverte in modo chiaro nella seconda metà di Uncharted 3, sorprendentemente lineare e tirata via.
Ciononostante questo ultimo capitolo PS3 riesce comunque a stupire per alcune scelte (come l’aspetto allucinogeno), senza che questo diventi esclusivamente un “more of the same” di quanto già visto in precedenza, approfondendo ulteriormente il personaggio di Nathan con una storia più matura e che apre anche ad eventuali  nuovi scenari, evitando che questo si tramuti in una macchietta parodia di se stessa, come invece accaduto ad un certo noto archeologo del cinema.

Il Remaster

 

Nel corso degli ultimi anni abbiamo posato le mani sulle più svariate rimasterizzazioni HD o presunte tali, alcune riuscite, o addirittura essenziali, altre invece svogliate o persino dannose. Bluepoint Games si fece ben notare con la God of War HD Collection del 2009, forse la madre di tutti i remaster di moderna concezione, e da allora ha mantenuto sempre alti i suoi standard qualitativi con le collezioni di Ico & Shadow of the Colossus e di Metal Gear Solid, non è quindi un caso che Sony abbia scelto di nuovo loro per portare il suo franchise attualmente più forte su PlayStation 4.
Come facilmente intuibile a beneficiare maggiormente di questa nuova uscita è, senza dubbio alcuno, il primo Uncharted, quello dallo sviluppo travagliato e che oggi, ancor più del 2007, manifesta su PS3 alcuni evidenti difetti tecnici dovuti dall’inesperienza di Naughty Dog con un hardware differente. Ad accompagnarci durante la prima avventura di Drake c’era infatti un costante quanto fastidioso effetto di screen tearing (ossia, un “taglio” dell’immagine), qui completamente rimosso, grazie ad un frame-rate portato stabilmente a 60fps con sincronia verticale che garantisce un’esperienza ottimale dall’inizio alla fine.
Ma Bluepoint si è spinta ben al di là del “compitino” tecnico, limando qua e là effetti grafici (come le esplosioni, del tutto nuove) e ritoccando persino alcuni elementi di gameplay, cosa che rende la Nathan Drake Collection qualcosa di più di un banale remaster. È stata migliorata per esempio la stabilità della mira e la latenza ai comandi ridotta, accorgimenti che rendono Drake’s Fortune in un certo senso più simile al suo sequel di quanto non fosse originariamente, oltre a risultare più appagante durante le sparatorie.

Passando alla qualità video, il passaggio ai 1080p con anti-aliasing conferisce una resa visiva rinnovata in ogni sua parte, grazie anche ad un lodevole lavoro sulle texture, alcune delle quali totalmente ricreate e che migliorano l’ambiente circostante, che siano rocce oppure piante, ora più definite di prima. Del tutto rivisto anche il sistema di illuminazione e di conseguenza tutto l’apparato di ombre presenti nel gioco, sia nelle fasi di gioco che durante le scene di intermezzo; la differenza si avverte in particolare durante i filmati al chiuso con i personaggi che si presentano ora con dei volti più definiti e meno plasticosi, più vicini alla qualità raggiunta dai capitoli successivi.
Di quanto detto sopra (eccetto la questione del tearing), vale anche per i sequel; l’impegno dedicato ad ogni Uncharted è il medesimo, pur con esigenze diverse e con una manomissione comprensibilmente meno evidente su Drake's Deception, è chiaro di quanto la vera sfida dei Bluepoint riguardasse il primo capitolo, che brilla ora di una luce tutta nuova. La fluidità dei 60fps (che si notano, eccome) e la nitidezza dei 1080p con conseguente maggior profondità del campo visivo rendono comunque un piacere ripercorrere Uncharted 2 e 3 nella loro versione definitiva, con tanto di tempi di caricamento dimezzati, se non di più; non di rado su PS3 si poteva arrivare ad ascoltare buona parte del tema principale mentre si caricava un livello, adesso bastano una manciata di secondi. E a tal proposito urge menzione, nonostante in questo aspetto non si denotino cambiamenti di sorta, l’evocativa colonna sonora di Greg Edmonson di stampo cinematografico e ispirazione Hans Zimmeriana, capace di accompagnare perfettamente sia le fasi di gioco che le scene di intermezzo.



La Uncharted: The Nathan Drake Collection offre inoltre alcuni contenuti esclusivi: potete ora scattare delle fotografie e condividerle grazie al "photo mode", confrontare in tempo reale le vostre statistiche con gli altri giocatori, ripercorrere le ambientazioni con la modalità "esploratore" utilizzando magari le skin di Elena o di un Drake ciccione, oppure cimentarvi in una speedrun, con relativi nuovi trofei da conquistare.
Per gli avventurieri più tosti è stato poi aggiunto un ulteriore livello di difficoltà oltre il “distruttivo” (disponibile ora fin da subito), chiamato “brutale”, un nome che è tutto un programma, e che promette di mettere alla dura prova chiunque.
L’acquisto di questa collection garantisce infine l’accesso alla beta multiplayer di Uncharted 4, quando questa sarà disponibile (entro fine anno, dicono), scelta che sopperisce almeno in parte alla mancanza di una modalità online. Una mancanza che invece non viene colmata è quella di Golden Abyss, che a questo punto rimane appannaggio dei possessori PlayStation Vita ed entra in quella cerchia di pur validi spin-off come Daxter o Portable Ops, destinati ad una emarginazione portatile, ma da un singolo blu-ray era comunque difficile pretendere più di così.

Non è mai facile tirare le somme su di una collection, ogni gioco ha la sua storia, i suoi pregi, i suoi difetti. Si può esternarne la bontà della rimasterizzazione, non elevabile a miracolo tecnologico ma comunque a lavoro più che rispettoso sì, e di questi tempi non è scontato. Si può aderire ad un mero calcolo matematico del contenuto, di ore di gioco offerto e di prezzo esposto, alto, giusto, ma la Rare Collection ne ha 30, pesare i giochi al chilo tipo filetti di merluzzo. Oppure si può semplicemente dire che in un solo disco è racchiusa la saga d’avventura per eccellenza e simbolo dell’ultima decade, che non prende 90 solo perché lo scopo principale della quarta PlayStation è far girare il quarto Uncharted. Ma il di più lo si apprezza sempre, specie se con la qualità e la passione dei Naughty Dog, che ben sanno come compiacere lo spirito dell'avventuriero.