Un lungo periodo di pace viene interrotto quando l'imperatore di Palamecia, con un esercito di mostri evocati dagli inferi, inizia la sua campagna per la conquista del mondo. Il Regno di Fynn prova a contrastare il piano dell'imperatore, ma la sua roccaforte viene sopraffatta e i ribelli rimasti si ritirano nella remota città di Altair. Quattro giovani di Fynn, Firion, Maria, Guy e Leon, rimasti orfani a causa della guerra, sono inseguiti dalle forze imperiali ma vengono tratti in salvo dal gruppo di ribellione Wild Rose guidato dalla Principessa Hilda, con l’eccezione di Leon, fratello di Maria, che rimane disperso nel caos della battaglia. Inizialmente esitante all’idea di coinvolgere giovani senza esperienza, Hilda, convinta del valore e della determinazione di Firion, Maria e Guy, li accoglie tra le fila dei ribelli.
 


Come si realizza un buon sequel? La risposta tutt’oggi non è univoca, e lo era ancor meno alla fine degli anni ‘80, quando il concetto stesso di sequel per i videogiochi per console era ancora agli albori, e non solo per quanto riguardava i giochi di ruolo. Grandi saghe videoludiche come The Legend of Zelda, Castlevania, Dragon Quest e Metroid debuttano tutte nello stesso periodo, in un incredibile 1986, ma all’epoca chiaramente non erano ancora le serie che conosciamo oggi, erano videogiochi singoli con canoni e identità ancora da plasmare e da definire, anche se già con radici ben salde. Shigeru Miyamoto, con Super Mario Bros. 2 (1986), successivamente conosciuto all’estero come The Lost Levels, realizza un sequel pensando a coloro che avevano completato il primo Super Mario Bros., ignorando totalmente i potenziali nuovi giocatori; ne esce un platform hardcore, sbilanciato e ancora oggi conosciuto per la sua estrema difficoltà, al punto che Nintendo sarà costretta a distribuire in occidente un videogioco totalmente diverso, Yume Kojo: Doki Doki Panic, sostituendo i personaggi e spacciandolo per il seguito di Super Mario Bros. È forse il primo grande fallimento del leggendario game designer giapponese, e gli altri ovviamente prenderanno appunti su come non realizzare un sequel, ma non tutte le ciambelle usciranno con il buco, è un periodo in cui effettivamente si naviga a vista.
La prima a sperimentare è Nihon Falcom con Dragon Slayer, una serie che nel 1987, nel momento in cui nasce Final Fantasy, conta già quattro capitoli, ma basta prendere Xanadu (1985) e Romancia (1986) per capire che in comune questi giochi hanno solo il nome e poco altro, mentre al contrario con Ys II: Ancient Ys Vanished (1988) si assiste al primo vero sequel diretto del genere, la seconda parte premeditata di una singola storia. Enix opterà per un approccio diverso nonché quello più ovvio, ovvero prendere la formula del primo Dragon Quest e ampliarla, in primis affiancando al singolo eroe un gruppo di compagni, caratteristica che già aveva l’originale Final Fantasy, il quale guardava più a occidente, a Dungeons & Dragons. Il passo successivo per Sakaguchi e compagni fu invece quello di dare corpo alla narrazione, donare un nome e un’identità agli eroi, cercando i primi coinvolgimenti emotivi del giocatore: con Final Fantasy II nasce il Final Fantasy story-driven.



“Vorrei che i giochi provocassero una più ampia varietà di emozioni. Piangere, ridere, perfino arrabbiarsi. Le storie che commuovono le persone sono difficili da realizzare, ma dobbiamo provarci. Ecco perché quando scrivo una storia per un gioco, la scrivo come se stessi scrivendo un film”. Kenji Terada, 1988.

Lo staff del primo gioco viene riconfermato al gran completo, una cosa che può sembrare ovvia per altre serie ma lo è meno per Final Fantasy, che invece cambierà e alternerà le sue figure chiave in maniera ciclica, nel corso della sua storia, e infatti questo Final Fantasy precede una prima scissione interna al gruppo fondatore, che andrà a formare i team delle serie SaGa (Final Fantasy Legend), capitanato da Akitoshi Kawazu, e Seiken Densetsu (Final Fantasy Adventure, poi Mana), con a capo Koichi Ishii, entrambe debuttanti sul nuovo Game Boy di Nintendo. Lo scenario writer Kenji Terada avrebbe modo, almeno sulla carta, di mettere a frutto la sua decennale esperienza nel settore dell’animazione (sceneggiatore in Space Adventure Cobra, Kimagure Orange Road, Dancouga e altri), ma ben presto deve scendere a compromessi con un impianto narrativo che, per quanto più articolato di quello del primo Final Fantasy, risulta paradossalmente più banale. Final Fantasy II mette in scena la storia di un gruppo di ribelli in lotta contro un impero del male che sta velocemente conquistando il mondo, Squaresoft non poteva scegliere un soggetto più semplice e immediato per il suo primo Final Fantasy narrativo, andando a pescare a piene mani nell’immaginario cinematografico di George Lucas (già a sua volta formato di archetipi consolidati), rendendo FF II il primo dei tre “Star Wars” della serie, insieme a IV e XII, vi è persino un personaggio chiamato Leila e un’enorme corazzata in costruzione sulla falsariga della Death Star a diradare ulteriori dubbi.
Al contrario di quanto avverrà in Final Fantasy IV, che per soggetto si può considerare la naturale evoluzione di questo secondo capitolo (così come FF III lo sarà nei confronti del primo), qui non c’è alcun conflitto interiore che riguarda i protagonisti, presentandosi come una storia fortemente manichea di bene contro il male, con l’unica eccezione del personaggio di Leon, il primo di una serie di “alleati/antagonisti” che da Cain porterà a Seifer. Ci sono anche le prime morti che riguarderanno personaggi secondari, ma Final Fantasy II in sostanza è questo, un FF di “prototipi” che difficilmente può coinvolgere il videogiocatore odierno, proprio per il suo essere antesignano di svariati paradigmi che la serie porterà avanti e in modo più rifinito, a cui va riconosciuto il merito di introdurre, oltre a mostri iconici come Behemoth, Bomb e Molboro, quelle che diventeranno le due mascotte della serie, entrambe ideate da Keichi Ishii, ovvero il pennuto Chocobo, creatura cavalcabile, e il Moguri, quest’ultimo già disegnato e previsto come mostro comune ma che debutterà in Final Fantasy III.



Final Fantasy II è tuttavia ricordato principalmente per il suo particolare sistema di progressione, che elimina totalmente i classici punti esperienza in favore di una meccanica basata sulle statistiche individuali del personaggio, quali forza, intelligenza e resistenza, che aumentano in base alle sue azioni in battaglia. Per cui, un personaggio che attacca spesso vedrà la propria forza aumentare, mentre lanciando magie bianche e nere avrà effetti migliorativi rispettivamente su spirito e intelligenza. Sulla carta è un concetto interessante, a suo modo più “realistico” del singolo fattore matematico degli EXP, sulla pratica un po’ meno e ben poco bilanciato, con alcuni giocatori che inizieranno a colpire i propri alleati per aumentare più in fretta gli HP; è un sistema che non verrà più ripreso, anche se l’idea delle due armi equipaggiabili (su mano destra e sinistra), soggette ad un rank di maestria (più un personaggio usa una determinata e più diventerà forte con essa) viene ben accolta e sarà implementata nella serie SaGa.



Alla fine Final Fantasy II perderà totalmente il confronto con il monumentale Dragon Quest III, uscito nel febbraio dello stesso anno, con il suo innovativo sistema di classi, il ciclo giorno-notte e una profondità che in questa generazione Square può solo sognarsi. Il terzo capitolo della serie, prequel dei primi due, spazza via ogni record vendendo un milione di copie al lancio e 3,8 complessivi, provocando bigiate di massa da scuola degli studenti al punto che i successivi usciranno di sabato invece che di venerdì, tradizione che perdura tutt’oggi. La saga di Enix è in questo momento storico una montagna impossibile da scalare, se con il primo FF c'era comunque la convinzione di aver fatto qualcosa di diverso e più avanzato nei confronti del primo DQ, questa volta il gap tra le due serie aumenta sotto ogni punto di vista, ma Final Fantasy II è paradigma di quella mentalità della serie di sperimentare e di mettersi costantemente in gioco. 
Kenji Terada nel 1989 pubblicherà una novel basata su Final Fantasy II intitolata Muma no Meikyū (il Labirinto dell'Incubo) con retroscena inediti dei personaggi.

Pixel Remaster

Nel 2021 Square Enix attua un processo di ricostruzione dei classici Final Fantasy servendosi del versatile motore Unity, pubblicando sei nuovi remake destinati a sostituire le mai amate le versioni mobile. Riproposto su console quasi sempre in coppia con il suo predecessore, Final Fantasy II ritorna in versione Pixel Remaster venduto singolarmente in digitale, oppure in bundle insieme ai suoi cinque successori, debuttando prima su Steam, iOS e Android per poi arrivare su PlayStation 4 e Nintendo Switch nell'aprile 2023. Sull’aspetto grafico e sull’arrangiamento sonoro vale esattamente quanto scritto nell’analisi di Final Fantasy I, mentre sul fronte della difficoltà la questione è un po’ più complessa. Il particolare sistema di progressione di questo capitolo fa sì che il gioco possa sembrare astruso per qualcuno e facilmente malleabile da chi ne conosce le meccaniche. FF II già in principio era un RPG dal bilanciamento tutt’altro che ottimale, questo anche a causa del fatto che lo staff ad un certo punto della lavorazione dovette trasferirsi in California per seguire Nasir Gebelli (a cui era scaduto il visto), sviluppando il gioco nientemeno che in un motel, condizione che andrà ad inficiare sulla fase finale di testing. Paradossalmente se FF II fosse troppo facile complicherebbe la vita al giocatore, poiché sarebbe spronato ad utilizzare meno magie e riceverebbe meno colpi dai nemici, di conseguenza, le sue statistiche non aumenterebbero come dovrebbero, rischiando di arrivare al dungeon finale pericolosamente sotto-livellato. La Pixel Remaster prova a raggirare questo problema aumentando gli HP anche in modo automatico, dopo una serie di vittorie in battaglia, anche se in modo più lento di quanto aumenterebbero subendo danni.



L’aspetto positivo è che Final Fantasy II è un RPG fortemente personalizzabile e condizionabile, qualora l’avventura dovesse diventare facile può essere il giocatore a “bilanciarlo”, provando ad esempio a cambiare equipaggiamento, oppure combattendo di meno, mentre in caso risulti frustrante allora basta focalizzarsi sul rank delle armi oppure mettere mano alle impostazioni per aumentare l’esperienza guadagnata, le variabili sono tante e il giocatore può sbizzarrirsi a “rompere” un gioco dalle idee interessanti e indiscussi meriti storici, ma mai del tutto rifinito neanche nei suoi remake.

Pixel Remaster:

Final Fantasy
Final Fantasy III
Final Fantasy IV
Final Fantasy V
Final Fantasy VI