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9.0/10
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"Noi samurai – dice Kambei – siamo come il vento che passa veloce sulla terra, ma la terra rimane e appartiene ai contadini. Anche questa volta siamo stati noi i vinti; i veri vincitori sono loro."

Il vento infatti serve a spazzare la terra, liberarla da tutti gli impedimenti che ne ingombrano lo spazio.
Il vento però, per quanto impetuoso e memorabile, è momentaneo.
Il vento non dà la vita, ma la spazza via.
Ripulita la terra e fatto ordine, il vento non ha più motivo di esistere, la terra diventa quindi protagonista, perchè darà i suoi frutti. Sono proprio i contadini a rappresentare la terra.
L’origine dei popoli umani, che da nomadi cacciatori si trasformarono in stabili coltivatori, è proprio da imputare al ruolo cardine dei contadini. Figure queste ultime da sempre dismesse ma fondamentali per la vita.
Kambei, che rappresenta il concetto di samurai incarnato, è consapevole del ruolo precario del samurai, che sebbene sia figura mitica, ha un senso solo nel momento della guerra. Se non c’è motivo di combattere allora il samurai perde significato, da figura mitica si trasforma in una macchietta di se stesso che vaga senza meta.
La gente intorno sembra quasi scordarsi dei samurai; dimentica delle loro imprese, pensa alla pace e mantiene nel petto la forte volontà di non rivederli più, perché questo significherebbe pace e prosperità. I samurai si trovano quindi dispersi, senza un significato.

I samurai da sempre appaiono avvolti in un’aura speciale che li pone a metà strada tra l’umano e il sovrannaturale. La figura del samurai non nasce di punto in bianco ma è frutto di anni di evoluzione e approfondimento delle tecniche di combattimento. Migliaia di scontri e litri di sangue versato ne hanno temprato l’immagine cosi come noi la conosciamo. Infinite volte il samurai è stato scaldato al fuoco del pericolo ed infinite volte venne modellato dal martello della disciplina.
La storia del Giappone, più di tanti altri stati, è stata infatti caratterizzata da violenti scontri,ed è soprattutto l’epoca Sengoku la più tremenda, che ha visto il susseguirsi di 200 anni di guerre civili. In questi anni il samurai ha vissuto la sua massima importanza. Quella era un’epoca dove i combattimenti erano ravvicinati, non c’erano le armi da fuoco che consentivano di attaccare da lontano, in questo caso il valore dell’uomo combattente era determinante.
La pace però inesorabilmente o fortunatamente, a seconda dei punti di vista, arrivò e la figura del guerriero logicamente iniziò a perdere lucentezza e importanza. Ed è qui che inizia Samurai 7.

Si tratta di una rivisitazione del famosissimo ed affermato film di Akira Kurosawa “I 7 Samurai” a sua volta ispiratore di molti altri film anche occidentali. Quando si ha a che fare con un’opera maestosa e famosa e la si vuole in qualche modo rieditare si hanno 2 alternative disponibili: ripercorrerla fedelmente, una scelta meno rischiosa ma non meno pericolosa perché i confronti diventano più immediati, oppure ripercorrerla in maniera innovativa, scelta molto rischiosa ma senza dubbio apprezzabile per il coraggio. In questo caso ci si trova a confronto con la seconda delle ipotesi.

L’elemento di differenziazione più rilevante tra le due opere è la più accurata collocazione storica di Samurai 7. Si tratta di una collocazione ovviamente metaforica dato la presenza di elementi fantascientifici, tuttavia vi sono vicende che ci permettono di inquadrare perfettamente in quale contesto avviene la vicenda ovvero l'epoca Tokugawa
Si mostra all’inizio una grande guerra che coinvolse tutti i samurai, ovviamente ogni riferimento riguarda proprio il periodo Sengoku delle guerre civili e successivamente l’inizio dell’era Tokugawa, un periodo caratterizzato da due secoli e mezzo di pace interna. Questa collocazione la si percepisce poco nel film originale mentre è lapalissiana nell’anime.
L’epoca Tokugawa è caratterizzata da un forte centralizzazione a livello organizzativo e da rigide distinzioni di classe. Gli individui nati in una classe non potevano assolutamente passare in un’altra ma solamente cercare di migliorare la propria posizione all’interno della casta originaria. La popolazione venne infatti suddivisa in quattro categorie: i samurai, i contadini, gli artigiani e i mercanti. Nello scalino più infimo vi erano invece un gruppo considerato alla stregua di bestie ovvero gli Eta, si trattava di persone ritenute impure per i delitti che avevano commesso o per il loro mestiere tra cui: mendicanti, prostitute, macellai e conciatori.

La collocazione pseudo-storica e la susseguente distinzione di classe è fondamentale poiché per comprendere l’anime è necessario comprendere il ruolo che a livello sociale avevano le caste dei samurai, dei mercanti e dei contadini.
Per quanto riguarda i samurai, che costituivano il 5-10% della popolazione, il nuovo corso avrà un effetto paradossale; da un lato sancirà la loro definitiva collocazione a elitè di governo, dall’altro a causa della pacificazione interna ne metterà a repentaglio l’identità guerriera e la loro stessa funzione sociale. L’incubo è soprattutto quello di perdere la propria ratio. Bisogna infatti ricordare che la figura del samurai rimane al centro della storia giapponese per quasi sette secoli. Il senso di inquietudine nei guerrieri in periodo di pace è forte in molte opere giapponesi, si pensi allo stesso Gundam dove i piloti soffrono molto il peso del destino da guerrieri.
Al contrario delle apparenze l’anime garantisce una visione molto più storica che fantascientifica, e il senso di inquietudine dei samurai è molto presente. Il samurai durante il periodo di pace doveva imparare paradossalmente a sopravvivere. Mantenere la propria identità fu molte volte troppo complesso e i samurai si trovarono con destini diversi. I più fortunati impararono l’arte della politica; erano sì i più fortunati ma anche coloro disposti a scendere a compromessi con i valori del bushido. La maggior parte si ritrovò a vagare senza una meta; Kambei è infatti l’incarnazione del samurai che non ha più una ragione di vita. Altri samurai cercarono di sfruttare le proprie caratteristiche per diventare giocolieri, come Gorobei, altri si abbandonarono ai piaceri delle donne e della dissolutezza, come Shichiroji nella sua casa di piacere.
Altri samurai diventarono invece banditi perdendo definitivamente il loro onore. Ed è qui che viene introdotto il concetto di robot. In questo universo fantascentificamente reale, Gonzo ha il coraggio di innovare profondamente introducendo una figura completamente opposta ad una visione storica. La figura del robot però se apparentemente può stupire, vista più profondamente ha un ruolo chiave. "Robot" in Samurai 7 significa “negazione di sé” e cosi i Nobuseri sono samurai robot cioè non più samurai, e Kikuchiyo è un contadino-samurai-robot ovvero non più contadino, ma nemmeno completamente samurai.

Ed è cosi che i 7 samurai si trovano ad acquisire una nuova ragione di vita nel momento in cui un gruppo di contadini gli chiede aiuto contro i Nobuseri. Si tratta di un’importante rivoluzione sociale, non sono più le classi dei nobili a dare ordini ai samurai ma sono invece i contadini. Da gradino sociale inferiore si trovano improvvisamente ad avere un nuovo ruolo.
Si tratta però di un passaggio sociale drammatico che traspare violentemente dai visi dei contadini. Cosi come nel film originario ogni loro espressione facciale era fortemente significativa, cosi nel prodotto animato la rappresentazione della paura è fatta netta nei visi terrorizzati e più volte titubanti di poveri lavoratori costretti in un mondo diverso dal loro.

La fase della difesa del villaggio è molto bella e coinvolgente e segue fedelmente i passaggi del film. Un esempio su tutti riguarda il giovane Katsushiro, nel film diviene uomo poiché perderà la sua verginità con una contadina; nell’anime diviene uomo perché a causa di quella stessa contadina è costretto ad uccidere per la prima volta.
Vi sono altri episodi resi in animazione stupendamente, si pensi alla confessione di Kikuchiyo, senza dubbio il momento più toccante del film. Nell’anime è reso con lo stesso phatos. Bisogna sottolineare che l’attore interprete di Kikuchiyo, Toshirō Mifune, è uno dei più importanti in Giappone e la sua interprestazione nel film è superba, i suoi scatti e la sua genuinità rendono perfettamente l’idea di un contadino che si atteggia a samurai. Sono questi stessi aspetti perfettamente trasposti nell’anime, il fatto che Kikuchiyo sia un robot non mina assolutamente la sua personalità ricca e passionale, e non mina il valore emozionale del suo monologo che è trasposto perfettamente. Come detto l’essere robot sta solo a sottolineare la natura spuria del contadino-samurai, e la caratterizzazione in anime è fedelissima.
Tra gli altri episodi presi fedelmente si può citare la missione di Kyuzo al recupero del fucile dai nobuseri, il falso “curriculum” di Kikuchiyo e tanto altro.

Finita la prima parte della serie, intorno all’episodio 14, si passa ad una innovazione nella trama. Innovazione fino ad un certo punto visto che viene ripreso un episodio del film; il rapimento da parte dei nobuseri della moglie di Rikichi. In questo caso il rapimento è utilizzato per espandere la trama. Che sia stato fatto per necessità commerciali, raggiungere i 26 episodi standard, o meno anche la seconda parte non manca di significatività.
Innanzitutto come nel film appare chiaro il senso di disturbo della moglie di Rikichi nelle essere stata “disonorata” da altri e la vergogna di tornare dal marito, nel film questo episodio la porterà addirittura al suicidio. Ciò che conta nella seconda parte è però l’allargamento del conflitto sociale. Se nella prima parte riguarda samurai e contadini, nella seconda sono i mercanti ad acquisire un ruolo chiave.
Da un punto di vista sociale è stata proprio l’epoca Tokugawa a fornire il trampolino di lancio per la loro affermazione. Erano prevalentemente i chomin, la nuova classe emergente di mercanti, che, sebbene ai gradi inferiori della piramide sociale, erano gli unici a trarre beneficio dall’introduzione della moneta, disprezzata dai principi etici della società giapponese. Nobili e signori, infatti, non potevano praticare attività commerciali, mentre i chomin si arricchivano sempre di più, non trovando tuttavia possibilità di investire i guadagni, poiché a loro era rigidamente proibita ogni tipo di proprietà.
Fu così che la liquidità senza sbocchi favorì il diffondersi di uno stile di vita bohemien, basato su uno sfrenato edonismo, la cosiddetta “follia ukyo-e”, che cominciava al calare del sole nel quartiere di Yoshiwara, da dove si usciva solo il mattino dopo, dopo aver mangiato, bevuto, assistito a musiche e spettacoli ed essere stati intrattenuti dalle splendide cortigiane che vi abitavano.
La figura che incarna il mondo dei mercanti è proprio, il nome è emblematico, Ukyo.

Attenzione: la seguente parte contiene spoiler

Il giovane e ambizioso ragazzo da mercante sale rocambolescamente al potere, più precisamente sul trono dell’imperatore. Questo passaggio è forse il più criticabile dell’opera infatti risulta poco credibile, metaforicamente però può rappresentare la repentina e inesorabile importanza che i mercanti acquisirono improvvisamente in Giappone.

Nella seconda parte vi è dunque la presenza di una figura a cui opporsi, una soggetto che manca molto nella prima; insomma il classico nemico. Si comprende fin troppo facilmente che i Nobuseri più che un nemico reale erano semplicemente un preteso per mostrare il vero conflitto, quello interiore della classe dei contadini.

Il conflitto dei samurai con Ukyo, o meglio con l’Ukyo (letteralmente “mondo fluttuante”, non a caso la capitale è un’astronave fluttuante in area), è però molto complesso. Non si troveranno ad affrontare un nemico come tanti per il quale la forza è l’unico elemento necessario per vincere. I mercanti utilizzano altre armi più pericolose: la moneta, l’inganno e l’astuzia. Si tratta di armi contro cui un samurai non può nulla perché contrarie alle virtù del bushido; codice di comportamento cardine per ogni guerriero giapponese.
Il conflitto sociale è reso ulteriormente drammatico da questa opposizione che riguarda due classi sociali completamente opposte per valori e comportamento.

La serie si concluderà ancora in una lotta per difendere il villaggio, anche se il conflitto si è esteso. Il finale che prevede la vittoria dei samurai è fortemente morale nonché moralizzante. Non serve solo per dare l’happy ending ma soprattutto per ribadire almeno a livello storico l’importanza dei samurai e la necessità di conservarne i valori. Emblematica da questa punto di vista è la morte del samurai per eccellenza Kyuzo, il quale perisce incidentalmente per mano di Katsushiro che stupidamente si torva ad impugnare un’arma da fuoco. L’arma da fuoco ha sempre rappresentato infatti l’antitesi della katana, o meglio l’antitesi dei valori guerrieri dei samurai che onorevolmente si affrontavano uno contro uno rischiando la vita e l’onore. Sparare da lontano è un atto vigliacco che ha introdotto la guerra fatta di pedine più che di persone. Si dice infatti che l’esercito giapponese preso singolarmente vantava dei più straordinari guerrieri del mondo, quello che gli è sempre mancato sono stati i grandi generali. Il giovane samurai che impugna la pistola è un segno negativo dei tempi che cambiano inesorabilmente.
Ma si può realmente dire che il finale è positivo per i samurai? La risposta è ovviamente No. La frase citata inizialmente è emblematica, finita la guerra il samurai si trova di nuovo a perdere la sua identità. I contadini rinascono perché vivono di pace, cosi come i mercati, i samurai non hanno più senso.
Forte è la sensazione che traspare da Kambei, quasi affranto per essere sopravvissuto, la sua è una prigionia che non accenna a finire. Si trova prigioniero di un’epoca che lo rifiuta, ma incapace di garantirgli una morte onorevole (sperava nella morte per mano del samurai per eccellenza Kyuzo purtroppo impossibile).

Fine parte contenente spoiler

Dal punto di vista tecnico vorrei approfondire il doppiaggio. Ci troviamo dinnanzi ad un lavoro eccellente. Ivo De Palma alla direzione è straordinario per la scelta delle voci dei protagonisti e per la direzione fantastica delle loro interpretazioni; la sua in particolar modo stupenda per profondità e rispetto che riesce ad incutere tramite Kambei. Ma anche l’adattamento mi ha colpito. Chi vedrà il film noterà parecchie frasi riprese letteralmente dai dialoghi italiani, un bell’omaggio e soprattutto un ottimo sintomo di professionalità.

In conclusione Samurai 7 è un’opera veramente ben fatta, quasi eccellente. È riuscita in un impresa quasi impossibile: migliorare un capolavoro del cinema storico introducendo nuovi elementi e migliorandone alcune carenze, come l’inquadramento storico e la caratterizzazione dei personaggi.
La possibilità di comprendere appieno l’opera dipende però dal suo fruitore, ci si può apparentemente fermare al solo anime, oppure si può cercare di interpretare i vari significati nascosti e soprattutto il dramma del cambiamento sociale di samurai, contadini e mercanti. Kambei infatti diventa portatore di questo pesante fardello, e la sua frase è emblematica:

"Ho perso tutte le battaglie in cui mi sono trovato... Ci hanno sempre ripetuto: "Allenatevi, distinguetevi, diventate dei signori della guerra!" Consumiamo l'esistenza in questa vana ricerca, giunge la vecchiaia e ci troviamo con un pugno di mosche in mano..."