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Anni '60, 1968 per la precisione: in Giappone nasce lo shoujo, o se non nasce si rinnova e comincia la sua scalata al successo proprio con questa serie.

Esiste una tradizione americana basata sul concetto del "basta volerlo". Basta volerlo veramente e tutto si avvera. Pratico. Facile. Falso. Orribile... Non basta volere qualcosa per ottenerlo, questa è solo pubblicità spicciola. E a Mimì non basta volerlo. Anche se è il suo desiderio più grande al mondo, l'unico luogo dove lei trova la sua realizzazione personale. Dove esiste un'unica strada: allenarsi. Allenarsi colpite dalle impietose e crudeli pallonate lanciate dall'allenatore, in pieno volto e in pieno stomaco, a sputare sangue e saliva sotto gli allenamenti. Non basta qualche sciocchezza spicciola e non basta volerlo.
Lo vuoi veramente? Dimostralo combattendo fino a crollare, non c'è riconoscimento dal cielo, c'è solo sofferenza e dolore in vista del traguardo finale, lottando duramente fino a crollare sul campo e rialzarsi dolorante per continuare a lottare. Una lotta di Mimì su tutti i fronti, sia per guadagnare la vittoria sia per guadagnare il rispetto delle sue compagne, in un ambiente a volte totalmente degenere e di completo nonnismo in cui la miglior possibilità per togliersela dai piedi sarà umiliarla o cercare di mandarla all'ospedale. E il vero allenatore non sarà una stampella o una bàlia, ma sarà colui che veramente ti insegnerà a rialzarti con le tue braccia nonostante le ferite e a combattere. Anche in modo crudele, anche in modo quasi sadico visti gli allenamenti a cui sottopone le sue ragazze.

Detto questo purtroppo nella versione italiana di prima trasmissione molto si perse, visto che alle bambine non era adatto far vedere la lotta di Mimì contro le sofferenze, meglio far credere a tutte che vivesse come Barbie, che è molto più educativo... E così le pallonate in pieno ventre furono tolte, ma fortunatamente reinserite nella versione Yamato Video trasmessa su Rai Gulp.

Patriottico, chiederete? Sì, decisamente, in un momento in cui il Giappone ne aveva forte bisogno, e pregno di una forte retorica sul dolore dello sport ma anche sulle sue soddisfazioni. E non sarà raro vedere Mimì abbracciare e stringere la mano alle rivali dopo le partite più dure, visto che anche le sue rivali e compagne saranno dotate di un duro passato.
Insensato? A volte, dal momento che le tecniche per vari motivi diventeranno sempre più improbabili (quando si parlerà di punti ciechi e simili) e le acrobazie sempre più folli, come tipico di molte serie di combattimento.

A livello di animazione, se confrontato con i tempi nostri, purtroppo arrivano le note dolenti. I personaggi hanno sì e no due espressioni in tutta la serie, metà delle scene sono ripetute svariate volte nella stessa partita e quindi questo rende l'anime poco adatto specialmente a un pubblico giovane, incapace di vedere con tenerezza lo stile dei grandi anime degli anni che furono, e uno stile dei tempi andati non raro per l'epoca, adeguato per chi riesce a vedere tutto questo come uno stimolo per sognare e per colmare le mancanze, ma che purtroppo non conquista sguardi più freddi e collegati a quest'animazione.
E in ogni caso non importa quante scene siano ripetute, e quante poche espressioni abbiano le protagoniste, se il ritmo della storia riesce a supplire eccelsamente a tutte le mancanze. E se vi sembra tutto già visto, non è perché Mimì abbia copiato qualcosa, è solo perché quest'anime ha avuto un'ampia quantità di figli che lo hanno fortemente ripreso sotto svariati aspetti. Sarebbe un po' come leggere l'Odissea e dire che è scopiazzata dall'Eneide.

In definitiva "Mimì e la nazionale di pallavolo" è un anime dal grande valore storico, che fu capace di mutare il suo genere ed è capace di alimentare la tensione che contiene scena per scena, anche supplendo a quelli che a noi sembrano i difetti dell'animazione - che in realtà altro non sono che l'espressione di uno stile che è andato migliorandosi. Una storia sullo struggimento e sul dolore capace di coinvolgere chiunque non sia troppo freddo nei confronti della protagonista: non ci sono altre scelte, commuoversi di fronte alla sua guerra personale in campo e fuori da esso oppure spegnere la televisione e credere di essere superiori a lei, girandosi magari verso l'America delle grandi illusioni dove non serve dolore e fatica, ma basta volere veramente con un po' di fortuna per diventare l'attaccante numero uno al mondo.