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L'ospite indesiderato, cioè un parassita alieno che viene a farti visita di notte e, senza quasi colpo ferire, diventa parte di te, la goccia di diversità nella vita tutto sommato lineare e monotona di un classico studente giapponese delle superiori. Ti aspetti dunque una classica storia di fantascienza/splatter con l'eroe destinato a salvare il mondo dalla stirpe dei cattivi insieme al 'nemico' che si trasforma, strada facendo, in prezioso alleato e 'amico per la pelle': il classico cliché comune a molte produzioni nipponiche e non solo. In realtà però la salvezza del 'mondo', compito assegnato e mal sopportato dal protagonista Shinichi, è solo la scusa per esplorare nel profondo il terrore della diversità e, infine, la sua redenzione. Migi, il parassita alieno, è l'entità esterna che introietta su di sé la paura dell'altro, le metabolizza e cerca di porne rimedio, ma non per spirito di fratellanza con il suo organismo ospitante; è semplice esigenza di adattamento, perché l'obiettivo è uno e uno solo: 'sopravvivere', cinicamente o meno, in simbiosi con quell'altro essere di cui si ha bisogno.

Certo con il prosieguo della storia qualcosa che può palesarsi come inizio di una progressiva umanizzazione del parassita emerge, ma, giustamente, rimane un'eco ben diversa dalla risonanza generata dal cambiamento nella fisionomia organica e mentale di Shinichi. In sostanza i due protagonisti si compenetrano, ma rimangono entità distinte, come è giusto che sia. Ciò perché può essere bello pensare alla promiscuità e al meticciato in termini politicamente corretti, ma la realtà è che ognuno rimane per lo più sé stesso, certo 'evoluto' dall'incontro con l'altro, migliorato rispetto al punto di partenza, ma sempre figlio del suo tempo, del suo essere e schiavo del semplice bisogno posto alla base di ogni esistenza: sopravvivere.