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10.0/10
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La ‘grande bellezza’ di “Shigatsu wa Kimi no Uso” è in quell’ultima sonata: Chopin, la figura sudata e piegata sui tasti del pianista, i colori di un cielo in transizione e l’immagine vivida al centro della scena della protagonista, che muove il suo archetto sulle corde del violino. Quella figura, conosciuta e poi amata nel corso delle ventidue puntate, compare e, infine, scompare nel crepuscolo alla stregua di un angelo custode dopo aver assolto al suo compito. Un cambio di status che ti sradica dalla libertà connessa all’essere un semplice spettatore, costringendoti a vivere emozioni e sentimenti in prima persona.

Nel commiato all’altro protagonista della storia, un semplice liceale giapponese che ha il pregio o la sfortuna di essere un genio della musica, ma ha bisogno delle dure prove della vita per comprenderne a fondo l’essenza, non c’è struggimento, ma solo sana e viva commozione. La metafora di quel destino d’artista, seppur vicina ad alcuni classici cliché romantici, che resta essenziale per comprendere la natura più intima di qualsiasi opera d'arte. Il tutto è poi condito da una sapiente gestione della componente musicale, che strizza un po’ l’occhio a archetipi di grande prestigio del genere come “Nodame Cantabile”. La musica è protagonista e analizzata finemente sia dal punto di vista tecnico che nella sua componente psicologica, ponendola in equilibrio con gli aspetti più intimistici e romantici della storia.
È proprio l’equilibrio tra queste forze che convergono verso un fine comune senza fagocitarsi a rappresentare, a mio parere, il tripudio della resa filmica di questo shounen romantico.

Il mio voto è giustificato anche da una buona resa grafica e da una buona gestione della componente tecnica della produzione. Gli effetti già citati nell’ultimo episodio ne sono un chiaro esempio.