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Quando da bambino mi mettevo a fare i capricci, i miei genitori, per tenermi buono, minacciavano di darmi in pasto “all’uomo nero”. Io non sapevo chi fosse questo tizio, se una sorta di Diabolik in calzamaglia o un essere tipo il Mana Cerace di “Dylan Dog”; quel che è certo è che l’espediente funzionava benissimo, in quanto il solo pensiero di fare da spuntino a un essere mangia-bambini mi metteva una paura dannata. “The Promised Neverland”, in fondo, è proprio la celebrazione di questo tipo di traumi infantili: in fondo, anche se ormai abbiamo abbandonato l’ingenuità propria della nostra prima giovinezza, il ricordo di quella paura dell’ignoto ancora ci solletica la mente. E allora Kaiu Shirai ha deciso di riproporcela in formato maxi: l’uomo nero non minaccia, infatti, un solo bambino, ma un intero orfanotrofio. E, soprattutto, in questo caso non è un essere di fantasia, ma l’uomo nero esiste davvero.

La Grace Field House è il tipico esempio di orfanotrofio modello: i bambini, infatti, più che compagni di sventura si considerano come i componenti di una vera, grande famiglia alla cui testa c’è la "mamma", ossia una donna di nome Isabella. La vita dei bambini è allegra e spensierata: dopo aver risposto alle domande di un test, i bambini sono liberi di passare il resto del loro tempo giocando all’aperto; di tanto in tanto, poi, ma sempre entro il compimento del dodicesimo anno di età, qualcuno lascia l’orfanotrofio perché adottato da qualche famiglia. Insomma, sembra davvero tutto perfetto. Ma, come spesso succede, l’apparenza inganna; la Grace Field House, in realtà, nasconde un terribile segreto...

Quella raccontata in “The Promised Neverland” è una storia che esordisce con un bel cazzottone allo stomaco dello spettatore; poi, mentre quest’ultimo è ancor in ginocchio per il colpo ricevuto, gli sussurra che non è necessaria la violenza, ma che tutto si può risolvere con il sol uso dell’intelletto.
L’anime, quindi, parte proponendo praticamente subito un evento molto forte che colpisce sia per la sua inedita collocazione temporale sia per il tipo di contrasto visivo che riesce a creare tra innocenza e brutalità. Colpisce molto meno, invece, per il grado di originalità della situazione proposta: Emma e Norman non hanno fatto altro che ingoiare la pillola rossa, anche se non c’era il Morpheus di turno a proporre la classica scelta, e hanno scoperto la reale condizione del genere umano. E di loro stessi.
È a questo punto che l’anime svela la sua vera natura: i bambini, una volta appresa la verità sull’orfanotrofio, cominciano a pianificare la fuga; la madre, al contrario, deve mandare a monte i loro piani ad ogni costo. Inizia così una lentissima partita a scacchi dove ogni giocatore fa la propria mossa, valutando attentamente i vantaggi che si possono ottenere e il livello di rischio a cui ci si espone. Qualcuno, in altre sedi, ha paragonato questa situazione a quella che legava Light ed Elle in “Death note”; personalmente ritengo questo paragone un po’ azzardato, troppe sono le differenze esistenti fra i due anime. Ma, pur considerando molto vaga questa relazione, il desiderio di Norman di voler “superare la mamma in astuzia” sarà il preludio a uno scontro psicologico e tattico di altissimo livello.

In un contesto del genere, composto da lunghi periodi di calma apparente, una buona caratterizzazione dei personaggi era un fattore di vitale importanza per la riuscita dell’opera; ma da questo punto di vista “The Promised Neverland” supera ogni aspettativa, proponendo un cast davvero all’altezza. Ogni personaggio ha una sua particolare personalità, con dei punti di forza e dei punti deboli; i tre personaggi principali, poi, sono carismatici ma anche difficilmente decifrabili, al punto che da ognuno dei tre ci si può aspettare una sorpresa in qualsiasi momento.

Giudizio molto positivo anche sul comparto grafico: questo modo di disegnare a me piace molto, perché riesce a trasmettere con grande efficacia i sentimenti e le sensazioni provate dai personaggi.

In definitiva, il mio giudizio complessivo su quest’anime è molto buono: c’erano grandi aspettative legate a questo titolo e sono state tutte rispettate. In verità, in alcuni tratti si eccede con la lentezza e ciò annoierà un po’ lo spettatore; la carne al fuoco, però, è così tanta, che qualche sbadiglio qua e là ci può pure stare.