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5.0/10
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Death Note è un'opera di cui devo ancora capirne il senso. Davvero, proprio non ci riesco!
Non è per cattiveria, né per anticonformismo di sorta, è che proprio non sono riuscito più a seguirne il filo dopo il 5°/6° volume! Ma andiamo con ordine...

La trama parte con un'idea tanto semplice quanto geniale a modo suo: Light Yagami è un annoiato quanto intelligente studente delle superiori, figlio di un detective della polizia e profondamente disgustato dal mondo in cui vive. Un giorno, durante le lezioni, vede cadere dal cielo un quaderno, ed incuriosito decide di andare in cortile a controllare una volta finite le lezioni. Giunto sul posto Light nota il quaderno e, dopo averne letto le strane istruzioni riportate all'interno, decide di raccoglierlo e portarlo con sé a casa. Spinto dalla curiosità e dalla stranezza delle istruzioni presenti sul quaderno, Light decide di testarlo e scopre che il suo potere è reale e che con esso può uccidere chiunque voglia scrivendo semplicemente il nome della vittima designata. Ripresosi dalla scoperta Light viene contattato da uno shinigami di nome Ryuk, il quale spiega al ragazzo che quel quaderno è stato lanciato nel mondo degli umani per gioco e che ora apparteneva a lui fino a quando non sarebbe morto. Assalito da un sempre più crescente complesso di onnipotenza, Light decide allora di agire sotto mentite spoglie al fine di eliminare tutti i criminali esistenti sulla faccia della terra.

Fin qua ci siamo e le premesse promettono fin troppo bene... eppure c'è un "ma" che mi impedisce di considerare quest'opera degna di nota ed ammirazione. Sono sempre stato dell'idea che un'opera per essere ampiamente fruibile dal pubblico debba essere principalmente dinamica nella propria narrazione e che i dialoghi debbano essere dosati in maniera saggia, ma a quanto pare Tsugumi Ohba questo dettaglio se l'è scordato ben prima di iniziare l'opera stessa. E' difatti l'inquietante, quanto monolitica, quantità di dialoghi il vero male di Death Note, una mole inizialmente attraente, poi fastidiosa, infine molesta. L'autrice dei testi (i disegni sono a cura di Takeshi Obata, vero professionista delle chine dal tratto pulito, dettagliato ed elegante) raggiunge difatti picchi di logorroicità epocali con risvolti a tratti psicotici e capaci di distogliere il lettore (i pochi sopravvissuti, s'intende) da quelle che sono cattive caratterizzazioni e scelte narrative alquanto discutibili. Ad iniziare da L, il buono della prima parte del manga, nonché personaggio al limite dell'inverosimile e dall'aspetto esplicitamente burtoniano (l'autrice lo giustifica definendolo un genio della logica, ma in realtà altro non è che una narcisistica rappresentazione di se stessa). Fino a metà dell'opera L riesce ad attrarre anche le simpatie del lettore con le sue eccentricità infantili (è vorace di dolci e anziché sedersi normalmente preferisce assumere una posa da cova - esatto, come le galline), eppure anche lui finisce per risultare ridondante, tronfio e addirittura capace di strappare al lettore qualche bestemmia per quanto è il tempo che perde nel spiegare le proprie teorie. Uscito dal ciclo narrativo (non dico come che altrimenti è spoiler), L viene sostituito da Gianni e Pinot... ehm, Near e Mello, ovvero una coppia di mocciosi in fase emo pre-adolescenziale, capaci di smascherare Light che nel frattempo, e con la massima nonchalance, si è fatto assumere dalla Polizia giapponese che, inconsapevolmente, gli ha messo a disposizione un ampio database da cui attingere vittime per il suo quaderno. In pratica un adulto capace per anni di beffare la Polizia e l'Interpol facendo il bello ed il cattivo tempo, e che in teoria dovrebbe avere degli attributi grandi quanto il monte Everest, viene battuto da un paio di mocciosetti che ancora non sanno cosa sia lo sviluppo ormonale? Ah beh, tutto logico e nella norma! Aldilà di ciò e di altre inutili aggiunte (qualcuno ha detto Misa?), Death Note soffre terribilmente della troppa voglia di fare degli autori che nel tentativo di creare qualcosa di buono hanno finito per creare un opera che per 3/4 è composta da baloons contenenti testo (per la gioia di Obata, ovviamente). Portare a termine la lettura di questo manga è veramente impresa ardua e se ci riuscite senza risentirne beh, avrete la mia stima.

Complessivamente abbiamo fra le mani un paradosso editoriale, una storia scritta su di un concept originale e decisamente intrigante, ma che riesce, paradossalmente, a trovare la propria dimensione solo nella riproposizione animata (dove, giustamente, gli errori narrativi risaltano di più e la trama riesce ad essere capita con meno fatica). Un occasione persa, da parte degli autori e degli editori, di creare qualcosa di veramente valido nonché capace di restare meritatamente nella storia del fumetto "Made in Japan".