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Tratto da un acclamato manga, apprezzato non poco anche da mia moglie, attendevo questo lungometraggio con una certa impazienza, resistendo alla tentazione del manga che mi guardava quotidianamente dalla mia libreria. La mia intenzione era quella di arrivare il più vergine possibile alla visione della sua versione animata al cinema, in modo di potermi godere al massimo la sua trama. In realtà, con il senno di poi, mi accorgo come la mia scelta sia stata piuttosto infelice, complici delle scelte degli sceneggiatori che secondo il mio modesto parere sfavoriscono coloro che non si sono già goduti il manga.

Supportato da un comparto tecnico sicuramente molto curato e moderno, il lungometraggio inizia introducendo i nostri protagonisti da bambini, a scuola, e mostrando come il tema del bullismo colpisce anche la società giapponese. Ancor più grave è il fatto che la piaga è ancor più profonda per chi è colpito da disabilità, visto che sia la struttura scolastica che il corpo insegnanti si dimostrano inadeguati a fare in modo che i bambini colpiti da disabilità possano vivere un’esperienza inclusiva e non sentirsi ancora più penalizzati dai loro problemi. Tutto questo porta ad avere conseguenze sui due protagonisti, anche con chi che si è macchiato di bullismo, che viene giustamente isolato e a sua volta discriminato, nonostante un atteggiamento ipocrita da parte dei compagni che poco prima lo spalleggiavano e che orano scaricano solo su di lui il peso della responsabilità di quanto accaduto. La narrazione si sposta poi a quando i ragazzi sono quasi adulti, con ognuno che ha seguito la propria strada e che deve cercare di uscire dai traumi che hanno segnato la loro adolescenza. Inevitabile che il perdono da una parte, la redenzione dall’altra, passi dal doversi riavvicinare, andando a rielaborare e rivivere le ferite ricevute, ancora aperte e che possono portare a nuove conseguenza tragiche.

Quello che mi è piaciuto di “La Forma della Voce” è come provi a trattare un tema come la disabilità in modo comunque accessibile a tutti, in modo da riuscire a far passare un messaggio sicuramente efficace e lodevole, non lesinando sul criticare la società giapponese. Bello anche che mostri, forse inconsciamente, come il sistema scolastico giapponese abbia delle scuole speciali per chi è colpito da disabilità, seguendo la strada della specializzazione al posto di quella dell’inclusione, in modo così diverso rispetto quanto in genere si tende a fare in Occidente, dove si tende a dare, almeno secondo le metodologie più recenti, priorità all’inclusione del disabile nella società. Il problema è che ho forse trovato “La forma della voce” più interessante che piacevole da seguire: ho amato lo spaccato che fa della società giapponese, ho trovato lacunosa la trama, secondo la mia opinione poco fluida e con qualche buco di troppo.
La necessità, ed è capibile, era quella di cogliere l’essenza del manga e condensarla in poco più di due ore di film di animazione, andando a toccare sia le tematiche sensibili, coinvolgendo lo spettatore ed emozionandolo, sia la parte di intrattenimento vero e proprio. Visto che il numero dei personaggi non è esiguo e i loro legami mai banali, è necessario un lavoro di introspezione per diversi di loro, e tutto questo porta a tagliare alcuni passaggi per nulla scontati a chi non ha letto il manga. Mi sono trovato più volte con delle domande senza risposta, come se mi mancasse qualcosa, e per averla sono dovuto andare a chiedere aiuto a mia moglie. Ci sono diversi passaggi che risultano accelerati, altri personaggi che sono spesso presenti, ma di cui si fatica a valutare il peso, apparendo con molto più potenziale di quello che esprimono.

Un esempio del dolce/amaro presente nel lungometraggio è come si giunge alla stupenda, perché è forse la migliore cosa del film, sequenza finale, ovvero con una discontinuità che ho trovato un po’ stonata: date le premesse che erano state costruite, l’avrei presentata in modo diverso. Solo con il senno di poi scopro il motivo della reunion scolastica finale, che nel manga è ben diverso e meno pretestuoso. Ma ci sono tantissime sfumature che, senza aver letto il manga, non si colgono, che vengono date per scontate e che forse si intuiscono solo, visti alcuni comportamenti che altrimenti apparirebbero illogici.
Non ho nemmeno trovato la carica emotiva data da certi eventi così prorompente come avrebbe potuto essere, appunto in quanto non sempre si riesce a montare tramite la sceneggiatura in modo fluido il carico emotivo, ma ci si arriva tramite salti e una frammentarietà che ne limita l’impatto finale. L’impressione, da ‘babbano’, è che la sceneggiatura sia stata un po’ pasticciata, una via di mezzo tra un riassunto del manga e una sua rielaborazione.

Nel complesso sono rimasto piuttosto deluso da “La forma della voce”, non perché sia un brutto film, ma in quanto avevo accumulato troppe aspettative. Inevitabilmente mi è sembrato un’occasione sprecata, anche in quanto la realizzazione tecnica è di prim’ordine e mi spiace non sia riuscito a raccontare la trama del manga in modo esaustivo.

Un consiglio: prima leggete il manga, poi vedete il film.