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9.0/10
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Dopo decadi, decadi e decadi finalmente è arrivato uno shonen a trama sportiva, dove la presenza femminile non è relegata nei consueti (e ormai consunti) abiti della manager della squadra, ma brilla di luce propria. Difatti Natsu, oltre a far parte dei personaggi principali, ambisce a diventare una professionista della racchetta. Inoltre, nell'arco di venticinque puntate si sfata pure l'oscuro demone di questo genere: l'amore. Bandito per arcani (e aggiungerei inspiegabili) motivi o ridotto a relazioni one-side di povere fanciulle, che si struggono per omaccioni con i paraocchi solo per il basket, il pugilato, il nuoto, il baseball & co.

In Baby Step, i sentimenti crescono con la stessa intensità con cui cresce la voglia di allenarsi, di migliorare se stessi, di intraprendere nuove sfide. A piccoli passi si prova a raggiungere una meta, rompendo il grigiore pallido della vita quotidiana, proprio come fa il protagonista Ei-chan, un secchione di prima categoria, pieno di A in pagella, che comincia a domandarsi cosa rimane delle sue giornate aldilà dello studio, provando a distaccarsi dalla scrivania per andare incontro a qualcosa di diverso, in questo frangente il tennis, affrontato dal punto di vista di un principiante non intenzionato inizialmente ad ambire alla top ten mondiale. Ed è a questo elemento innovativo, che si ricollega senz'altro l'assenza (per fortuna) di palle deformate dalle traiettorie improbabili, a cui ben più celebri spokon ci hanno abituati. Persino i personaggi con l'abilità di tirare sonore sleppe spacca testa si esentano dalle meteore impazzite, mostrando uno sport vicino alla realtà, alla fatica degli esercizi (a volte con relativo vomito da sforzo), alla difficoltà di attuare un rovescio potente.

L'unico aspetto che mi lascia perplessa rimane l'eccessiva schematizzazione degli incontri.
So perfettamente che la parola block notes sta ad Ei-chan, come la parola uovo sta a Pasqua, ma, secondo il mio parere, bisognava limitare le tabelle e gli appunti ai soli allenamenti o accennarne vagamente qualcosa negli incontri. La strategia indubbiamente serve, eppure a volte dobbiamo lasciarci andare. Più cuore, o meglio stomaco, e meno cervello.

Infine, non dimentichiamoci della grafica, da considerare nella norma, e la canzone della sigla iniziale, con quel "Belive in yourself" che i miei vicini di casa conoscono molto bene visto che lo hanno sentito ripetutamente dalla voce della sottoscritta.

Alla prossima stagione!