Definire pienamente l’importanza storica e culturale per il media videoludico recente di una saga come quella di Mass Effect è un compito a dir poco monumentale, da approcciarsi con la dovuta cognizione di causa. Dieci anni fa, all’uscita della prima iterazione di quello che sarebbe diventato il più famoso franchise appartenente allo studio Bioware, forse nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulle possibili prospettive di questa nuova saga: già all’epoca si parlava, nientemeno, di una trilogia – o per meglio dire, di un’unica epopea divisa in tre parti – i cui eventi principali sarebbero stati plasmati dallo stesso giocatore, vero e proprio regista e insieme protagonista di un gigantesco epos spaziale all’interno di un universo originale creato ad hoc, grazie a frequenti e difficili scelte morali che avrebbero avuto conseguenze determinanti nell’arco dei seguiti.

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Scommessa pienamente vinta, come sappiamo: perché, al netto di qualche difficoltà lungo il percorso, di alcune inevitabili ripercussioni dovute all’ampissima portata del progetto e di un criticatissimo finale, il viaggio del (o della) comandante Shepard lungo tre titoli pubblicati nel corso di cinque anni è diventato uno degli esperimenti videoludici più rilevanti - e di successo - dell’ultima decade, entrando di diritto nel cuore di legioni di fan, che hanno mostrato il loro apprezzamento non solo per la trama in sé e per la ricca lore studiata a tavolino dai writer di Bioware, ma soprattutto per i singoli personaggi che accompagnano il giocatore nel corso dei tre titoli; lungi dall’essere semplici ammassi di pixel privi di carattere, si rivelano, piuttosto, personalità complesse e multidimensionali, a momenti addirittura motori trainanti delle vicende stesse; e d’altronde, la storia dimostra come il developer canadese abbia sempre posto molta attenzione sulla creazione di comprimari e antagonisti capaci di smuovere le coscienze.
 
Dopo cinque anni di assenza dalle scene videoludiche, quello che ci ritroviamo tra le mani è dunque un titolo che da un lato si propone di raccogliere un’eredità complessa, indubbiamente scomoda, sulla quale vaste schiere di appassionati ripongono speranze e paure, già pronti con forconi in mano per opinioni al vetriolo sui più famosi social online al minimo errore da parte degli sviluppatori – cosa che, come saprà chi ha seguito le recenti vicende, è già sfortunatamente avvenuta; dall’altro lato, sia Bioware che Electronic Arts non hanno mai fatto mistero del fatto che, pur recando il nome di un franchise che ha fatto la storia, Mass Effect: Andromeda è a tutti gli effetti un nuovo inizio, l’incipit di una storia con protagonisti e plot completamente diversi, e finanche una nuova galassia a fare da sfondo alle nostre avventure.

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Ciò che separa Andromeda dalla trilogia di Shepard sono, infatti, anzitutto 600 anni e 2,5 milioni di anni luce di distanza: protagonista assoluta del gioco è l’Iniziativa Andromeda, un gruppo di circa 100.000 avventurieri appartenenti alle variegate specie della nostra galassia (già conosciute nel corso della trilogia), il cui obiettivo è intraprendere un lungo viaggio verso la galassia di Andromeda alla ricerca di una nuova casa. I coloni sono divisi fra quattro principali astronavi, le Arche – ognuna popolata da membri di una determinata specie fra umani, Asari, Turian e Salarian – e il Nexus, una stazione spaziale chiamata a svolgere il ruolo di centro amministrativo e culturale dell’Iniziativa.

Ogni Arca è guidata da una figura chiave, un Pioniere: si tratta di un individuo di eccezionali capacità, il cui compito è aprire la strada ai coloni della propria razza, esplorando i pianeti e valutandone le possibilità come future colonie. Nel gioco impersoneremo, a scelta del giocatore, Scott o Sara Ryder (il cognome rimane invariabile, ma il nome, come da tradizione, potrà essere cambiato), figli del Pioniere umano Alec Ryder, appena risvegliatisi dalla stasi criogenica al termine di più di 600 anni di viaggio. Già nelle primissime ore di gioco la situazione che si andrà a sviluppare sarà assai critica, e tra alieni ostili, Arche disperse, mondi inabitabili e risorse in esaurimento, verrà imposto anche a noi il ruolo di Pioniere, alla guida di un manipolo di determinati e di una nuova nave, la Tempest, erede della mai troppo amata Normandy della trilogia originale.
 

 
I meccanismi narrativi di Andromeda sono, forse, tra i più affascinanti che la saga può vantare: scoprire i segreti di una nuova galassia, essere testimoni del primo contatto con specie completamente nuove e indagare su strani macchinari monolitici lasciati in eredità da un’antica razza reca con sé, indubbiamente, il fascino del mistero e l’emozione insita nelle prospettive offerte dalla nuova frontiera, oltre alla consapevolezza di dover assumere, in quanto Pioniere, un ruolo completamente diverso da quello di un veterano di guerra come Shepard. Ne consegue, in Andromeda, una caratterizzazione delle vicende leggermente più ottimista, se vogliamo più avventurosa, che deriva in dialoghi dal tono spesso e volentieri scanzonato e irriverente, uno script che sfida la tragica apocalitticità che aveva contraddistinto la trilogia originale e cerca di bilanciare momenti seriosi e divertenti, con i Ryder protagonisti nei panni di veri e propri eroi per caso e contraddistinti non più dalla possibilità di selezionare tra atteggiamenti binari da “Eroe” e “Rinnegato”, bensì da un più ampio spettro di personalità divisa fra quattro possibili approcci, tra professionale, sarcastico, emozionale e logico. Si tratta di un cambio radicale eppure benvenuto, dato che rende possibile una caratterizzazione morale meno rigida e più sfumata, ma il prezzo da pagare è quello di una personalità di Ryder destinata a non cambiare mai eccessivamente indipendentemente dalle opzioni scelte.

E in effetti, il ricambio di scrittori che ha interessato gli studi di Bioware negli anni più recenti ha condotto ad una sceneggiatura di non sempre elevata qualità: oltre alla sottile delusione nel constatare che le creature aliene che abitano la galassia di Andromeda non si contraddistinguono particolarmente rispetto ai nativi della Via Lattea, ciò che colpisce del writing del titolo è l’assoluta qualità dimostrata da certe missioni sia principali che secondarie – in particolare le missioni lealtà dei compagni, tra i punti più alti del gioco – che va a contrastare di netto con la scarsissima attenzione posta verso diversi altri contenuti, in particolare quelli più secondari che sovente si riducono ad essere nulla di più di fetch quest in pieno stile MMORPG, difetto che aveva già gravemente colpito il precedente lavoro dello studio, Dragon Age: Inquisition. Non è raro, passando da una conversazione all’altra, notare continui cambi netti in qualità della scrittura, cosa che risulta in alcuni personaggi dotati di indubbia personalità e altri invece ridotti a macchiette, complice anche l’altalenante qualità del doppiaggio (solo in inglese): l’aspro contrasto fra la caratterizzazione del compagno umano Liam e dell’Angara Jaal è quasi snervante nella sua gravità.

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Anche per tale motivo, le conversazioni, in Andromeda, sono un vero e proprio campo minato: come saprà già chi ha seguito il titolo nelle settimane di lancio, Andromeda è spesso piagato da gravi problemi relativi alla qualità delle animazioni e delle espressioni facciali, che hanno portato a personaggi privi di pressoché qualunque espressività, eccezion fatta per determinate situazioni; è vero che quella grande cassa di risonanza che è Internet ha indubbiamente ingigantito il problema, facendo immeritatamente passare il titolo come il peggio del peggio nell’ambito dell’animazione videoludica, ma è anche innegabile che l’indubbia rigidità dei personaggi di Andromeda conduce spesso a dialoghi che possono apparire senza vita, quasi innaturali. La buona notizia è che, nonostante tali problemi permangano per tutta l’opera, c’è molto di buono da scoprire in Andromeda, in particolare per quanto riguarda i compagni di viaggio (la maggior parte, almeno) e le vicende principali che interessano l’Iniziativa e l’equipaggio della Tempest. La trama, pur non priva di difetti, sa catturare ed emozionare il giocatore fino ad esplosive battute finali che lasciano la porta aperta a più di un mistero ancora da scoprire. Permangono, inoltre, le immancabili scelte morali che è possibile compiere durante il tragitto, stavolta contraddistinte spesso e volentieri da confini meno netti fra bene e male.

Nonostante tutte le problematiche relative a writing, bizzarro editing delle cinematiche e sceneggiatura non certo impeccabile, non si può fare a meno di ammirare ciò che Bioware è riuscita a creare con il proprio cast di personaggi, in maniera non dissimile da quanto è avvenuto per la trilogia originale. I componenti del proprio equipaggio sembrano, a momenti, pulsare di vita propria, in particolar modo durante i periodi di riposo, sulla Tempest o sul Nexus; parlano costantemente fra di loro, di persona o tramite il servizio di messagistica interno della nave, chiacchierano di cose come un gruppo di studio religioso e una tazza da caffè dimenticata in giro. Quando decidiamo di esplorare una città, li possiamo trovare in giro all’interno della stessa, impegnati nelle loro faccende. Persino all’interno della Tempest non stanno mai nello stesso posto, cambiando frequentemente locazione fra una missione e l’altra. Non tutti i membri del cast sono ben riusciti, ma ognuno di loro cambia e si sviluppa nel corso del gioco, e ciascuno di essi è perfettamente capace di generare almeno un qualche tipo di reazione nel giocatore, ed alla fine è questo ciò che più importa. Per non parlare poi del potenziale per i futuri capitoli.
 

Per ciò che concerne il gameplay in sé, è fuor di dubbio che Andromeda sia il capitolo più vasto, completo e longevo del franchise, presentando diversi hub dove parlare con decine di personaggi e approfondire trame e sottotrame, e vaste zone esplorabili divise fra cinque pianeti principali e un paio di aree secondarie. L’ampio spazio dato all’elemento esplorativo, sia a piedi che a bordo del Nomad (una sorta di jeep futuristica simile al Mako del primo Mass Effect), fa di Andromeda l’ideale prosecuzione di quella filosofia di design – tra linearità della trama e vasto open world - che già Bioware aveva tentato nella prima iterazione della saga, e successivamente in Dragon Age: Inquisition. Mentre in quest’ultimo, però, girovagare negli ambienti di gioco si rivelava un’attività spesso noiosa e banale, in Andromeda non sussiste – nella maggioranza delle volte - tale pesantezza di fondo, grazie non solo al già citato ausilio del velocissimo Nomad, ma anche alla minore estensione delle aree percorribili, rese più piccole e meno dispersive. Persino la raccolta di risorse per il crafting, elemento ormai obbligatorio in un titolo di questo genere, è stata snellita e alleggerita in virtù della maggiore quantità di fonti disponibili per la raccolta, cosa che mi ha portato, alla fine della partita, ad avere molte più risorse di quanto avrei mai potuto aver bisogno.

Purtroppo, permane una certa rigidità del quest system: diverse quest secondarie, come già accennato, non hanno pressoché alcun valore narrativo, rivelandosi come mere “liste della spesa” con icone sulla mappa da spuntare durante l’esplorazione di un pianeta; non solo, non è raro arrivare al termine di una quest per poi scoprire che per la ricompensa si trova dalla parte opposta della mappa, o addirittura su un altro pianeta. Tali filosofie di design ormai obsolete conducono ad una inevitabile estensione artificiosa del ritmo di gioco, anche a causa del fatto che, inspiegabilmente, le transizioni tra i pianeti non possono essere saltate. C’è, in Andromeda, un certa costante macchinosità di fondo: i menù, in particolare, sono contraddistinti da una grave mancanza di chiarezza e praticità, essendo divisi in sottocategorie di sottocategorie che frammentano di continuo la consultazione delle informazioni (basti vedere il diario delle missioni); altri elementi fastidiosi si denotano nell’impossibilità di cambiare l’equipaggiamento se non si è vicino a dei punti prefissati – per esempio, a bordo della Tempest o utilizzando delle stazioni di rifornimento – e nella mancanza di una qualsiasi forma di salvataggio rapido.

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Per fortuna, non tutto, in Andromeda, è viziato da una cattiva implementazione. I cinque pianeti maggiori esplorabili nel gioco offrono ognuno una serie di obiettivi che risultano piuttosto vari senza che appesantiscano eccessivamente la struttura di gioco – anche se è chiaro che, al quarto o quinto pianeta dopo decine e decine di ore di gioco possono diventare ripetitivi persino i compiti più basilari: tutti i pianeti partono da una situazione di base disperata, e a noi spetta il compito, in quanto promotori dello sforzo di colonizzazione dell’Iniziativa, di aumentare la cosiddetta percentuale di “abitabilità” di questi territori, completando una serie di incarichi tutti tesi a creare una nuova casa, come assaltare le basi aliene ostili, fondare nuovi avamposti, completare le missioni proposte dagli NPC e utilizzare i macchinari, chiamati Relictum, lasciati dai precedenti abitanti per terraformare il pianeta. Queste ultime sezioni in particolare sono particolarmente inventive, dato che propongono spesso l’esplorazione di veri e propri “dungeon” dotati non solo di un design degli incontri nemici molto ben congegnato, ma anche di piccole trappole ed enigmi basilari tesi a variare con sapienza la formula di gioco, il tutto nei suggestivi ambienti sotterranei Relictum.

Il combat system è l’elemento di gran lunga più rivoluzionato di Andromeda rispetto ai predecessori, e rappresenta il culmine del decennale tentativo da parte di Bioware di creare un misto in parti eguali di RPG e TPS: le meccaniche di base riprendono quelle dei precedenti Mass Effect, con in più le inedite possibilità tattiche donate dalla principale novità, ovvero il jetpack, che è ben lungi dall’essere un mero ausilio all’esplorazione: anzi, grazie ai lunghi salti e alle rapide schivate effettuabili il combattimento diventa un esercizio di continua e adrenalinica mobilità, talmente veloce e frenetico da riecheggiare quasi certe tendenze old-school della tradizione degli shooter. Durante gli scontri la soglia dell’attenzione rimane sempre altissima, anche grazie alla più che discreta IA degli avversari, i quali cercano costantemente di aggirare il giocatore per prenderlo alle spalle, in particolar modo alle difficoltà più alte. La selezione dei poteri utilizzabili è stata resa ancora più malleabile e approfondita rispetto ai predecessori: in Andromeda sono infatti disponibili diversi “profili”, che corrispondono alle tradizionali classi, ognuno con diversi bonus legati all’utilizzo di talenti diversi; questi ultimi vengono sviluppati mediante una classica assegnazione di punti ottenuti al passaggio di livello, e possono essere configurati tramite un sistema di selezione rapida e richiamati in ogni momento, anche durante il combattimento.

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Ciò che ne consegue sono battaglie tatticamente all’insegna della flessibilità, in cui si è costantemente spinti a sperimentare con varie combinazioni di talenti e perk al fine di trovare quella che più si adatta al proprio stile di gioco. L’approfondito sistema di crafting già menzionato è l’elemento che completa alla perfezione questa struttura, in quanto offre la possibilità di ricercare e costruire una vastissima gamma di armi e armature, ognuna con la propria specifica utilità, e di personalizzarli a seconda delle proprie esigenze sia grazie all’utilizzo di diversi modificatori al momento della creazione, sia tramite le numerose modifiche innestabili.

Passando al lato tecnico (la versione provata è quella PC), e mettendo per un attimo da parte le già discusse problematiche relative ad animazioni e movimenti facciali, c’è da affermare anzitutto che il Frostbite 3, motore grafico ormai usato nella stragrande maggioranza dei titoli Electronic Arts, sa restituire anche in questo caso un ottimo impatto visivo complessivo. Gli ambienti di gioco possono godere di texture ed illuminazione allo stato dell’arte, con ottimi effetti particellari, una distanza visiva davvero impressionante, e una apprezzabile palette cromatica: non spoilerando nulla, basti pensare solo allo spettacolo che si presenta davanti agli occhi del giocatore a Voeld dopo la terraformazione. Il tutto è coadiuvato da una colonna sonora che, pur non raggiungendo i livelli del lavoro di Jack Wall nella trilogia, non sfigura di certo, proponendo un mix di sintetizzatori e orchestra che riesce a sottolineare a dovere i momenti più salienti del gioco.

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Il rovescio della medaglia, purtroppo, è costituito da costanti pop-up delle texture anche nei sistemi più performanti, da una certa pesantezza di fondo di un motore piuttosto esoso in termini di requisiti, e dall’enorme quantità di bug piccoli e grandi che macchiano l’opera di Bioware: si passa dai glitch più trascurabili, come la segnalazione di una nuova entrata nel codex che rimane anche se il giocatore ha già letto tutto, a bachi molto più gravi come l’impossibilità di completare una quest (per quanto secondaria) a causa della scomparsa totale dell’icona sulla mappa. In generale, la sensazione è di costante e grave instabilità del codice, sebbene per fortuna durante la prova non siano mai capitate istanze di bug talmente seri da bloccare irrimediabilmente la prosecuzione del gioco.

In ultimo, il comparto multigiocatore proposto dagli sviluppatori rappresenta nulla di più che un raffinamento di quanto già proposto in Mass Effect 3, basandosi completamente su una modalità cooperativa ad ondate che, per quanto avvincente nelle prime ore di gioco, presta il fianco ad una certa monotonia dovuta alla scarsità di mappe presenti e al non indifferente grinding richiesto per armare a dovere i propri personaggi, difetto, quest’ultimo, solo in parte stemperato dalla possibilità di acquistare pacchetti di oggetti tramite microtransazioni, nel bene e nel male elemento ormai sempre più frequente nei moderni titoli tripla A.

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A dispetto delle critiche, delle discussioni da bar dello sport, degli scenari apocalittici propugnati dai fan più estremisti e dei meme da YouTube, Mass Effect: Andromeda mostra, alla prova dei fatti, di essere pienamente in grado di raccogliere la pesante eredità del proprio nome. In ammiccante parallelismo con la narrativa del titolo, si tratta prima di ogni altra cosa di una nuova frontiera per la saga, un nuovo inizio che, fra alti e bassi, riesce a traghettare il franchise in una nuova generazione, sia grafica che concettuale. È inevitabile provare un senso di irritazione di fronte alle frequenti ingenuità della sceneggiatura e ai costanti problemi tecnici. Nonostante tali fluttuazioni qualitative, o magari in virtù di esse, dopo 80 ore di gioco la sensazione che soprattutto permane è che Andromeda sia in definitiva ben superiore alla somma delle sue singole parti, grazie al costante sense of wonder delle sue distinte ambientazioni sci-fi, al carisma dei suoi personaggi e al gameplay frizzante e vivace.