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<i>“Dicono che l’amore sia un fiume che trascina le tenere canne.
Dicono che l’amore sia una lama che taglia l’anima in pezzi.
Dicono che l’amore sia fame, un doloroso bisogno senza fine.
Io dico che l’amore è un fiore e che tu sei il seme”</i>


Lungometraggio prodotto dallo <b>Studio Ghibli</b> e da <i>Hayao Miyazaki</i>, <b>“Omohide Poro Poro”</b> (lett. Pioggia di ricordi, Ricordi goccia a goccia) è un’opera diretta dal regista <i>Isao Takahata</i>.

Datato 1991, ed ancora inedito in Italia, il film prende spunto dall’omonimo manga della coppia <i>Okamoto-Tone</i> (anch’esso inedito). Di grande ispirazione per Takahata, questa poco conosciuta opera cartacea ha generato l’idea di un riadattamento animato che, pur non stravolgendo la trama di base, ne amplia il raggio conferendo alla storia intera una componente onirica di centrale rilevanza.
Il titolo di quest’opera è oggetto di svariate traduzioni, più o meno corrette, io personalmente lo traduco italianizzandolo “Gocce di memoria” (anche per via di una celebre canzone di Giorgia), ma il giorno in cui questo film arriverà nello stivale, ne sapremo di più. In ogni caso, la traduzione ufficiale internazionale è <b>“Only Yesterday”</b> (volendo, in Italia abbiamo una canzone anche su questo titolo).

<b>Gocce di memoria</b>, narra le vicende di una ragazza, di nome <i>Taeko</i> che decide di prendersi una pausa dal lavoro e dalla vita di città, trasferendosi per un po’ in campagna, nei luoghi della sua infanzia. Il passaggio da Tokyo a Yamagata è così netto che la protagonista inizia a ricordare con estrema precisione tutti gli eventi della sua vita da ragazzina, ai tempi in cui frequentava la quinta elementare.
Da questo momento in poi, il passato ed il presente diventano due treni che viaggiano su binari paralleli, allo spettatore non resta che scoprire se mai si incontreranno. I flashback di Taeko ci catapultano nel Giappone degli anni ’60, dove l’influenza dell’Occidente è ai primordi, ed il valore della famiglia (decisamente patriarcale) e dell’onore, sono quanto mai tangibili. La Taeko del presente, invece, vive negli anni ’80, lavora in un’azienda in cui computer, calcolatori, fax e telefoni fungono da immagine alla colonna sonora urbana, rappresentata dal rumore del traffico, dalle voci della gente, dalla frenesia di una metropoli che ha da tempo messo via la semplicità della vita.
Perdendoci nei ricordi di Taeko, cullati da sentimentali melodie, ben presto scopriamo dell’infanzia della protagonista. Taeko è l’ultima di tre sorelle, che vivono in casa con lei, i genitori e la nonna. Dal carattere vispo e dalla sfrenata curiosità nei confronti del mondo, Taeko sogna ad occhi aperti e si emoziona per la minima novità. Esempio lampante è la sua gioia nel visitare le terme nel periodo estivo, o il suo sconcerto di fronte all’ananas (frutto tropicale non di uso comune nel Giappone degli anni sessanta).
Quando ritorniamo al presente, notiamo i cambiamenti di Taeko, la sua volontà di vivere la vita nella semplicità, nei valori che vede ormai perduti e che grazie al lavoro nei campi, spera di ritrovare.
In campagna si adopera per produrre cartamo (pianta simile allo zafferano) e riscopre la genuinità dell’agricoltura biologica, grazie alla figura naif di <i>Toshio</i>, un ragazzo dai sani principi e dalla spiccata forza di volontà. Toshio instillerà in Taeko il seme dell’amore, quello verso la natura, verso il prossimo e verso sé stessi. I due personaggi si guideranno l’un l’altro verso l’abbandono di ogni rimpianto e nel raggiungimento di un radioso futuro.

A fare da sfondo alla storia, delle magnifiche animazioni dallo stile dettagliato ed etereo. La precisione e la minuziosità del disegno si sposa in maniera perfetta con la narrazione e con la visione neo-realista del regista. La dicotomia della vita di Taeko è sapientemente illustrata attraverso gli acquerelli della gioventù e dalle tinte accese della maturità, in un’atmosfera campestre che sa rendere gioiosa anche la pioggia.

Paragonabile ad opere della letteratura verghiana, o balzachiana, Gocce di Memoria è un racconto dal sapore agrodolce, uno spaccato di storia giapponese, un ritratto di due epoche ormai passate, ma che ciò nonostante risultano ancora strettamente legate ai tempi moderni.
La canzone della vita ha la ritmica di uno stornello triste, allegro, popolare, puro e colmo di speranza.

Voto 10, da vivere!