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8.0/10
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<b>[Attenzione, questa recensione contiene spoiler.]</b>

Lo shonen i cui volumi quando escono rimangono in cima alla classifica per almeno tre settimane ha moltissimi pregi, ma, siccome nessuno è perfetto, ha anche dei difetti, primo fra tutti la lunghezza: se da un lato fa molto piacere che l’autore non abbia concluso l’avvincente avventura della ciurma pirata più bizzarra della storia in cinque anni come aveva pianificato all’inizio, dall’altro c’è la paura che raggiunga e addirittura superi i 100 volumi, che insomma, sarà una storia bella quanto si vuole, ma sono davvero tanti, sia per lo spazio fisico che per il portafoglio! L’incredibile fantasia del maestro Oda è, da questo punto di vista, il suo maggior difetto, perché potrebbe continuare a sfornare personaggi e situazioni comicissime e tragicissime, che poi è quello che ha fatto fin ora.Questo è infatti anche il maggior pregio di One Piece: la capacità di mischiare momenti buffissimi (a volte anche demenziali) a episodi di una tristezza e tragicità davvero struggenti.

Lo stesso gruppo dei protagonisti vive di questo binomio: ognuno di loro ha un lato bizzarro e spassoso, e unito a quello degli altri crea situazioni che fanno piegare in due dal ridere; ma tutti loro hanno avuto nel loro passato un evento più o meno triste/tragico, ed è proprio il forte trauma che hanno subito che dà loro la forza di andare avanti, sempre e comunque, per raggiungere un obiettivo o mantenere vecchie promesse. Le loro grandi ambizioni sono il motore che li muove: tutti loro puntano in alto che più in alto non si può, tanto da essere considerati dei folli, ma loro continuano imperterriti nella loro strada, e andando avanti con la storia si intuisce che probabilmente i loro sogni convergono verso uno solo: il ritrovamento del misteriosissimo One Piece, il tesoro più grande del mondo (non si sa nemmeno se esista); di certo un grande tesoro ce l’hanno già, e sono le mille avventure che hanno vissuto, le persone che hanno incontrato, i luoghi esotici che hanno visitato… chissà che alla fine il tesoro non sia davvero questo! In fondo i nostri eroi stanno evolvendo in continuazione, e sconfiggeranno tra mille fatiche tutti gli avversari che gli sbarreranno la strada, siano la marina, altre ciurme di pirati, o semplicemente dei megalomani che vogliono dominare il mondo.

Un grosso difetto che ho riscontrato è la quasi totale assenza della morte: infatti non muore proprio nessuno, né i buoni né i cattivi (salvo qualche raro caso accaduto nella saga di Marineford); secondo me il sacrificio di un buono è di grande impatto, ma se poi questo ritorna mi perde molti punti (ad esempio Pell ad Alabasta: ma come fa ad essere ancora vivo? Per me non ha alcun senso!); poi per carità, va bene anche così, ma in fondo dove ci sono le mazzate più o meno violente, ci possono anche scappare dei morti ogni tanto.
Altro difetto è lo schema narrativo ripetuto quasi in tutte le saghe: isola di gente afflitta da un gruppo di malvagi, arrivo dei nostri, numerosi scontri, Rufy che per una cosa o per l’altra non può combattere subito, ma quando arriva lui (sempre all’ultimo momento) non ci sono cavoli per nessuno (essendo il protagonista è anche giusto così). Comunque, dalla saga delle isole Sabaody lui non è più superpotente, anzi le prende di santa ragione più volte, e questa è una cosa giusta e realistica (anche perché se fosse sempre fortissimo non ci sarebbe gusto).

Il disegno, apparentemente molto semplice, è in realtà molto curato e dettagliato, soprattutto nelle affollatissime tavole a doppia pagina: le espressioni, i luoghi, gli oggetti assurdi vengono resi perfettamente. Ho apprezzato il fatto che i personaggi maschili abbiano la pupilla piccola; non mi piace invece il continuo crescere dei seni di Nami e dei personaggi femminili, i cui vitini da vespa fanno risultare sproporzionato tutto il corpo. Una nota di grande merito va alle coloratissime e curatissime copertine, una più bella dell’altra.

In definitiva è un titolo che merita senza dubbio tutto il successo che ha, però forse è tirato un po’ troppo per le lunghe, e conoscendo l’autore, ne avremo ancora per un beeeeeeeel po’…