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8.5/10
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Chi ha letto "Aku no hana" (2009-14) non potrà non apprezzare questa nuova opera di Oshimi (2012-16), sia per il tratto, oramai maturo e delicato, non eccessivamente dettagliato, ma molto lavorato (l'uso dei retini è quasi nullo), sia per la storia. Che siano dei topoi a cui l'autore tiene abbastanza o che sia stato ispirato ed influenzato dalla sua stessa creatura ("Aku no hana", così di successo e così prepotentemente entrata nell'interesse collettivo di una certa fetta della fanbase), Oshimi pare più o meno incapace di divincolarsi da una certa impostazione.
La trama, per quanto si basi sullo spunto abbastanza abusato dello scambio dei corpi ("Kimi no na wa" del 2016 ha reso il genere più commerciale che mai) riesce, comunque sia, a distanziarsi celermente da quella che sarebbe stata una banalità.

Isao, un hikikomori di poco più che vent'anni, è oramai ad un punto morto della sua esistenza, incapace di affrontare un mondo a cui sente di appartenere solo di striscio, esasperato ed oberato dal pondo che ogni azione minimamente sociale pesa su di lui, incontra una ragazza leggermente più giovane di lui, bellissima, pudica. Questo tema della santità femminile, già visto in "Aku no hana" nel rapporto tra Kasuga e Saeki, della donna-angelo intesa in senso dolcestilnovistico e soteriologicamente come unico mezzo di redenzione per il maschio impuro, ritorna qui di prepotenza, se non che improvvisamente - e con un certo interessato sbigottimento da parte mia - il ruolo di protagonista viene assegnato a Mari, la ragazza. Mari si risveglia con Isao al proprio interno. Possiamo, anzi, dire che Isao si risveglia con Mari al proprio esterno. Si instaura, conseguentemente, una storia d'amore, di salvezza - difficile da dire - ma che, seppure sfumata, è pur sempre basata su d'un trio, stante l'entrata in campo di Yori, una ragazza emarginata della classe (più o meno la trasposizione del personaggio di Nakamura) in questo vortice affettivo. I rapporti fra i tre protagonisti si sviluppano con differenze notevoli rispetto al già citato "Aku no hana", ma i tipi, i caratteri (teofrastianamente), sono gli stessi, quasi trasposti. Oshimi, però, navigato e mai banale, per quanto parta da presupposti abbastanza semplici, riesce a dare una profondità notevole alla trama. Ogni personaggio viene scavato, affiorano le sue debolezze, la sua umanità.
L'opera è chiara. È la narrazione di una fragilità, di una dissociazione da sé stessi per sopravvivere a sé stessi. Sono 8 volumi di lotta con sé stessi per ritrovare sé stessi.
Che liberazione dopo una tale titanica lotta, che felicità - eppure, come in "Aku no hana", l'autore inserisce quelle poche pagine finali così tristi e melanconiche. Dopo tanto stridere è sbocciato un nuovo mondo, è ritornata la quiete - ma con essa, forse, anche la solitudine. Un triste sorriso affiora.

Così come criticai "Aku no hana", così critico "Boku wa Mari no naka".
Così come lì il personaggio di Saeki era troppo puro, troppo bello per certi comportamenti, troppo inverosimile per un'opera che alla fine fa dell'estremo realismo psicologico la sua punta di diamante, così Mari risulta una maschera molto fragile dopo una attenta disamina. Eppure mentre Saeki era solamente un intermezzo, per quanto potente, qui Mari è la protagonista. Qualcosa non torna, o torna poco. Ho apprezzato davvero tantissimo la trama, la sua psicologia, la sua "psichiatria", ma non posso non trattenermi dal notare che la persona della donna serafica che in realtà scopresi ascondere segreti su segreti, sino al deterioramento, è poco credibile - almeno in un'opera data al realismo.
Non fosse per questo, il manga di Oshimi è importantissimo e va letto. Va letto soprattutto da chi ha apprezzato "Aku no hana", la cui scia cerca di intraprendere, va letto da chi è interessato ai tipi psicologici più complessi, va letto anche da chi vuole una storia d'amore (persino yuri [?]) un po' più intima e sfaccettata.