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8.0/10
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Ogni volta che ci si avvicina a un tipo di cinema diverso da quello che si è abituati a vedere, dove azione, effetti speciali e una trama piuttosto veloce sono punti di riferimento, ci si ritrova sempre a parlare in un modo o nell'altro delle opere ghibliane. Questo succede perché persone come Miyazaki o Takahata sono riuscite a creare un genere tutto loro, che, al posto di quei tre elementi citati sopra (per niente esaustivi, ma che rendono il concetto), scelgono di raccontare storie dove il fulcro principale è una sceneggiatura che tende a entrare nel profondo dello spettatore, fino a tirargli fuori quelle emozioni di malinconia e nostalgia che fino a quel momento sembrava impossibile provare per la sola visione di un film.
Questa breve introduzione serve per capire come sia sbagliato l'approccio a film come "Wolf Children" (ultimo tra i tanti) etichettandoli alla buona come "ghibliani", o definendone gli autori come "figli di Miyazaki". Frenando chi a questo punto potrebbe pensare che io voglia sminuirne il valore o non riconoscere l'enorme bagaglio che queste opere si portano dietro, posso iniziare con l'analisi del film in questione.

Per chi ama questo genere di cinema il nome di Mamoru Hosoda non dovrebbe risultare sconosciuto: già autore de "La ragazza che saltava nel tempo" e "Summer Wars", Hosoda riesce a spaziare tra gli elementi narrativi e a fondere una sorta di magia con tutto ciò che circonda i nostri tempi. Sono storie ambientate ai giorni nostri in cui aggiunge quell'irrazionalità che tutti (probabilmente) cerchiamo nella quotidianità. Riesce perfino a sfruttare e a proporre una visione propria della tecnologia, nel secondo film citato, e a intrattenerci sullo schermo in una fantastica avventura che si scinde in due mondi: quello virtuale e quello reale.
In questo suo ultimo film vi sono tutte queste caratteristiche: la storia di Yuki, suo fratello Ame, sua madre Hana e suo padre, riesce a creare un legame molto forte con lo spettatore, che vedrà nascere e crescere i due bambini-lupo, vedendoli affrontare i problemi che si possono immaginare relativi a un segreto da mantenere nei confronti della società. Il tema affrontato cambia di minuto in minuto, dalla spensierata vita universitaria di Hane, in cui conosce l'uomo-lupo, alle vicende di una madre mentre bada da sola a due bambini, affrontando un impegno come la loro educazione, che diviene ancora più difficile dovendo gestire anche la loro natura animalesca, e il loro scontro con la società una volta cresciuti. Qui vi è la chiave di lettura della storia: le scelte e i cambiamenti comportamentali di Yuki e Ame saranno esattamente opposti, e questo influenzerà la vita della famiglia e andrà a creare un contrasto netto, enorme, tra la vitalità presente nei primi anni della loro infanzia, seppur con tutte le difficoltà del caso, e un distacco sempre più evidente all'arrivo della loro adolescenza.
Questo contrasto è probabilmente la forza del film, quella forza che fa diventare una semplice storia qualcosa di più, proprio come ci hanno abituato i maestri ghibliani; qui in particolare mi viene da pensare all'opera di Takahata "Gocce di memoria", che ha gli stessi, se non addirittura più forti, effetti malinconici, senza dimenticarci delle ambientazioni naturali che ricordano ovviamente le opere di Miyazaki. Oltre a questo c'è anche la presenza di un effetto nostalgico quasi "shinkaniano" (riferito a Makoto Shinkai) alla fine del film, dove le frasi di Yuki, voce narrante per tutta la durata dell'opera, ci fanno capire che quei momenti felici della loro crescita non torneranno più.

Per concludere la recensione vorrei chiudere il discorso iniziato più in alto, che spero possa essere condiviso nella visione del film, in cui accennavo allo sbagliato approccio riguardo ai nuovi maestri "emergenti" (per cosi dire, vista l'età di Hosoda); questo perché, nonostante la ovvia influenza delle opere e delle persone che li hanno preceduti (come ho appunto fatto notare), non mi sembra giusto nei confronti di ambedue le parti generalizzare in questo modo. A mio avviso, descrivere un film come questo millantandone la somiglianza con altri, mettendolo quasi un piano sotto ad essi, è uno sbaglio grossolano; piuttosto lo affiancherei a loro descrivendolo come un film "hosodiano", con tutto il rispetto che gli si deve.