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Nella serata inaugurale della quindicesima edizione di Imaginaria - Animated Film Festival, in corso dal 21 al 26 agosto, all'interno della suggestiva cornice dell’antico monastero di S.Benedetto a Conversano (BA), nell'arena del Giardino dei Limoni gremita in ogni ordine di posto, si è tenuta la proiezione della versione restaurata in 4K dello stupefacente lungometraggio anime “Kanashimi no Belladonna” (“La tristezza di Belladonna”) del 1973. Per l’occasione la proiezione è stata sonorizzata dal vivo dal duo Mirko Signorile e Marco Messina.

Prodotto dalla Mushi Production di Osamu Tezuka, diretto da Eiichi Yamamoto (“Astro Boy”, “Kimba il leone bianco”) e sceneggiato da Yoshiyuki Fukuda, “Kanashimi no Belladonna” fa parte della trilogia sperimentale Animerama insieme a “Le mille e una notte” (1969) e “Cleopatra” (1970), ed è l’unico dei tre lungometraggi che non fu scritto o diretto dal “dio dei manga”. La pellicola, all’avanguardia per i tempi, fu presentata al Festival di Berlino, ma alla sua uscita fu un autentico flop dal punto di vista commerciale, tanto che contribuì in parte alla bancarotta della Mushi. Solo nel 2009 venne riscoperta, rivalutata e distribuita in Europa e in alcuni cinema statunitensi, mentre è del luglio 2015 la versione restaurata, mostrata in anteprima al Japan Cuts (Festival of New Japanese Film) di New York. Del restauro si è occupata la compagnia privata americana Cineliciuos Pics che, grazie all’unica stampa in 35mm sopravvissuta in edizione integrale e appartenente al Cinematek, il Museo del Cinema di Bruxelles che gentilmente ha acconsentito a fare una scannerizzazione in 4K delle sezioni mancanti dalla copia in loro possesso, è riuscita a recuperare anche la sequenza finale (quella con il quadro di Delacroix) mancante nella versione originale.

Il soggetto rivisita liberamente il saggio “La Strega” (“La Sorcière”) di Jules Michelet (pubblicato originariamente nel 1862). La storia si svolge in un Medioevo fantastico e narra le vicissitudini di Jeanne, una bella e giovane donna sinceramente innamorata di Jean. I due si sposano con tutti i crismi religiosi e con le aspettative di una felice vita insieme nella grazia di Dio. Ben presto però comincia un incubo. L’idillio si frantuma quando Jeanne è costretta a subire un violento ius primae noctis, venendo stuprata dal feudatario locale e dai suoi cortigiani durante un sadico rituale. In un primo momento Jeanne appare rassegnata, ma in seguito, in preda alla disperazione e accecata dalla vendetta, decide di stringere un patto col Diavolo.

La parola “belladonna”, oltre all’avvenenza di Jeanne, allude anche al nome comune di una pianta narcotica, le cui bacche e foglie altamente tossiche possono essere usate come letale veleno, nonché come sostanza psicotropa dagli effetti allucinogeni. Il termine implica quindi qualcosa di pericoloso ma al contempo delizioso e seducente, ed è in questa miscela di bellezza e pericolosità che va cercata una delle tante chiavi per interpretare “Kanashimi no Belladonna”.

L’estrazione letteraria francofona suggerirebbe altre interessanti elucubrazioni. In primis in riferimento all’epos di Giovanna d'Arco (Jeanne d'Arc), la cosiddetta Pulzella d’Orleans che guidò l'esercito francese in guerra contro gli inglesi, da questi ultimi messa al rogo come eretica, e successivamente beatificata e canonizzata dalla Chiesa Cattolica. Inoltre, in una scena ci viene proposta una Jeanne precorritrice di Marianne, allegorica figura femminile che, nei panni di una discinta popolana, incarna lo spirito della Repubblica Francese nel celeberrimo dipinto del 1830 “La Libertà che guida il popolo” di Eugene Delacroix.

L’epilogo del film, in cui tutte le donne finiscono per identificarsi con Jeanne, lancia un messaggio di emancipazione molto potente, specie in un momento storico come quello del 1973 in cui il movimento di liberazione femminile in Giappone è in pieno fermento e le donne marciano per le strade di Tokyo.

Dal punto di vista visivo il film (vietato ai minori di anni 18) alterna visioni paradisiache a scene terrificanti, fra rappresentazioni di ordinaria brutalità e organi genitali metamorfizzanti nel più ampio spettro di forme organiche, con arditi sconfinamenti in un erotismo plateale, ai limiti del morboso. Per la sua realizzazione sono state usate svariate tecniche miscelate tra loro. Le immagini sono spesso composte di quadri fissi: acquerelli, dipinti a olio, inchiostri, vetri colorati che vengono semplicemente zoomati o srotolati in lunghe panoramiche, quasi una rievocazione degli emakimono. L’animazione vera e propria prende il sopravvento nelle sequenze topiche, per lo più incentrate sulla peccaminosa sensualità del corpo esposto di Jeanne.

In un caleidoscopio di forme cangianti, fra toni pastello e cromatismi più squillanti, lo stile grafico omaggia la tradizione storica dell’arte occidentale, con particolare riferimento al decadentismo fin de siècle. Il camaleontico e raffinato tratto di Fukai Kumi passa in rassegna il Medioevo rarefatto dei pre-raffaelliti, la scabra carnalità di Egon Schiele, il languido espressionismo di Gustav Klimt, il simbolismo di Odilon Redon, le linee sinuose di Audrey Beardsley, fino ad arrivare a un'esplosione psichedelica di motivi Pop Art.

La colonna sonora del compositore d’avanguardia Masahiko Satoh nel caso specifico è stata sostituita dalle improvvisazioni jazzistiche di Mirko Signorile, al piano, e Marco Messina all’elettronica. La loro performance ha donato un innegabile tocco di spontaneità e immediatezza alla già conturbante visione, creando di fatto un emozionante happening. Il pianismo minimale e ipnotico di Signorile, perfettamente a suo agio fra le pulsazioni organiche e le ritmiche claustrofobiche di Messina, riesce nel non facile intento di entrare in intima simbiosi con il flusso della narrazione, dialogando con le immagini e stimolando un'atmosfera molto suggestiva che ha letteralmente rapito il pubblico.

“Belladonna of Sadness” è un anime di grande potenza visionaria che propone non solo immagini di incomparabile fascino, ma anche un sottotesto fortemente significativo, provocatorio e quanto mai attuale sulla condizione femminile. La sua carica irriverente si esplicita in contenuti estremi e immagini eccessive che sembrano strappate direttamente da un incubo. Siamo di fronte a una vera e propria opera d’arte magnetica e totalizzante, da riscoprire e rivalutare.