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Quando i rapporti si consolidano nel tempo, ogni gesto è compiuto con una certa sicurezza. La confidenza non permette alla mente di pensarci nemmeno per un attimo; ed è tutto un muoversi e agire spontaneo. Si abbandonano l'eccitazione e i molteplici ripensamenti nell'approcciare con la persona che si è scelta per tutta la vita. L'intero legame stabilito ha un qualcosa di miracoloso rispetto a una neo-coppia di fidanzati alle prese con le loro prime volte, le prime liti, le prime dichiarazioni, le prime difficoltà e le prime gioie. Costruire un rapporto è un lavoro intenso, che richiede tante prime e seconde volte, fino a non contarle più. E' uno scegliersi, e confermare questa scelta ogni giorno, costantemente.
Eppure, ci sono volte in cui tutta questa naturalezza arriva a logorarci dentro. Ogni gesto "naturale" è, piuttosto, vuoto. Ci si muove in automatico secondo quello che tempo prima, anni prima, si è deciso essere il proprio ruolo. Ma cosa farsene di questa danza di coppia, se non crea nemmeno un sussulto al cuore e anzi, fa sentire stanchi. Allora, si parla del più e del meno, e si continua a recitare la propria parte nell'attesa che uno dei due urli che non se ne può più. Che urli che c'è qualcosa di sbagliato in tutto questo, e come può non essersene accorto anche l'altro. Lei se n'è accorta, e lo dice così come parla del tempo e del lavoro.

[Attenzione! Possibili Spoiler.]
"Vuoi qualcosa da bere?" In un discorso qualsiasi, mentre la coppia si reca all'aeroporto in macchina, lei coglie la palla in balzo. Esplode - seppure con toni contenuti e colpevoli. Lui ha deciso di trasferire il proprio studio nel seminterrato di casa loro. Lei si offre di liberargli una stanza, ma lui dice che è tipo da seminterrato, quindi non ha bisogno d'altro - primo segnale del suo non chiederle mai niente. Come se così facendo possa convincerla che va tutto bene, che non ha problemi. Ma anche l'assenza di problemi talvolta può diventare una questione assai più seria. Lei chiede se gli conviene, e lui le assicura che oltre che stare più vicini, avrà un affitto in meno da pagare. "Ascolta... mi trasferisco". E da qui ancora altri convenevoli. Una lenta e pacata conversazione tra il su e giù dell'auto che li fa dondolare. Lui sembra costernato e ancora incapace di elaborare le informazioni che riceve a poco a poco. Lei sembra spiattellare tutto con timidezza, e spiega che non vuole dargli seccature. E' decisa, ci ha pensato su e ormai è stabilito. Sembra una decisione che si doveva prendere ormai da tempo, secondo una tacita accettazione che qualcosa mancava al rapporto. E anche se lui non vuole ammetterlo, adesso lei lo ha detto ad alta voce. Non si può più negarlo. E prima di impegolarsi in una battaglia di resistenza, lui le chiede se servirà a qualcosa provare a desisterla.

Il film prosegue nella scena successiva. Stavolta siamo in casa della giovane coppia sposata, qualche giorno dopo il drammatico annuncio: lei impacchetta le sue cose, e lui l'aiuta. Lui in una stanza, lei in un'altra; a volte anche insieme. Ogni libro e ogni maglione sembra impregnato dei ricordi di una vecchia vita che si sta abbandonando. E' inevitabile l'amarezza. Nonostante lei abbia un altro uomo - e lui lo sa -, nulla può impedirle di ripensare a quei giorni in cui, entrambi ottimisti, avevano posto le basi del proprio rapporto, prevedendo di costruire un magnifico castello, senza immaginare che lo avrebbero abbandonato... o peggio, lo avrebbero distrutto con le loro mani. Come un castello di carte, lei ha deciso di dargli il soffio decisivo. Come possono quelle stanze essere piene di storie, mentre dentro di loro i ricordi non sono bastati a far da collante? E' tutto spento al loro interno, mentre gli oggetti vivono. Ma essi non bastano.

Lui non le porta rancore, il che rende lei - e lo stesso pubblico - frustrato dalla sua remissività. Tutta la colpa, tutte le decisioni vertono e crollano su di lei. Ma non è possibile tutto questo! Non è possibile che fino alla fine del loro rapporto, lui si metta da parte invece d'esser partecipe. La situazione è paradossale e l'ansia sale nell'attesa di un momento di puro sfogo e delirio da parte del marito - che invece le chiede amorevolmente se abbia avvertito l'amante a che ora debba passare a prenderla. Proprio mentre si pensa che l'intera storia sia assurda, o semplicemente priva di sentimentalità da parte di questa coppia di soli conviventi, viene affrontata la questione. Nuovamente e stavolta in maniera definitiva. E' ancora lei a fare il primo passo, che non ne può più di tutte queste attenzioni. Lui che la aiuta a imballare la propria roba, lui che le cede i servizi di piatti migliori, lui che le vuole offrire la cena poco prima di andarsene. E' troppo persino per un'adultera! Possibile che neppure un minimo d'orgoglio risollevi la persona che ha di fronte? Possibile che non provi nessun risentimento verso di lei? Possibile che la situazione possa degenerare ulteriormente facendola sentire schifosamente e miseramente umana, mentre lui la guarda impalato? E allora lui è costretto a comunicare la propria fragilità, più come persona che come marito; e sempre attraverso una conversazione calma e robotica, che lascia appena trapelare quante siano le parole serbate al proprio interno e gli altrettanti sentimenti inespressi. A che serve arrabbiarsi? Non cambierà nulla, lui starà bene... "Sto bene", sono le sue parole preferite, mentre si chiude ermeticamente al mondo, e a lei. In fondo anche lui è colpevole di ciò che non c'è più e che non ha mai affrontato.

A rendere atroce questa farsa coniugale è l'arrivo di un'altra coppia che irrompe in casa alla ricerca del proprio gatto. I protagonisti sono costretti a recitare per loro, ancor più che per se stessi. Il gatto non fa ritorno e gli ospiti vanno via. Giunge la sera, gli ultimi istanti di quella giornata e gli ultimi attimi della coppia. La cena è servita, e l'altro (l'amante) ha già chiamato per concordare il suo arrivo. Persino il gatto spunta fuori, e quindi non c'è più nulla di irrisolto. E' tutto finito. Il tempo è passato, gli scatoloni son pronti ed è tutto finito. Lei guarda il gatto, mentre lui in bagno mostra al pubblico il primo accenno di dolore. Si sciacqua il viso più e più volte per lavare via ogni segno. E mentre lui cede dinanzi al proprio riflesso allo specchio, lei si fa forza: "Andrà tutto bene".

L'intera storia richiede d'esser capita attraverso i silenzi dei protagonisti o i loro volti che trattengono una tristezza inconsolabile. Probabilmente si può attribuire a questo film una certa selettività nel pubblico a cui si offre. Solamente lo spettatore che ha vissuto sulla propria pelle il logorarsi di una relazione, e si rende conto del senso di colpa e del dolore da ambo le parti, può immaginare e capire ciò che la coppia non manifesta in maniera esplicita a parole.
Si tratta di un film sperimentale scritto e diretto da Lee Yoon-ki e intitolato Come rain, come shine. E' evidente l'intento del regista di spremere la coppia e distruggere questo rapporto fino al punto che i partner non abbiano più nulla da dirsi, nemmeno per urlare.

Il film però, mette alla prova anche il più paziente degli spettatori, che con estrema lentezza osserva i due protagonisti muoversi tra le stanze di questa casa, che emoziona più i personaggi stessi che il pubblico estraneo. Nella realizzazione estrema di una giornata come un'altra, priva di chissà quali avvenimenti, la partecipazione di queste scene - spesso mute - di vita quotidiana provocano irrequietezza. Indubbiamente, nel mare più piatto, le piccole onde emozionali acquistano un valore e una profondità conturbante. Hyun-Bin, l'attore che veste i ruoli del protagonista maschile - la protagonista è interpretata da Lim Soo-Jung -, all'epoca dell'uscita della pellicola, la difese dalle critiche asserendo che, per entrare nel mood della coppia c'era bisogno di viverla in quei piccoli istanti, talvolta anche vuoti. Indubbiamente è sostanzioso il carico emotivo e il messaggio lanciato dalla storia, ispirata alla storia breve "A Cat That Cannot Return" di Inoue Areno. Ma tutte le attenuanti di questo mondo non renderanno inevitabile stizzirsi sulla sedia con un moto di impazienza; tanto più per la commissione che ha avuto l'incarico di giudicare il film in gara alla 61° Film Festival Internazionale di Berlino del 2011.