Quando si parla di trasposizioni cinematografiche e televisive di opere tratte dal mondo videoludico la reazione tende a essere un misto di ilarità e disperazione. Negli anni infatti e fin da Super Mario Bros. Del 1993, trovare qualcosa di decente è davvero difficile, citando quasi sempre i soliti film come Silent Hill. Nell’ultimo periodo però qualcosa sembra cambiare, vuoi per una maggiore maturità raggiunta dal medium, vuoi per una quadra che forse si comincia a trovare.
 
Uno show coloratissimo!

Non è un caso infatti che le opere meglio riuscite sinora siano Detective Pikachu, Castlevania e Arcane, che non contano di una trama ben precisa o personaggi caratterizzati secondo il criterio cinematografico. Si può spaziare insomma, prendendo libertà non concessa in strutture narrative come Uncharted o Tomb Raider. The Cuphead Show! rientra nella prima dinamica, un videogioco che utilizza un pretesto di trama molto semplice al fine di giustificarne l’azione frenetica. Lo show su Netflix dunque può prendersi molte libertà, a partire dalla caratterizzazione dei due protagonisti (Cuphead e Mugman) e un setting narrativo composto da un’altalena di trama dallo sviluppo orizzontale e verticale che segna forse, uno dei pochi punti deboli della serie.
 
Avrebbe meritato più spazio

Il videogioco Cuphead è un piccolo capolavoro e che ricorda in parte quanto avvenuto a Walt Disney prima della creazione di Biancaneve, con i due sviluppatori Chad e Jared Moldenhauer costretti a ipotecare casa pur di portare avanti il progetto. A colpire sin da subito è ovviamente il comparto artistico composto da disegni realizzati a mano (animazioni scansionate) con chiari riferimenti all’animazione anni ‘30, soprattutto Disney e Fleischer Studios. I richiami allo stile e a personaggi storici sono palesi, portando Cuphead a essere un videogioco realizzato con passione e amore per un mondo quasi dimenticato. Tutto ciò viene ovviamente trasmesso anche dalla serie TV, con disegni realizzati questa volta digitalmente (per questioni di tempo e costi) ma che non fanno per nulla rimpiangere quanto visto nella versione originale. Tutto lo show è quasi un richiamo nostalgico alla Disney vintage o ai Looney Tunes, con uno stile ormai quasi interamente soppiantano da digitale e 3D. Ma la serie va oltre, omaggiando anche tecniche che in quegli anni erano all’avanguardia come il rotoscopio, ideato proprio da Max Fleischer, in cui reale e irreale si fondono oppure, in questo caso, unendo mondi completamente diversi. Come nel videogioco infatti, non mancano scene in cui animazione 2D si mischia al 3D, perfettamente fuse tra loro e che portano quel pizzico di varietà visiva alla serie. The Cuphead Show! è un gioiello e merita una visione solamente per la realizzazione tecnica ma le atmosfere di quel periodo non sarebbero la stessa cosa senza un accompagnamento musicale di livello, tra richiami jazz e ragtime che energizzano ogni scena che vediamo a schermo.
 
Varietà delle tecniche

Ma se sul lato artistico non vi è nulla da eccepire, la struttura narrativa presenta qualche problema, facendo apparire lo show Netflix come una grossa occasione mancata. Certo, siamo in un contesto in cui conosciamo solo un terzo della serie ma l’unione tra puntate autoconclusive e non, rende queste prime dodici puntate un po’ schizofreniche. La durata di 15 minuti circa a episodio aiuta parecchio la fruibilità, visto che comunque si tratta di storie molto semplici ma alla lunga anche un po’ ripetitive. L’incipit narrativo è il medesimo del videogioco, in cui Satanasso (il Diavolo) vuole l’anima di Cuphead ma la direzione intrapresa dagli sceneggiatori cambia totalmente, portando sugli schermi un prodotto praticamente originale. Come detto però, funziona solo in parte, con il filo conduttore Satanasso-Cuphead ripreso in una manciata di puntate e che avrebbe meritato sicuramente più spazio visto che la struttura degli episodi a trama verticale è praticamente sempre la stessa: Cuphead e Mugman vanno all’avventura, fattaccio, risoluzione. Anche i dialoghi, che qui ovviamente prendono largo spazio, mancano di reale mordente il più delle volte, con la sensazione che si tiri il freno a mano proprio per non travalicare il limite di "prodotto consigliato ai bambini". Viste alcune scene, in cui si avverte del sano no-sense e una leggera patina di black humor, qualche "cattiveria" in più non avrebbe sicuramente guastato, anche perché a volte è difficile capire il reale mood dell'opera. Il problema è che si sente parecchio un po’ di stanca a lungo andare proprio per vie di metodiche narrative riviste appena qualche episodio prima ma per fortuna, non è tutto da buttare.
 
Walt Disney?

Alcuni di questi episodi, come quella dedicata a King Dice, risultano divertenti e appaganti, spingendo lo spettatore a guardare immediatamente la puntata successiva. Vista la brevità degli episodi tutto risulta più semplice ma è un peccato non si sia dato spazio a quegli elementi interessanti introdotti col primo episodio. Non mancano ovviamente tutti i riferimenti al videogioco, con tutta l’opera che riesce a riportarne pienamente le atmosfere o quasi.
Come molti sapranno infatti, Cuphead è uno shooter 2D, uno Shoot 'em up frenetico ed estremamente vario, grazie ai suoi 28 boss e sezioni platform al cardiopalma. È anche estremamente difficile, portando alla scomunica la maggior parte dei giocatori eppure, tutto questo, non fa parte della serie TV. Il tono scelto infatti è molto scanzonato e con poco spazio all’azione. Non è presente nemmeno alcuno sparo dalle mani dei protagonisti, cosa che forse porta The Cuphead Show! a essere una serie puramente introduttiva su ciò che vedremo prossimamente, in una congiunzione tra quanto raccontato qui e quanto fatto nel videogioco.
 
 
The Cuphead Show! è uno show che in generale funziona in quasi tutte le sue parti, a cominciare dallo splendido comparto visivo e sonoro. Nonostante una narrazione che soffre di alti e bassi riesce a intrattenere grazie alla brevità degli episodi, configurandosi come introduzione ─ forse ─ a ciò che vedremo più avanti, magari virando verso situazioni più action. La voglia di riprendere il pad in mano è forte e in fin dei conti è questo il vero obiettivo di un’opera di questo tipo.