Nel Garden di Balamb, prestigiosa accademia militare, si addestra il giovane Squall Leonhart nel rigore e nella disciplina; il suo carattere chiuso gli hanno procurato la reputazione di “lupo solitario”, ma le sue doti di cadetto faranno sì che diventi il pupillo della professoressa Quistis Trepe e il rivale di Seifer, studente dal temperamento indisciplinato. Conseguito il rango di SeeD, ben presto la minacciosa immagine della Strega, il cui ricordo è sbiadito dalle menti degli uomini, riappare nei piani di conquista della potenza militare di Galbadia; lo scenario di una guerra e il casuale incontro con una ragazza di nome Rinoa Heartilly, saranno destinati a cambiare per sempre il carattere di Squall, che nel frattempo continua a fare strani sogni nei quali veste i panni di un certo Laguna Loire.
 

“Fin dall'inizio, il nostro obiettivo principale con Final Fantasy VIII era raccontare una storia che ruotava intorno ai due protagonisti Squall e Rinoa. I precedenti Final Fantasy hanno caratterizzato grandi cast e bilanciato i diversi personaggi, ognuno con i propri drammi individuali, ma questa volta, eravamo seriamente intenzionati a usare i personaggi secondari appositamente per sostenere la storia dell'eroe e dell'eroina”.

Con queste parole Yoshinori Kitase descrive ai lettori di Famitsu del 1998 quella che di lì a qualche mese sarebbe stata la nuova Fantasia Finale, cercando forse di non pensare all’ingombrante eredità lasciata dal precedente capitolo, trionfante anche in occidente. Su Final Fantasy VIII si è detto negli anni di tutto e di più, tra coloro che lo ricordano con grande affetto essendo stato per molti occidentali il primo approdo alla saga e al genere RPG, e chi invece non può fare a meno di rimarcarne tutti i suoi innegabili difetti in ambito di scrittura e bilanciamento.
Ciò che non si può negare è il contesto di una Squaresoft in costante ricerca di nuove esperienze e sperimentalismi: “se non ci poniamo nuove sfide, non possiamo sostenere il carico di lavoro con la giusta nostra motivazione”, tale pensiero dominante caratterizza il preciso periodo storico di fine anni novanta, e ciò appare evidente ammirando opere come Final Fantasy Tactics, Parasite Eve, Chrono Cross, tutti usciti in un arco temporale che oggi sarebbe improponibile.
 

Con un team di circa 100 persone lo sviluppo di Final Fantasy VIII procede settando nuovi traguardi all’interno della compagnia, come l’utilizzo della motion capture per i filmati FMV e un aspetto grafico più realistico. Sony aveva distribuito FFVII nei mercati occidentali intascandosi una buona fetta dei suoi enormi profitti (avendone finanziato il marketing), come conseguenza di ciò Square apre la divisione europea diventando finalmente un publisher di livello globale e traducendo per la prima volta un suo gioco in più lingue.
Squaresoft concedeva ai suoi team un tempo definito, dai 18 mesi ad un massimo di due anni, per il completamento di un gioco di ruolo e Final Fantasy VIII ci rientrò appena con il budget stanziato; a tal proposito vale la pena in questa occasione aprire una piccola parentesi sul fatto che ancora oggi, nel 2020, capita di leggere, con velleità tra lo snob e il denigratorio, che “FFVIII ha arrubbato i soldi a Xenogears”, una fake news che non si capisce da dove sia spuntata fuori diffusa da chi evidentemente non ha voglia o non sa informarsi oltre al chiacchiericcio da forum. L’unica e inappellabile verità dei fatti è che il sig. Tetsuya Takahashi ha, con la sua smisurata ambizione, sforato i succitati due anni concessi (1996-1998), ritrovandosi a dover scegliere tra il consegnare il gioco così com’era oppure a trovare un compromesso per il CD2, come poi effettivamente avvenuto, senza alcun taglio di budget, dopodiché il team di Xenogears (circa 40 elementi) si sposta su quello di Chrono Cross (per un totale di 80), senza registrare alcuna interazione conosciuta, creativa o finanziaria, con quello di Final Fantasy.
 

Chiusa questa parentesi, dietro il suo sforzo produttivo senza precedenti, atto a plasmare un mondo cupo e cyberpunk, Final Fantasy VII manteneva in realtà una struttura abbastanza classica di RPG fatta di magie, invocazioni, tecniche speciali ed equipaggiamenti; al di fuori dunque dell’ intuitivo sistema delle Materia, il settimo episodio della serie proponeva elementi ampiamente consolidati della serie, con in particolare forti debiti nei confronti del suo predecessore. Ebbene Final Fantasy VIII spazza via tutto ciò, con un Sakaguchi sempre più marginale il team di Kitase attua un processo di “normalizzazione” del genere come mai si era visto, degradando di fatto tutti quegli elementi “fantastici” per concentrarsi piuttosto su aspetti umani, psicologici e geopolitici, quantomeno nelle intenzioni iniziali.

Ecco dunque che la magia non è più una cosa “mistica”, misteriosa o spirituale che solo pochi eletti possono padroneggiare, bensì una fonte di energia esauribile assimilabile dai nemici o da fonti sparse, mentre le invocazioni passano dall’essere creature leggendarie a semplici strumenti in possesso di mercenari. Perché di mercenari si tratta quando si parla dei SeeD, la nostra esaminanda guerrafondaia Shu neanche prova a nascondere la cosa (“peccato che l’esercito di Galbadia si sia ritirato da Dollet, avremmo guadagnato più soldi”), che sia al soldo di uno sgangherato gruppo di resistenza o di una potenza straniera, i SeeD vanno dove vengono richiesti senza farsi tante domande. E Squall sembra in effetti il soldato perfetto, esegue gli ordini alla lettera, mai una parola fuori posto nei confronti dei suoi superiori, nessuna interazione con il prossimo, Squall è convinto di poter vivere da solo puntando unicamente al raggiungimento della forza attraverso la totale indipendenza, virtù raffigurate dal suo onnipresente simbolo, un leone alato immaginario di nome Griever.
 

E ovviamente sta a lei, Rinoa, a dover far breccia nel “Cuore di Pietra” di Squall, il tipico esempio degli opposti che si attraggono: apatico e intento a non far conoscere nulla di sé lui, ultra emotiva e sempre pronta ad immischiarsi negli affari altrui lei, che scruta come un “gufo del bosco” l’animo di Squall il quale si ritrova del tutto disarmato alla sua esuberanza. È di fatto pensiero comune quanto errato considerare Final Fantasy VIII come quello “creato per piacere agli occidentali” ma in realtà non esiste Final Fantasy più giapponese di questo (ed è infatti, non contando remaster e riedizioni, il più venduto in patria); con il concreto rischio di apparire stucchevole verso coloro in cerca di narrazioni più adulte, la storia d’amore e alcune scene chiave come quella del ballo strizzano ovviamente l’occhio alle commedie adolescenziali, ma i dialoghi e la caratterizzazione dei due protagonisti, in particolare quella di Squall, presentano caratteristiche puramente giapponesi. FFVIII è il cinema (nell’estetica) che incontra le visual novel (in sostanza), che proprio in quel periodo iniziavano ad imporsi.

“Per FFVIII, volevo che il dialogo fosse in qualche modo disinvolto e senza pretese, ma che trasmettesse anche qualcosa sui pensieri e sui sentimenti interiori dei personaggi, come se queste parole innocenti nascondessero qualcosa di più profondo ... I personaggi hanno tutti le proprie ansie. Ciò significava che uno stile "manga" non avrebbe funzionato per i dialoghi di FFVIII, i precedenti giochi a volte avevano quella sensibilità un po’ da fumetto o slapstick, ma sapevo che qui sarebbe stato strano”. Kazuhige Nojima.
 

Se focalizzare la storia su Squall e Rinoa è stata fin da subito la chiara intenzione degli sceneggiatori, lo sviluppo dei restanti personaggi poteva e doveva essere gestito meglio, composto da un cast di figure monodimensionali diviso tra chi si esaurisce nell’arco del primo CD (Quistis, Irvine), chi dovrebbe essere divertente (Zell), e chi non va oltre la mascotte (Selphie), per poi ritrovarsi testimoni di un assurdo plot twist sulle loro origini a metà della storia. Sul “rivale” di matrice shonen Seifer poi è meglio stendere proprio un velo pietoso, per presentazione, per motivazioni, per qualunque cosa.

La figura della Strega, ideata da tempo da Tetsuya Nomura (così come Raijin e Fujin, inizialmente previsti in Final Fantasy VII), funge intenzionalmente da contrasto in un mondo mai prima d’ora così contemporaneo, popolato da umani che hanno “dimenticato” la sua crudeltà, bramandone il potere. La Strega è quell’elemento fantastico e di mistero che FFVIII ha in superficie ripudiato, e per questo la sua minaccia effettivamente funziona così come la messa in scena, almeno fino a quando la caccia alla strega non diventa una versione RPG di Super Mario Bros. “Sorry Squall, the Witch is in another castle”.
I “sogni” con protagonista Laguna Loire, inizialmente spiazzanti, si dimostrano complementari alla storyline principale e facenti parte di un processo di alternanza nel tessuto narrativo di Final Fantasy VIII, i quali vedono questo sgangherato trio umoristico coinvolto in situazioni assurde e dall’atmosfera totalmente diversa da quella di Squall (da antologia la parte con il drago), un soldato ordinario che in un’escalation di sviluppi in giro per il mondo si ritroverà a compiere imprese straordinarie.
 

Sul fronte del giocato il sistema Junction, che lo stesso Hiroyuki Itou definisce “sperimentale”, è croce e delizia di questo capitolo. Tramite le Guardian Force, senza le quali siamo praticamente delle nullità, si impostano magie, abilità, attributi elementali, resistenze, boost di HP e tutto il campionario che questo sistema ha da offrire inondando letteralmente il giocatore novizio di nuove nozioni, mentre l’esperto si metterà ad assimilare 100 Thunder appena messo piede fuori dal Garden, perché alla fine il sunto sta tutto lì. I giocatori di Final Fantasy VIII tendono dunque a dividersi in due categorie, tra chi va avanti spammando GF anche contro gli insetti perché trova attacchi e magie deboli (rischiando di trovarsi in seria difficoltà in alcune boss fight nella fase finali) e chi invece si mette ad assimilare come non ci fosse un domani per potenziare i propri attributi.
 

Ad ulteriore conferma della peculiarità di questo Final Fantasy vi è il livello dei mostri che varia in base a quello medio della nostra squadra, procrastinate nell’affrontare Diablos e potreste ritrovarvelo da 8,000 a 80,000 punti vita. Al netto comunque di battaglie un po’ più “noiose” del solito il sistema si dimostra sufficientemente profondo grazie alle abilità sbloccabili delle GF, presenti in gran quantità, in grado di sostituire praticamente qualunque altra cosa nel gioco con l’eccezione dei negozi di armi; tramite esse è infatti possibile trasformare mostri in carte, carte in oggetti, oggetti in magie e via discorrendo, garantendo una gran quantità di opzioni e rifornimenti. E a proposito di carte non si può non citare il Triple Triad, forse il minigioco più amato dell’intera saga, tanto semplice quanto stimolante nella totale ricerca di carte rare da sottrarre agli avversari, alcuni anche impensabili.
Che dire poi dello “stipendio” percepito dei SeeD? Idea tanto inusuale in un RPG quanto decisamente plausibile rispetto ai mostri che sganciano soldi, per quanto abbastanza raggirabile andando a cercare le soluzioni dei test per accrescere al massimo il proprio grado con conseguente pioggia di guil, e già all’epoca c’era questo giro tra riviste e primi fan site per chi poteva permettersi internet, con inverosimili scene in classe del tipo “passami i compiti di matematica e io ti dò le soluzioni dei SeeD”. Storia vera.
 

“Uno degli obiettivi che ci eravamo prefissati era di vedere fino a che punto potevamo rappresentare realisticamente cose "non realistiche" come il Garden. Chiunque può realizzare una semplice grafica fotorealistica, con il tempo sufficiente e l'attrezzatura giusta, noi volevamo qualcosa che potesse evocare un senso di creatività, di un mondo artigianale”. Yusuke Naora

Il team artistico capitanato da uno Yusuke Naora in stato di grazia ha svolto un lavoro immenso, dai 500 fondali di Final Fantasy VII si è passati a ben 800, complice anche una maggior varietà di inquadrature grandangolari e primi piani, ora possibili grazie ai personaggi in fattezze naturali. Il mondo di Final Fantasy VIII ci propone un assurdo ma a suo modo affascinante miscuglio di architettura moderna (il Garden sembra un padiglione di Osaka ‘70 a firma Kenzo Tange), stile liberty (Deling City, Dollet), post industriale (Timber, Fisherman’s Horizon), futurista (Esthar) per concludere con un classico castello, fuori dal tempo, quasi a voler chiudere un cerchio.
Nobuo Uematsu sposa perfettamente questa rivoluzione estetica della serie firmando una delle sue migliori composizioni: Eyes on Me è la prima insert song della serie e non poteva che essere una splendida canzone d’amore, Liberi Fatali non ha perso un briciolo della sua carica introduttiva e tracce come The Landing, Waltz for the Moon, The Castle, The Extreme, rientrano di diritto nel novero delle indimenticabili a marchio Square.

A lungo richiesta, Square Enix, con il supporto di Access Games e DotEmu, propone finalmente nell’anno di grazia 2019 una versione rimasterizzata di Final Fantasy VIII per tutti i principali sistemi di gioco. Similmente a quanto visto con il nono capitolo un paio di anni orsono, Final Fantasy VIII Remastered attua un processo di ricostruzione sui modelli poligonali di personaggi, mostri e Guardian Force, mantenendosi fedele alle illustrazioni originali di Tetsuya Nomura, anche se Squall appare leggermente diverso, più simile a quello di Dissidia, rispetto ai filmati in CG.
Purtroppo, come già avvenuto con gli altri fratellini dell’epoca PSX, i fondali rimangono ancorati alla risoluzione originaria (e ovviamente in 4:3) essendo appunto pre-renderizzati, creando un vistoso stacco tra i modelli poligonali ricreati e il fondale. Tale discrepanza estetica è ben visibile nella via commerciale di Deling City, dove elementi poligonali coesistono con passanti che fanno parte dello sfondo, i quali a confronto appaiono decisamente “sbiaditi”, non proprio un bel vedere (in particolare sui grandi televisori), ma l’unica alternativa sarebbe stata ricreare da zero tutti i fondali, uno sforzo produttivo che avrebbe richiesto gli stessi anni di sviluppo di allora. In conformità con l’epoca vigente Square Enix approfitta di questa rimasterizzazione per coprire le bionde zone inguinali di Siren, mentre non si segnalano modifiche di alcun tipo in sede testuale, questa riedizione estrapola totalmente la traduzione del 1999, di buon livello per il periodo ma con alcuni errori e comunque migliorabile. Presenti all’appello tutte quelle opzioni extra già viste nelle altre remaster affini come supporto alle battaglie, azzeratore di incontri e il beneamato velocizzatore X3.
 
 
Intriso come mai prima di raro romanticismo, gli avvenimenti evolvono in sentimenti di immedesimazione adolescenziale in uno pseudo-RPG dalla struttura narrativa anarchica e sperimentale, ma per questo a suo modo affascinante. Il ricorso allo sbalorditivo utilizzo dei Full Motion Video e della profondità architettonica mascherano lacune nella struttura di progressione, prezzo di una ricercata destrutturazione di meccaniche consolidate. Ciò non ha impedito all’opera di Kitase di entrare nell’immaginario di una nuova generazione di giocatori di ruolo, che da bravi cadetti dal Garden sono poi partiti in cerca di altre avventure, a riprova che per rendere Final Fantasy un Final Fantasy forse sono sufficienti dei “FF Moment”, di cui l’ottavo capitolo può senza dubbio fregiarsi di esserne pregno.