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9.5/10
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L’anime tratto dal celebre manga "Banana Fish" di Akimi Yoshida (1985) mi ha piacevolmente sorpreso per diverse ragioni.
Innanzi tutto la storia, che mi era stata presentata semplicemente come uno shônen-ai (fumetto con temi d’amore tra ragazzi), è in realtà molto di più.

Ash ha solo 17 anni ma è già a capo di una banda di criminali nei bassifondi di una New York molto violenta dove lui stesso ha dovuto subire abusi di tutti i tipi, a causa del suo bell'aspetto femmineo (è biondo con gli occhi verdi e il suo vero nome - Aslan – significa “alba”).
In questo contesto e con questo vissuto alle spalle, Ash conosce due fotoreporter giapponesi che vogliono documentare la sua storia e con Eiji, che è quasi suo coetaneo (anzi, in realtà è di due anni più vecchio, ma sembra più giovane) nasce un legame delicato e autentico.
La storia si fa più complicata intrecciandosi con le vicende della malavita cinese della quale fa parte anche il migliore amico di Ash, Shorter. Si crea un antagonismo con le “storiche” famiglie della Triade cinese e con la Mafia.
La narrazione ruota intorno a una misteriosa droga – la Banana Fish – che rende le perso completamente inermi e manipolabili e che ha rovinato il cervello del fratello di Ash, un ex soldato che ha partecipato alla guerra in Iraq.

Mi ha molto colpito il rapporto di Eiji con il mondo del salto con l’asta. È qualcosa che nella storia resta molto ai margini (ha importanza soltanto in un episodio) ma che secondo me ha un forte valore simbolico e che si ritrova in altre opere della Yoshida.
Il personaggio più debole del racconto è Ibe-san, il reporter capo di Eiji che forse aveva con lui anche un rapporto più profondo, anche se questo non viene mai reso esplicito.
"Banana Fish" è una storia bellissima, realistica e per nulla mielosa che per molti versi mi ha ricordato il romanzo "Una vita come tante" di Hanya Yanagihara.
Pur trattando temi molto crudi, le scene che si vedono non sono mai pesanti o volgari e da questo punto di vista secondo me "Banana Fish" supera di gran lunga le pecche del genere yaoi, in cui spesso le autrici sono troppo esplicite e si finisce col perdere la trama; mentre lo shônen-ai risulta troppo sentimentale. Non che sia particolarmente esperta del genere ma, dopo aver visto "BF", ho subito provato a leggere "Hidamari ga Kikoeru" e non mi è piaciuto per niente! L’ho interrotto a metà del secondo volume perché l’ho trovato troppo romantico per i miei gusti ma, leggendo le trame dei manga consigliati in relazione a "BF", penso che proverò ad acquistare la miniserie "New York New York" di Marimo Ragawa.
C’è poi un aspetto letterario che mi pare nessuno abbia trattato e che invece secondo me merita un approfondimento: tutti gli episodi dell’anime portano il titolo di un classico moderno della letteratura americana, toccando autori come Hemingway, Salinger, Fitzgerald… e, per ciò che ho potuto giudicare esistono dei paralleli tra questi classici e la trama di ogni singolo episodio. Ai riferimenti espliciti si aggiungono poi quelli indiretti perché ho riscontrato un rimando visivo alla poesia "Crossing Brooklyn Ferry" di Walt Whitman.

Dal punto di vista tecnico, "Banana Fish" è ineccepibile, anzi direi perfetto. Lo Studio MAPPA – nato da una costola della Madhouse – ci aveva già abituato a lavori di altissimo livello ma qui supera se stesso, creando uno degli anime migliori del 2018.

Considerando poi l’aspetto narrativo, sono rimasta stupita dal cambiamento di Akimi Yoshida da quest’opera del 1985 alla più recente "Our Little Sister", in cui si parla in maniera molto delicata del rapporto di quattro sorelle in una famiglia allargata. In trent’anni anche lo stile grafico è radicalmente mutato e migliorato, tanto che stentavo a riconoscere la mano dell’autrice e, sotto quest’aspetto, il lavoro di attualizzazione dell’anime è stato ottimo, perciò spero di vedere presto una ristampa del manga originale, per la quale la Planet Manga si sta facendo pregare (forse in autunno?)