In un alternativo 1983, l'umanità sta combattendo per la sua sopravvivenza contro una razza di demoni chiamati Kegai. L’adolescente Nini è l’unico sopravvissuto della distruzione della stazione spaziale in cui è cresciuto, in seguito a questo avvenimento il ragazzo acquisisce la "vista demoniaca", ovvero la capacità di vedere cosa pensano gli altri personaggi e come si sentono. Nini trova rifugio nella cittadina giapponese di Ashihara all’inizio di agosto, dove inizia a stringere legami con i suoi abitanti. Con l’aiuto della vista demoniaca in aggiunta alla facoltà unica di ripetere gli eventi, Nini intraprende la sua missione nel tentativo di sconfiggere i Kegai, prima che questi, impossessandosi degli umani, distruggano anche l’ultima oasi dell’umanità.



Kōkidō Gensō Gunparade March, comunemente abbreviato in Gunparade March, è un gioco di ruolo sviluppato da Alfa System e pubblicato da Sony per PlayStation nel settembre del 2000. Praticamente sconosciuto in occidente, anche fra coloro che si professano appassionati del genere, Gunparade March è in realtà uno dei JRPG più ambiziosi mai realizzati, un innovativo strategico militare misto ad un simulativo con ambientazione scolastica, che prende quelle meccaniche dating e di legami già viste in altri prodotti (Sakura Wars, Red Company, 1996, Azure Dreams, Konami, 1997), elevandole all’ennesima potenza, con decine di personaggi gestiti da una IA autonoma che ne condiziona stati d’animo e relazioni non solo con il protagonista, ma con l’intero corpo studentesco. L'impianto non lineare si ramificata nelle scelte di dialogo quanto alla situazione in essere (ad esempio in seguito alla morte di un determinato personaggio), influendo sull’intera narrazione, con una quantità di scenari possibili, di dialoghi e di intrecci folle che persino il gioco stesso, afflitto di conseguenza da vari problemi, fatica a gestire. Un gioco talmente complesso da essere definito intraducibile e infatti ancora oggi, nel 2023, non esiste una fan-translation di Gunparade March. Molti anni dopo Atlus, con Persona 3 (2006), lancia il genere degli “school-rpg” prendendo in realtà parecchi spunti da Gunparade March, che ne è invece il vero capostipite, semplificandone saggiamente le meccaniche per renderlo maggiormente appetibile ai più; in compenso il videogioco di Alfa System genera manga, romanzi, due serie animate e il sequel Gunparade Orchestra per PS2, oltre ad avere connessioni con l’apprezzata serie sparatutto Shikigami no Shiro del medesimo sviluppatore.



Designer di Gunparade March e di altri prodotti Alfa System (Elemental Gearbolt e il già citato Castle of Shikigami), nonché del disturbante Linda³, fu un tale Yūri Shibamura, che ritorna dopo molti anni su un progetto tutto suo, realizzato da SIEG Games, compagnia fondata nel 2014 da Yoichi Miyaji, uno dei fondatori della gloriosa Game Arts, con l’ausilio dell’animatore Shingo Adachi, del character design di En Morikura (Kizuna Ai) e delle musiche di Noriyuki Iwadare. Con queste premesse cosa può andare storto? Più o meno tutto, in realtà, a giudicare dall’accoglienza che Loop8: Summer of Gods ha ricevuto dalla critica internazionale. Nel momento in cui scrivo il gioco è stato demolito sia nelle testate generaliste, e ci può stare, ma anche da alcuni siti tendenzialmente più specializzati, da cui ti aspetteresti analisi più approfondite, il che fa suonare sicuramente qualche campanello di allarme in più.



“Combatteresti contro qualcuno che è stato tuo amico fino a ieri? Un tema di questo gioco è che il Giappone ama approfondire gli affari dei suoi nemici". Yūri Shibamura

Loop8 ha una premessa affascinante, a partire dalla sua ambientazione, una cittadina costiera giapponese dei primi anni ‘80. Niente cellulari e chat di gruppo quindi, l’intento di dare allo scenario un'atmosfera nostalgica, in maniera non dissimile al classico per PlayStation Boku no Natsuyasumi (2000), è voluto e palese. Tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘80, poco prima del secondo boom edilizio e l’entrata in vigore di più stringenti regolamentazioni antisismiche, nelle città di provincia giapponesi vi era ancora un grande numero di edifici post-bellici: le scale in legno nelle scuole, i negozi tradizionali, le case a strapiombo sulle colline, per i creatori di Loop8, cresciuti in quel preciso periodo, non deve essere stato difficile trasporre, quelli che sono i loro ricordi, nella cittadina fittizia di Ashihara. Loop8 da vedere è quasi impeccabile, con questi fondali sembra effettivamente di muoversi all’interno di un film come Umi ga Kikoeru (Tomomi Mochisuki, 1993), al netto delle animazioni dei protagonisti un po’, diciamo così, “ingessate” verso cui, comunque, ci si fa l’abitudine, per forza di cose vista la natura del gioco. Loop8: Summer of Gods infatti, come si evince dal nome, sfrutta la meccanica del loop temporale, ma è qui che l’opera di SIEG Games crolla sotto le sue stesse ambizioni, avendo fatto il proverbiale passo più lungo della gamba. Se nel 2000 Gunparade March, prodotto da Sony, poteva permettersi determinati obiettivi strutturali, oggi, con uno studio che ha all’attivo un gioco mobile e (con tutto il rispetto) Marvelous come publisher, un gioco come Loop8: Summer of Gods, che si prefigge lo scopo di creare un ampio cast di personaggi, che si muovono autonomamente in tempo reale sulla mappa, con gestione dei rapporti tra gli stessi per simularne il quotidiano, insomma un progetto un po’ Shenmue, un po’ dating sim, un po’ gioco di ruolo, è facile che vada a sbattere.



Nel 1967 viene pubblicato il romanzo Toki o Kakeru Shōjo, “La Ragazza che Saltava nel Tempo”, scritto da Yasutaka Tsutsui e diventato un vero e proprio cult della letteratura per ragazzi, essendo stato trasposto più volte al cinema, con il film campione d'incassi del 1983, nell’animazione (da Mamoru Hosoda), oltre a drama e manga. Dai salti temporali di Kazuko Yoshiyama, allegoria della sua paura di passare all’età adulta, altre opere si sono susseguite trattando il medesimo argomento, spesso con ambientazione scolastica e, altrettanto comune in quello che possiamo considerare un topos, collocate in estate. Higurashi no Naku Koro ni (“Quando le cicale piangono”), l’ultimo arco del manga Kami nomi zo shiru sekai (The World God Only Knows), e la serie multimediale Suzumiya Haruhi no Yūutsu, con il suo celeberrimo arco Endless Eight, fino al più recente Summer Time Rendering, sono tutti ottimi esempi in tal senso, mentre in YU-NO: A Girl Who Chants Love at the Bound of this World (elf, 1996), influente visual novel di Hiroyuki Kanno, viaggi nel tempo e linee temporali divengono per la prima volta meccaniche di gioco da gestire.
L’otto senza fine di Haruhi Suzumiya è l’ottavo mese, agosto per l’appunto, ed è lo stesso di Loop8, anch’esso ambientato nel più estivo dei mesi estivi. Al contrario dei nostri studenti italiani, che si fanno i loro bei tre mesi di vacanza, la scuola giapponese si protrae fino a fine luglio, rimanendo inoltre aperta per eventuali corsi estivi; per gli studenti giapponesi, di conseguenza, il mese di agosto assume un significato particolare, di mese da vivere appieno, di “ultima occasione prima di...”, ciò è enfatizzato in special modo nelle commedie sentimentali e nei dating sim. Tutto questo per dire che Loop8: Summer of Gods parte da una base davvero interessante, per chi è affezionato a questo tipo di narrazioni, ed è per questo che è abbastanza doloroso constatare il fallimento concettuale di quest’opera, se avesse avuto una maggior accortezza dei suoi mezzi e delle sue ambizioni, ne sarebbe potuto uscire non solo una storia ma anche un videogioco migliore.



La struttura di Loop8 è presto spiegata: hai circa cinque giorni per sconfiggere un Kegai, un demone che ad un certo punto supera la barriera impossessandosi di uno degli abitanti di Ashihara. In questi giorni che rimangono alla “fine del mondo” Nini dovrà fare amicizia con loro, potenziarsi sia fisicamente che spiritualmente, per poi entrare nell’Underworld e battere il boss prima della scadenza. Nel corso di una giornata Nini può fare varie cose, andare alle lezioni la mattina, parlare con gli abitanti per rafforzare il legame con loro, allenarsi nel cortile della scuola o sulla spiaggia, e infine ricevere la benedizione degli dèi in determinati luoghi di Ashihara. Cinque giorni potrebbero però non essere sufficienti per diventare abbastanza forti e sconfiggere il boss, ed è qui che entra in scena la meccanica del loop, parlando con un determinato personaggio Nini può tornare indietro fino al primo giorno e ricominciare d’accapo, le statistiche emozionali (amicizia, affetto e odio) tornano al punto di partenza, ma nel loop queste risalgono più velocemente, in questo modo il giocatore può pianificare il tempo rimasto, che è sostanzialmente infinito, per arrivare preparato al boss, sconfitto il quale la storia procede al ciclo di cinque giorni successivi, per un totale di sei nel corso del mese di agosto. Va sottolineato infine che l'ordine dei boss stessi non è fisso ma può variare. Sulla carta il concetto è interessante, ma nella pratica Loop8 fa una fatica enorme a calare il giocatore in questo meccanismo, senza che si vengano a creare forzature, dialoghi sconnessi fra loro e sviluppi incomprensibili tra i personaggi. Proprio come avveniva in Gunparade March, infatti, le statistiche sociali non riguardano soltanto il protagonista, ma tutti i personaggi, i quali passeranno quelle che potrebbero essere le loro ultime giornate sulla Terra a deambulare per le strade di Ashihara senza far nulla. Andando a vedere nell’apposita voce del menu le loro relazioni, scopriremo che alcuni di loro si odiano, e non si sa per quale motivo! Se con Konoha, la lontana parente che ti ospita a casa sua, è abbastanza facile intuire un percorso sentimentale, con gli altri non sai effettivamente come approcciarti, salvo lasciare tutto al caso e al tuo Demon Sight; parli con loro, provi ad essere gentile, oppure evita se non sono dell'umore giusto, vedi che ogni tanto sono loro a prendere l’iniziativa, ma i dialoghi davvero importanti sono pochi e di conseguenza l’approfondimento psicologico dei personaggi stenta a decollare, tutto rimane terribilmente abbozzato, meccanico, ed è un vero peccato perché tutto il gioco dovrebbe, in teoria, basarsi sull’empatia, sul capire il prossimo.



Il sistema di battaglia di Loop8 non funziona come in un normale RPG, con attacchi fisici e magici, ma si basa sulle emozioni, amicizia, affetto e odio, e in base a queste statistiche gli attacchi o le abilità di supporto sono più o meno efficaci. Beni, la messaggera degli dèi, e un po’ Ichika, sono le uniche a spiegare alcuni aspetti della tua missione, ma per il resto devi andare ad intuizione, scegliendo i compagni tendenzialmente in base al rapporto che hanno non solo con Nini, ma anche con la vittima impossessata dal Kegai. Rispetto ad altri colleghi, che hanno giudicato questo gioco forse con una certa fretta bollandolo come un clone mal riuscito di Persona, ho voluto prendermi un tempo maggiore proprio per capirne a fondo la struttura e i meccanismi, ma dopo decine di ore alcune cose risultano ancora incomprensibili, del tipo c’è questa timida ragazza, Micchi, che ha destato fin da subito il mio interesse e ho provato a maxare dal punto di vista sentimentale, salvo poi ricevere il suo affetto con una coltellata. Motivo? Boh, è matta, vi sono dei criteri che innescano la sua pazzia, come l’umore e il luogo, ma vallo a capire, ricominciamo, forse la prossima volta andrà meglio.

Gli abitanti di Ashihara hanno dei traumi e di questi si nutrono i Kegai, la condizione della piccola Takako, che ha una visione distorta dell’amicizia, che ti chiama fratellone, che odiano tutti non si sa perché, ti mette un magone assurdo nel momento in cui non riesci proprio a salvarla, al che ad un certo punto mi sono chiesto: Yūri Shibamura, cosa ho fatto per meritare un gioco dall’aspetto così confortevole, ma al contempo così deprimente? Se è pur vero che non ho mai considerato il “divertimento” come un fattore determinante per il giudizio di un gioco, poiché soggettivo, sfido davvero chiunque a considerare Loop8 un gioco divertente, anzi, giocarlo può provocare sofferenza e a poco servono le belle note di Noriyuki Iwadare. Forse la cosa più interessante è condividere con altri la propria esperienza di gioco, così da alleviare parte del supplizio di questi loop, di questi dialoghi sconnessi tra loro, di queste povere vittime che muoiono e il giorno dopo nessuno ne parla. Certamente è stata un'esperienza diversa dal solito e di queste glie ne do atto, forse per questo motivo non riesco a stroncarlo del tutto; Loop8 è talmente storto, talmente fuori dal tempo, dal mercato, da qualsiasi logica commerciale, da fare il giro e risultare affascinante, quando mai capiterà più di esaminare un gioco così? Se SIEG Games voleva provare a farci mettere nei panni di Yuki Nagato, che nel corso della Endless Eight rivive le stesse due settimane di agosto per oltre quindicimila volte, senza dimenticare un singolo particolare, dannazione se ci sono riusciti


 
Loop8: Summer of Gods di per sé avrebbe potuto offrire spunti interessanti, nel suo voler fotografare un Giappone, e un modo di fare videogioco, che non c’è più, se solo il team di sviluppo non si fosse ingarbugliato in un impianto terribilmente schematico e allo stesso tempo sovraccarico di aspetti poco chiari, al netto dei mezzi disponibili. La meccanica della ripetizione schiaccia letteralmente la narrazione e impedisce ai personaggi, così come al suo nostalgico scenario, diviso tra folklore e sci-fi, di ritagliarsi quella personalità che avrebbero meritato.