Viviamo in un periodo particolare, in cui si stanno facendo grossi passi avanti in termini di inclusione e rispetto per il prossimo. Tuttavia, come in ogni parte del nostro essere, esistono gli estremi, anche di cose positive.
 
Follia a palate.

Ogni tanto può capitare di riscontrare una certa iper-sensibilità, elemento che può limitare linguaggio ed espressione, a cominciare da semplici battute. Da qui tutta la trafila del politicamente corretto che tanto abbiamo sentito usare negli ultimi anni, con tanti personaggi di spicco del mondo dello spettacolo aver quasi timore di esprimere una propria opinione pur di non scaturire polemiche.
Ma vuoi o non vuoi si finisce sempre per scontentare qualcuno a prescindere da ciò che si dice o scrive e questo avviene spesso quando ci si trova di fronte al cosiddetto black humor, quell'umorismo che tratta di temi considerati tabù come guerra, disabilità o persino la violenza. Accade dunque che si faccia confusione tra l'oggetto della battuta e la battuta stessa, come accaduto in diversi frangenti a Ricky Gervais, sempre molto lucido nell'affrontare questo tema nei suoi spettacoli.

Ovviamente dipende sempre dalla qualità della battuta in sé con la reazione del pubblico, sempre in bilico tra l'indignazione e un'amara risata. Ci vuole una certa sensibilità e intelligenza per produrre qualcosa in grado divertire e intrattenere affrontando i temi più terrificanti che ci circondo, eppure c'è chi ci ha creato uno show intero: Justin Roiland.
Rick and Morty è una delle serie più apprezzate al mondo, arrivata alla sesta stagione e che fa del black humor la sua arma vincente, in piena antitesi con quel politicamente corretto citato all'inizio della recensione. Non è uno show per tutti come non lo sono i prodotti generati da Squanch Games, lo studio creato dall'autore della serie e che dopo Accounting e Trover Saves the Universe, ha deciso di puntare in alto, proponendo uno shooter unico nel suo genere e una boccata d'aria fresca per il mercato videoludico.
High on Life sembra in tutto e per tutto uno spin-off di Rick and Morty, contando proprio sul doppiaggio, spesso improvvisato, proprio di Justin Roiland, mettendo assieme un titolo sorprendente seppur con diversi spigoli da limare per un eventuale sequel.
 
Quattro chiacchiere con la nostra pistola.

Ambientato nei nostri giorni, il pianeta Terra viene improvvisamente invaso dal G3, un gruppo di narcotrafficanti alieno che utilizza gli esseri umani come mezzo per “sballarsi”, fumandoli. Saremo noi, assieme a quattro armi senzienti a opporci, con l'aiuto di Gene, un ex cacciatore di taglie che ci permetterà di entrare nel giro e salvare così l'Universo.
Raccontare e prendere sul serio la trama di High on Life e davvero difficile ed è chiaro come il tutto funzioni da pretesto per sfoderare tutta la creatività del team di sviluppo e dello stesso Roiland. Contando su un cast di personaggi comunque ben caratterizzati e in grado di evolversi nel corso del tempo, la decina di ore necessarie al completamento del titolo, regaleranno comunque una bella dose di intrattenimento, ilarità e soprattutto risa, a volte anche sboccate. Questo perché essenzialmente High on Life sa di essere un videogioco e dunque, è inutile prendere tutto sul serio.

Lo humor e i videogiochi non si sono incontrati poi così spesso, almeno negli ultimi anni. Certo, abbiamo avuto esponenti del calibro di Metal Gear Solid e più recentemente The Outer Worlds (parlando dei più rinomati) ma quello che propone High on Life è qualcosa di speciale e difficilmente replicabile da altri studi a autori. Le peculiarità del titolo infatti non sono solo visive ma anche nei moltissimi dialoghi e critica diretta a un mercato che fa incetta di contenuti aggiuntivi a pagamento, missioni secondarie totalmente inutili e marketing aggressivo di prodotti lontani dalla qualità annunciata. Per certi versi, si era visto qualcosa di simile in Nier, almeno nella questione delle quest accessorie ma qui si ha a che fare con una comunicazione diretta autore-giocatore, lo sbattere in faccia l'insensatezza di alcuni elementi di gameplay o la mancanza di innovazione solo per far contento il pubblico. Benché a volte queste critiche siano banalizzate e basate su luoghi comuni, l'esser messi di fronte a quel che effettivamente accade all'interno del mercato fa un certo effetto, soprattutto se consideriamo il modo con cui questi pensieri vengono comunicati.

Si tratta pur sempre di un prodotto generato dalla mente di Roiland, con dialoghi a volte infiniti e pieni follie senza senso e citazioni alla cultura pop, tra Metal Gear, Final Fantasy, Evangelion e molti altri. Il rapporto diretto tra High on Life e il giocatore dunque è molto solido, come se giocassimo assieme videogioco stesso, in un rapporto meta-ludico difficilmente replicabile. Tuttavia, la follia e la comicità proposta da Squanch Games si scontra con un pubblico diverso rispetto quella proposta dalla serie animata di riferimento, a cominciare dalla densità di umorismo nel tempo.
 
Ovviamente anche i boss sono folli.


Rick and Morty funziona anche grazie alla sua durata, pillole di una ventina di minuti in cui è condensato lo strano, folle caso della puntata. Protrarre questo tipo di intrattenimento per diverse ore può stancare in fretta e in un videogioco questo può avere un duplice effetto: il primo riguarda le pause dal gameplay forzate, ascoltando dialoghi sconclusionati per diversi minuti quando si vorrebbe semplicemente proseguire e sparare qualche colpo. Il secondo è che essendo un pubblico diverso, si avverte una certa attenzione nel modo in cui tutto ciò viene veicolato. High on Life è un prodotto che molto probabilmente verrà giocato da utenti che non conoscono minimamente i lavori di Roiland e a questo Squanch Games deve averci pensato: per quanto ci sia una certa spinta verso l'unpolitically correct, soprattutto se consideriamo l'intero mercato videoludico, è difficile non notare come in certi momenti ci sia un freno alle idee, una limitazione auto-imposta per non far scappare a gambe levate molti giocatori. Si tratta pur sempre di un prodotto che deve vendere il più possibile e per quanto lì fuori sia presenta una grossa fetta di fan del mood dell'autore, aprirsi al nuovo pubblico è fondamentale per tenersi a galla.

Inoltre, alcune scelte “ideologiche” intaccano anche il game design, cosa che si può notare con una specifica boss fight che si risolve molto velocemente. Per quanto l'espediente sia esilarante, quello che viene dopo rovina in parte l'aspettativa da parte del giocatore e conseguentemente l'esperienza di gioco, trasformando un possibile scontro al cardiopalma in qualcosa affrontato più volte ore prima.
Questi limiti comunque non intaccano la personalità del titolo e siamo sicuri che l'eventuale sequel, sarà qualcosa che andrà oltre qualunque immaginazione. Speriamo anche dal punto di vista del gameplay.
 
Gene, il nostro "maestro".

High on Life è uno shooter in prima persona, abbastanza solido a dir la verità e discretamente vario nelle sue meccaniche. Questo grazie soprattutto alle sue quattro bocche da fuoco che potremmo associare a pistola, fucile a pompa, mitragliatrice e lancia razzi a ricerca, ovviamente in versione decisamente sopra le righe. Ogni arma infatti possiede una propria personalità e innumerevoli linee di dialogo, capaci di mettere una pezza alla mancanza di voce del protagonista. Ma oltre a parlare si spara parecchio sia con fuoco primario sia con quello secondario, capace di aiutarci soprattutto in fase esplorativa degli ambienti di gioco, in cui potremmo trovare speciali forzieri e potenziamenti per le nostre armi (acquistabili anche dai mercanti). I diversi feedback restituiscono in qualche modo il fatto che ci troviamo a sparare del muco, dei cristalli o dei “mini-cosi” umanoidi in grado di attaccare i nemici senza aver bisogno di mirare, con il tutto che funziona abbastanza bene, riuscendo a tratti a sorprendere.

Manca però un reale sistema di differenziazione dei nemici, affrontabili senza alcun problema solo con un'arma e che limita quindi la varietà d'approccio alle situazioni, nonostante le armi lo permettano. Per quanto, infatti, i sistemi di sparo secondario siano molto interessanti, come la possibilità di creare bolle temporali o mettere un nemico a nostro servizio, non si sentirà mai una reale necessità di cambiare strategia, proprio perché ludicamente parlando, la struttura di gioco non lo permette o comunque non lo invoglia. Per intenderci, facendo un banale esempio, in DMC Devil May Cry alcuni nemici erano affrontabili solo e soltanto con specifiche tipologie di armi, cosa che costringeva il giocatore non solo a cambiare approccio alla battaglia ma anche a gestire i potenziamenti delle stesse. Qui manca tutto questo, con la prima arma a disposizione che semplicemente è già sufficiente per portare a termine l'intero gioco. Un vero peccato.
 
Una normale giornata in High on Life.

La varietà dei nemici poi non aiuta di certo, così come l'IA (che ormai è talmente standardizzata che diventa inutile parlarne), trasformando gli scontri, a lungo andare, in sparatorie monotone e prive di mordente. Salvo un paio di eccezioni, affronteremo infatti gli stessi nemici dall'inizio alla fine, con le stesse strategie attuate nelle prime ore di gioco. Salvano un po' la situazione i boss, abbastanza diversi tra loro ma che purtroppo non rimangono particolarmente impressi nella memoria, se non per elementi tangenti. Fortunatamente la mobilità concessa al giocatore è molto alta, tra jetpack, scivolate a là Vanquish e schivate rapide, necessarie per scampare alla pioggia di proiettili che, in alcuni frangenti, ricordano anche i Danmaku.

Sul fronte tecnico ci troviamo di fronte a un prodotto che si attesta su buoni livelli, anche se la versione testata ha fatto un po' di fatica a bordo di una RTX 3060, anche una risoluzione di 1080p. L'ottimizzazione non è di certo delle migliori e nonostante una corposa patch che ne ha migliorato di molto le prestazioni, alcuni problemi di stuttering e cali vistosi di frame rate permangono. Tuttavia, dal punto di vista meramente visivo, High on Life ha una sua netta personalità, con un design sopra le righe di personaggi e ambientazioni. Non eccelle per qualità, ma quello che manca alla tecnica viene in parte compensato dalla componente artistica, anche se la ripetitività dei modelli comincia a farsi sentire superata qualche ora di gioco.
 

 
High on Life va preso per quello che è: un videogioco partorito dalla folle mente del co-autore di Rick and Morty, folle e sregolato in tutti i suoi frangenti. Riesce a essere memorabile, con situazioni grottesche e dialoghi no-sense impossibili da dimenticare, nonostante un gameplay che fatica a regalare grosse soddisfazioni. Rimane pur sempre un'opera con un budget limitato e un primo tentativo di realizzare qualcosa di più complesso rispetto le opere precedenti. Con questi feedback, l'eventuale sequel o nuovo progetto potrebbe essere qualcosa di incredibile, in tutti i sensi.