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Al cuor non si comanda, si dice. E pare proprio che i fiumi di lacrime che irrorano questo anime vogliano confermare questa tesi. Kimkiss Pure Rouge è un’anime atipico, che sbandiera stereotipi e sentimentalismi commerciali per poi addentrarsi in introspezioni piuttosto profonde, anche toccanti. Di certo l’opera non è delle migliori di questo periodo, tuttavia merita un’analisi dettagliata che permetta di sottolineare luci ed ombre di un prodotto che poteva certo emergere con più enfasi e che invece resta nel corollario di un palinsesto dedicato a cuori giovani e sognatori.
Michihiro Tsuchiya è uno sceneggiatore avvezzo ai format sportivi. Già scripter per Cross Game (di Adachi) e dell’ormai famosissimo Major, dove lavora con Kenichi Kasai in regia, riproposto anche qua nello stesso ruolo. Un duo di sportivi quindi, che prende le redini di un’anime delicato, dai toni fragili e dalla trama non troppo corposa, spalmata a dovere su palinsesto semestrale.
Mao è una studentessa Giapponese che vive in Francia e torna in patria per seguire l’ultimo anno di liceo. Si trasferisce a casa di Koichi, suo amico d’infanzia, più giovane di lei di un anno, trovandolo innamorato cotto di una compagna di classe, Yuumi Hoshino. Attorno al duo gravita un intero sistema di personaggi satellite più o meno salienti e caratterizzati, primo fra tutti l’eterno amico del del duo: Kazuki Ahiara. Se l’intreccio narrativo nel triangolo Mao-Koichi-Yuumi è piuttosto fiacco, forse a causa dell’estrema imperizia con cui la psicologia del protagonista viene snocciolata, assai più intrigante ed avvincente è la storia d’amore di Ahiaira con la glaciale e introversa Eriko Futami. Delicata, appassionante ed in certi punti davvero toccante, la sottotrama secondaria tocca picchi e livelli che il decorso narrativo principale neppure riesce a vedere. C’è da chiedersi il perché di tutto questo. Non sarebbe stato molto più semplice intrecciare sentimentalismi e appassionare direttamente con i protagonisti? A quanto pare no, così mentre i sentimenti di Koichi e Yuumi restano quasi imbalsamati (ma non quelli di Mao), Ahiara tiene banco per molte puntate, riuscendo ad appassionare lo spettatore fino all’ultima. Misteri della sceneggiatura orientale.
Il disegno è ben confezionato, allineato con le esigenze stilistiche del momento. Buono il Chara Design, dal punto di vista artistico. Sfumati e bruttini gli sfondi, un po’ troppo approssimati. Scarsina la luce, troppe lacrime (l’unica cosa che brilla). Key animation mediocre, con grande abbondanza di camera in scorrimento sul frame fisso. Tante scene statiche in cui l’unico elemento a muoversi è la bocca di turno, troppo statiche, da far tornare in mente i grandi shojo romantici degli anni ‘70. Colonna sonora intrigante, liscia, che non si fa quasi notare e che non copre nulla. Opening ed ending decisamente mediocri.
In sostanza un prodotto che si lascia guardare con piacere, senza appassionare troppo e senza stupire ma senza mai scadere nel ridicolo o nel pomposo. Niente valzerini, niente scene catto-saffiche, niente sparate alla giapponese insomma, anche se la villa stile impero della solita riccona di turno poteva davvero essere evitata. Un anime da gustare senza fare indigestione, che richiama alla mente sentimenti sopiti e che in alcuni punti risulta anche davvero gradevole. Otto.