Il ritorno di Criterion nella serie Need for Speed, ulteriormente rafforzato dall’acquisizione di Codemasters da parte di Electronic Arts, era stato ben accolto dal pubblico e anche da una buona parte della critica di settore.
 
Un controverso Need For Speed

Parliamo di un team talentuoso che nonostante alcuni passi falsi è riuscito a lasciare un segno indelebile nei racing game. Need for Speed Unbound dunque sembra essere nato sotto una buona stella ed effettivamente, almeno all’inizio, tutto sembra andare a gonfie vele.
Veniamo da diversi Need For Speed firmati Ghost Games, team di Goteborg che nonostante tutte le buone intenzioni, non è mai riuscito a centrare la formula adatta per entrare nei cuori degli appassionati, che da tanti anni chiedono a gran voce il ritorno di Underground, nonostante il capitolo del 2015 ci si avvicinasse parecchio. Tra l’action-racing game Payback, colpito dalle polemiche sulle microtransazioni e un Heat un po’ insipido, tutte le speranze erano riposte in Unbound, un capitolo controverso visto il suo aspetto visivo, cosa che però ha sviato l’attenzione sugli elementi importanti, un po’ come i vari bug e glitch lo hanno fatto con Cyberpunk 2077.

Need for Speed Unbound parte benissimo, non c'è che dire. Ruotando attorno a una classica storia di vendetta e redenzione, contornata dalla centralità della famiglia in stile Fast & Furious, veniamo attirati un contesto che rispetto a Heat si presenta molto bene, nonostante i protagonisti in cel-shading. I dubbi su questa peculiare caratteristica spariscono in fretta però, viste le ottime animazioni, una regia più attenta ma soprattutto un doppiaggio italiano in grado di restituire alla perfezione il mood del titolo. Nella prima settimana di gioco (tutte le vicende proposte si protraggono nell'arco di un mese, dopo un time skip di due anni) il gioco procede spedito, dando il meglio di sé: troviamo tutte le caratteristiche principali a portata di mano come eventi collaterali in grado di sbloccare nuove auto, vari eventi preliminari per accedere alle qualificazioni della Grand, la gara più importante di Lakeshore, le scommesse contro i rivali e ottime cutscene in grado di coinvolgere i giocatori in quello che sembra essere il miglior Need for Speed degli ultimi anni.
 
Uno stile peculiare

Unbound ha sicuramente un taglio artistico interessante, non si può negare, e va in netto contrasto con quanto sviluppato da Ghost Games nei capitoli precedenti, con il capitolo del 2015 che forse è il più simile per concetto all'ultimo lavoro di Criterion Cheshire. In quel capitolo infatti, attori in live action entravano in contatto con il digitale cosa che portò il team svedese a rivedere il tutto e tornare a una migliore amalgama tra le parti in Payback. E proprio di amalgama si parla quando puntiamo gli occhi su Unbound, in grado di sfoggiare una tecnica sopraffina, tendente al fotorealismo, ma con elementi animati in stile street art, ispirati anche dal lungometraggio Spider-Man: Into the Spider-Verse. I vari effetti visivi e uditivi, rendono effettivamente Unbound qualcosa di nuovo o comunque intrigante, segnando già così una netta differenza di visione tra Ghost e Criterion, con quest'ultimo team che non si crea problemi a “imporre” la sua visione dei racing game. Del resto l'abbiamo visto con i vari Burnout e lo strano reboot Most Wanted, riuscendo anche ad apportare diverse innovazioni nel campo del multiplayer online.

Tutto sembra funzionare quasi alla perfezione, con un micromanagement dei soldi a disposizione e una curva di progressione ripida ma appagante. I proventi delle gare e dei vari eventi, come potete tranquillamente immaginare, sono indispensabili per acquistare nuove auto, personalizzazioni estetiche e upgrade meccanici, ma il tutto va fatto con parsimonia, poco alla volta, pianificando e gestendo le risorse con attenzione visto che inizialmente anche poche centinaia di dollari possono fare la differenza. In aiuto però interviene il fattore scommessa, una delle novità di Unbound: prima di ogni evento infatti, possiamo sfidare uno dei nostri rivali, una sfida nella sfida insomma, in cui non solo si dovrà pensare a vincere la gara in questione ma battere anche chi abbiamo sfidato. C'è un'attenzione particolare su questo aspetto e non è cosa da poco: ogni rivale infatti possiede un minimo background in grado di caratterizzarlo, per cui, l'unione di auto, vestiario e queste poche righe di testo danno una personalità a quella che normalmente è una semplice etichetta con nome e cognome sulla classifica. Sono piccoli dettagli, ma sono questi che mostrano una cura particolare nella presentazione del pacchetto, ulteriormente rafforzato da alcune missioncine dedicate ad alcuni di loro, utili per sbloccare nuovi rifugi ma anche per approfondire ulteriormente questi personaggi, rivali che ci porteremo dietro per tutto il gioco.
 
Anche la partecipazione di A$AP è particolare

Need for Speed Unbound dunque si presenta molto bene, non solo nel contorno ma anche nel nuovo modello di guida e nella personalizzazione, in grado di trasformare radicalmente un'automobile. Partiamo dal primo elemento, in cui la mano di Codemasters sembra vedersi a ogni curva. Il concetto su cui si basa Unbound diverge profondamente da quello di Heat in cui il focus del modello di guida era incentrato sulla possibilità di effettuare derapate ad alta velocità. Qui la questione è un po' più complicata, partendo da una maggior “presenza” su strada della vettura, un maggior peso tangibile che ovviamente, ne influenza la dinamica. Proprio nelle derapate si avverte una maggiore differenza in quanto non solo si perde velocità a lungo andare ma sfruttare il movimento inerziale della vettura in ingresso curva richiede un nuovo approccio, moltiplicato almeno per tre viste alcune differenze presenti tra vetture a trazione anteriore, integrali (che tendono a un maggiore sottosterzo) e posteriore. Basta fare qualche chilometro per accorgersi di come il nuovo modello di guida abbia fatto enormi passi avanti rispetto ai suoi predecessori e nonostante ogni tanto capitino alcuni svarioni, il nuovo sistema funziona, dando ulteriore carattere al racing game.

Carattere che può uscire ulteriormente fuori grazie al rinnovato sistema di personalizzazione, che ora prevede anche dei kit preimpostati, tra cui alcuni definiti “leggendari”, capaci di trasformare radicalmente l'auto. Questi kit sono anche un ottimo salvatempo qualora non si voglia investire tempo a perfezionare ogni elemento dell'auto, cosa che si può comunque fare vista una più ampia disponibilità di parti e wrap. Anche qui è possibile notare alcuni dettagli degni di nota, come l'opportunità di rimuovere paraurti o scegliere liberamente il colore di fari e vetri dell'auto, anche se per il resto, chi proviene da Heat, non troverà ulteriori novità, soprattutto quando si parla di meccanica.
Il parco auto vanta un buon numero di modelli ma da notare anche qui è una piccola descrizione di ogni vettura proveniente da SpeedHunters: si tratta di poche righe ma necessarie per restituire una personalità al modello poligonale con la quale stiamo interagendo. Ogni auto ha una storia ed è giusto che traspaia anche in un racing game che verte necessariamente verso l'arcade. Del resto il primissimo Need for Speed era nato anche grazie a una partnership con Road & Track, una nota rivista di settore.
 
Testa a testa fino a un certo punto

Arrivati a questo punto, qualcuno potrebbe sussurrare uno "Stop the count!" di “trumpiana” memoria perché, superate le prime ore di gioco, qualcosa comincia a non tornare ─ purtroppo. Tutta l'esperienza iniziale infatti, comincia a crollare come un castello di carte a ogni ora che passa, in ogni sua parte, dalla narrativa, all'open world sino alla varietà generale degli eventi. È difficile descrivere le sensazioni provate con Unbound, capace di mostrare scelte di design a volte incomprensibili e che sono sempre state lì, sotto i nostri occhi ma mascherate in modo molto efficace dalla magia delle prime ore.
Tutto si gretola come per effetto dello schiocco di dita di Thanos a cominciare da una componente narrativa che si perde in un bicchier d'acqua e finisce per essere quasi un effetto collaterale del gameplay.

Tutto ruota attorno a tre personaggi (tra cui il protagonista) legati tra loro da un forte vincolo emotivo, una famiglia senza effettivi legami di sangue. Questi rapporti sono già preesistenti al nostro primo ingresso in Lakeshore e fin qui nulla di male visto che capiamo immediatamente le dinamiche del trio. Questo però porta a un effetto collaterale, esacerbato ulteriormente dal rendere tangibile l'obiettivo finale di riprendere l'auto che ci è stata rubata, espediente interessante ma del tutto ininfluente visto che potremmo ricomprarla nel giro di poco senza particolari problemi. Come in un Naruto qualunque, dobbiamo riportare un personaggio sulla retta via ma le poche cutscene e dialoghi telefonici a volte fini a sé stessi, non riescono a creare un legame o quantomeno un interesse verso le vicende. Persino la Grand, la gara per eccellenza, si risolve come qualunque gara effettuata fino a quel momento, mettendo il punto sull'insipido finale. È chiaro, in Need for Speed non ci si aspetta di certo Balla coi Lupi, ma fa strano come il buono mostrato nel prologo e nelle prime ore di gioco si perda con l'avanzare del tempo, arrivando ai titoli di coda in preda all'apatia.
 
Politica dove non te l'aspetti

Ma Unbound, sorprendentemente, è anche un titolo molto politico. Esiste infatti una sottotrama in cui assistiamo a una campagna elettorale tra due candidati sindaci che si contendono la poltrona più prestigiosa di Lakeshore ed è difficile non notare una certa tendenza ad andare “contro il sistema”, contro una classe politica che in qualche modo non rispecchia il volere del popolo. Ma siamo dentro Need for Speed, il che rende il tutto più o meno contestualizzato, anche se raccontato in modo non proprio elegante. Sembra quasi di trovarsi infatti in un lavoro che non ha ben chiaro il target di riferimento ed è proprio da questi dialoghi dei candidati che si avverte una certa confusione. A chi è rivolto Need for Speed Unbound?
Sembra che si voglia strizzare l'occhio a due generazioni contrapposte, il nuovo pubblico dei giovanissimi e i veterani del franchise e forse è proprio questa la chiave di lettura sul peculiare aspetto visivo. Ma questo scontro lo si intravede soprattutto nei dialoghi, capace di mischiare in poche frasi alcune citazioni della cultura pop (persino Fantozzi qui in Italia), alcune sopraffine e altre che cadono negli stereotipi più memati al mondo, come il “boomer che guarda video di gattini”. Unbound è uno strano mischione visivo e uditivo che cerca di attirare le attenzioni di tutti ma che forse, non accontenta nessuno.
Ma la politica presente nel nuovo NFS tocca anche altri argomenti, soprattutto quelli riferiti all'inclusione. Abbiamo parlato di come alcuni nostri rivali abbiano a disposizione piccoli eventi in grado di sbloccare nuovi rifugi ma in realtà, c'è molto altro. Ognuno di essi infatti, corrisponde in qualche modo a un tipo di discriminazione, da quella di genere a quella razziale, con dialoghi che vorrebbero sollevare il problema, portando anche a una riflessione ma che finiscono per avere l'effetto opposto. Tutto risulta posticcio, un voler inserire forzatamente e raccontate in pochissime righe temi di importanza vitale per la nostra società. Si finisce così con avere personaggi che invece di essere persone sono semplicemente macchiette, lo stereotipo della discriminazione che alla fine, non aggiunge nulla né al gioco e nemmeno alla discussione.
 
Sicuramente appariscente

Ma i problemi non sono certo finiti. Il sistema di progressione mostra le falle già dopo qualche ora di gioco, con scommesse non più rilevanti viste vincite irrisorie rispetto i montepremi disponibili alla vittoria degli eventi e la poca varietà di quest'ultimi, con gare molto simili tra loro se non per la variazione sul tema offerta dalle Staffette, simili allo Speedcross presente in Payback. Manca dunque un reale stimolo all'adattamento, con la nostra auto che essenzialmente, può far tutto. È inspiegabile notare ad esempio la presenza di gomme e sospensioni da sterrato, pur non esistendo tali gare: nonostante capitino sezioni fuoristrada in qualche percorso, non conoscendo prima queste caratteristiche prima dell'evento rende impossibile anche solo pensare adattare l'auto di conseguenza o quantomeno capire se ne vale la pena visto che manca anche una segnalazione, magari in percentuale, della presenza di tali sezioni.
Le gare comunque sono decisamente tese, anche per una rinnovata IA che dà sicuramente filo da torcere, sfoggiando una certa aggressività e capace di sfruttare le poche scorciatoie presenti. Benché alle volte sia presente il cosiddetto “effetto elastico”, la maggior parte delle volte non compromette la vivibilità dell'evento anche se salta all'occhio come negli eventi “narrativi”, si noti abbastanza il “tappeto rosso” per farci arrivare all'obiettivo. IA rinnovata anche nella polizia, più aggressiva rispetto Heat e vera spina nel fianco dell'esperienza, forse troppo. Il numero delle pattuglie è decisamente aumentato, in cui non è possibile più pagare una multa alla piccola infrazione, sostituita da un piccolo cooldown prima di cominciare l'inseguimento. Il problema è il loro raggio di visione e appunto il loro numero, rendendo le strade spesso impraticabili e frustrante il ritorno a casa.

Sembra quasi che tutta l'attenzione ai dettagli delle prime ore si perda per strada, anche negli eventi collaterali fini a sé stessi, trasformando Unbound in un meccanico e didascalico susseguirsi di gare sconnesse tra loro. La Grand è l'obiettivo finale ma sembra quasi che tutto il resto sia lì solo per far numero, per riempire un open world che di stimoli a esplorarlo ne regala davvero pochi. Nonostante l'espediente delle categorie di auto (da B a S+), che porta a tenere d'occhio più mezzi contemporaneamente per essere sempre al top invece che concentrarsi su uno soltanto, una volta spenta la magia iniziale, Unbound si trasforma in un racing game come tanti, senza infamia e senza lode. E non abbiamo parlato dell'online.
 
Derapare è un po' più complicato

Criterion e Ghost ci hanno abituati a interessanti introduzioni negli ultimi 12 anni, tra l'Autolog, Speedlist e All Drive, in grado di unire in una sola partita single e multiplayer. Qui le cose sono stranamente un po' diverse, con queste due componenti completamente separate tra loro. Chi inizia con la campagna principale, potrebbe trovarsi infatti una brutta sorpresa una volta entrati nel multiplayer, dovendo ricominciare essenzialmente da zero e senza la possibilità di utilizzare le auto faticosamente acquistate, potenziate e personalizzate nel corso dell'avventura. Il multiplayer diventa così un'esperienza a sé stante, una scelta di difficile comprensione vista l'interattività raggiunta tra gli utenti negli ultimi capitoli: non è possibile sfidare singolarmente gli utenti connessi, non è possibile battere i loro record di velocità, drift ecc. (spuntano solo i dati dei rivali single player), e non è nemmeno possibile avviare le scommesse tra i giocatori, come lecito attendersi a un certo punto.
Un enorme passo indietro rispetto a quanto fatto negli ultimi anni, con l'online che si configura anche qui come una serie di eventi in cui gareggiare con gli altri utenti e nulla più. Un vero peccato. Questo inoltre rende totalmente inutile il single player una volta terminato, rimanendo un'esperienza fine a sé stessa e tutt'altro che memorabile.
 
Colpo d'occhi decisamente interessante

Il comparto tecnico rialza la situazione, contando su un Frostbite in grande spolvero almeno quando si parla della realizzazione delle auto, il fiore all’occhiello della produzione, accompagnato anche da un nuovo modello dei danni. La città di Lakeshore, ispirata alla metropoli Chicago, riesce a regalare un ottimo colpo d’occhio il più delle volte anche se a conti fatti, l’ambientazione risulta meno ispirata rispetto alla simil-Miami e alla simil-Las Vegas dei capitoli precedenti. Sicuramente sembra più viva, vista l’introduzione dei cittadini, capaci di schivare le auto come se avessero tutti sviluppato l’Ultra Istinto. Danno sicuramente un tocco di colore.
Anche il sound design fa un deciso salto avanti rispetto le controparti precedenti, non solo per i diversi rombi dei motori, decisamente più “corposi” e realistici, ma soprattutto per tutto ciò riguarda interfacce ed effetti, che come potete immaginare, non sono solo visivi.
Ottimo il doppiaggio in italiano (anche se risulta straniante la mancanza dello stesso per A$AP) arricchito, come anticipato, con citazioni della cultura pop nostrana.
 
Need For Speed Unbound purtroppo non riesce a confermare nel tempo le sue ore iniziali, finendo per essere un racing game vecchio stampo e un incredibile passo indietro sull’intera struttura di gioco. Si salvano il rinnovato modello di guida e il comparto estetico ma è davvero troppo poco per valutare egregiamente un lavoro che, stando alle premesse, meritava una valutazione importante. Manca un reale coinvolgimento nelle vicende di Lakeshore e un motivo valido e soddisfacente per continuare a giocare, con il single player che a un certo punto, non conterà letteralmente più nulla.