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È una sera di mercoledì quel fatidico primo aprile del 1970, quando sul canale Fuji TV va in onda la prima puntata di Ashita no Joe (Rocky Joe), una delle serie più iconiche dell’animazione giapponese, tratta dal fumetto già famosissimo di Asao Takamori e Tetsuya Chiba, e diretta da un giovane Osamu Dezaki. L’entrata in scena di Joe, con il suo malinconico fischio che risuona nei vicoli di una zona malfamata di Tokyo e la memorabile sequenza dell’incontro con il vecchio Danpei, girata come un emozionante duello western, ancora oggi hanno una forza a dir poco prorompente e sono entrate a buon diritto nella storia degli anime.

Il primo episodio (L'incontro) registra uno share del 14 per cento e nell'arco delle 79 puntate, che durano fino al 29 settembre 1971, la serie si assesta su una media del 20 per cento, con picchi del 26 e con il record battuto nell’episodio 29 (L’impazienza di Joe), diretto da Yoshiyuki Tomino, che supererà il 29 per cento. Sono passati 50 anni da allora ma la sua eredità è ancora lungi dall’esaurirsi. Oltre ad aver abbracciato i 20 volumi del manga, due serie anime, due lungometraggi per il cinema, un film live action, l’epopea del giovane pugile ribelle è stata fonte d'ispirazione per una lunga lista di epigoni nel corso degli anni, fra i quali vale la pena di ricordare almeno Ganbare Genki (Forza Sugar, 1976), Ring ni kakero (1977), Rokudenashi Blues (1988), Hajime no Ippo (1989) e, arrivando ai giorni nostri, Megalo Box (2018), serie televisiva creata per celebrare il 50º anniversario del manga Ashita no Joe.

Sinossi: Joe Yabuki è un giovane vagabondo, insofferente alle regole e alle costrizioni, appena fuggito dall’ennesimo orfanotrofio. Danpei Tange è un vecchio pugile in disgrazia e ormai dedito all’alcol per annegare i dispiaceri di una vita disillusa. Durante il loro primo incontro il vecchio si accorge che il ragazzo ha un talento innato come boxeur e decide di fargli una proposta: farsi allenare da lui per diventare un campione. Joe accetta al solo scopo di sfruttare opportunisticamente vitto, alloggio e un po' di denaro, e Danpei, che lo tratta come un figlio, smette di bere e ricomincia a lavorare duramente come manovale solo per poter mantenere entrambi. Ma tutti i suoi buoni propositi sono vanificati da Joe che continua a vivere di espedienti e infine, a capo di una banda di monelli, riesce a mettersi definitivamente nei guai con un imbroglio che lo porta dritto in carcere minorile. Qui conosce Mammuth Nishi, leader d'un gruppo di teppisti con il quale prima si scontra e poi stringe una profonda amicizia, ma soprattutto incontra la sua nemesi, colui che sembra in grado di tenergli testa quando si tratta di fare a cazzotti, Toru Rikiishi, un talento della boxe con il quale nasce una grande rivalità. Finalmente Joe inizia a prendere sul serio le lezioni per corrispondenza di Danpei (intitolate "Per il domani"), comincia ad allenarsi duramente in cella e la sua voglia di boxare prende il volo. L’occasione per la resa dei conti con Rikiishi si presenta quando un torneo di boxe viene organizzato in prigione e i due si affrontano in un match furibondo che si protrae fino all'ultimo round, quando Joe sferra un colpo micidiale e finiscono entrambi knock-out. I due rivali si faranno reciprocamente una promessa solenne: si batteranno da uomini liberi in un incontro ufficiale nella categoria dei pesi gallo.

Ashita no Joe non è solo un classico, è un vero e proprio fenomeno culturale. Ma prima di allacciare i guantoni da boxe per addentrarci nell’analisi della serie televisiva bisogna fare un salto indietro di qualche anno per inquadrare il contesto storico/artistico in cui ha avuto origine il mito di Joe Yabuki, nato sotto forma di manga e poi consegnato dall’anime all’imperitura leggenda.

Tutto comincia negli anni Sessanta, periodo di grandi trasformazioni per il costume e la società giapponese. Il boom economico ha proiettato il paese nel futuro ma ha lasciato indietro una massa di sottoproletari che riesce a malapena a sopravvivere nelle grandi aree suburbane. Gli studenti universitari cominciano a manifestare contro l’autorità del governo, criticando l’industrializzazione selvaggia, il conseguente inquinamento ambientale, ma soprattutto l’odioso trattato di sicurezza firmato con gli Stati Uniti con l’avallo alla guerra in Vietnam tramite l’uso delle basi aeree sul territorio nipponico. Anche il gentil sesso comincia la sua emancipazione prendendo parte direttamente ai cambiamenti epocali della società che sfoceranno nella contestazione del ’68.

I primi a cogliere i segnali di quest’epoca tumultuosa e della sua generazione in rivolta sono il cinema, la letteratura e il manga che vive un periodo tra i più floridi e creativi di sempre. Nuove riviste periodiche spuntano come funghi a intercettare non più solo il consenso degli adolescenti ma anche il gusto di un pubblico nuovo, più colto e maturo. Sono gli anni della diffusione del gekiga, dei drammi storici di Sanpei Shirato, dell’irriverenza di Go Nagai, e della nascita del manga shojo di autrici seminali come Moto Hagio e Riyoko Ikeda.

Ma l’autore che più emerge da questa fertile temperie culturale, con una popolarità fra i giovani che intacca persino lo strapotere di Osamu Tezuka, è lo scrittore/sceneggiatore Ikki Kajiwara, alias di Asao Takamori (1936-1987). Nell’impressionante lista di opere di quest’autore spiccano per fama (anche perché esportate in forma animata nel nostro paese): Kyojin no Hoshi (Tommy la stella dei Giants), Tiger Mask (L’uomo tigre), Akakichi no Eleven (Arrivano i Superboys), ma soprattutto Ashita no Joe (Rocky Joe). Impregnate di lacrime, sangue e sudore, le storie di Kajiwara, esaltano l’agonismo, il sacrificio e lo spirito di abnegazione ispirati ai rigidi precetti del bushido (la via del samurai). I suoi personaggi vivono avventure sportive ad alta densità drammatica, destinate a fare breccia nel cuore di più generazioni di lettori.

Per avere un’idea della popolarità del manga Ashita no Joe basti pensare che fece vendere al settimanale che lo pubblicava, Shukan Shonen Magazine di Kodansha, qualcosa come un milione e mezzo di copie a settimana e una volta pubblicato in volume vendette oltre 20 milioni di copie. La cronaca dell’epoca ci racconta di una folla di circa settecento fan che accorse a un evento straordinario organizzato al Kodansha Auditorium: la commemorazione funebre del personaggio di Toru Rikiishi (morto dopo un emozionante match nel capitolo 106 del manga), alla presenza dello stesso Kajiwara, del disegnatore Tetsuya Chiba e di altre personalità del fumetto, oltre a un prete buddista che officiava su un ring a grandezza naturale. Grande eco mediatica ebbero inoltre i fatti del 31 marzo 1970, quando il gruppo eversivo ARG (Armata Rossa Giapponese) dirottò un Boeing 727 della Japan Airlines al grido di “Siamo tutti Joe del domani!” (Ware ware wa ashita no Jo dearu!).

Dopo un tale successo di pubblico l’approdo di Ashita no Joe sul piccolo schermo è inevitabile e così viene il momento della collaborazione tra Kajiwara e la Mushi Production del “rivale” Osamu Tezuka. A dirigere la serie viene chiamato Osamu Dezaki, che in Mushi si era fatto le ossa fin dal 1963 prima come intercalatore, poi come key animator, e infine arrivando a firmare la regia di episodi in serie come Tetsuwan Atom (Astro Boy, 1963), The Monkey (La grande avventura di Goku, 1967), Wanpaku Tanteidan (1968), Dororo (1969). Ashita no Joe è la sua prima serie in veste di chief director, un banco di prova non facile visti il peso e la preponderanza del titolo, ma è anche l’occasione buona per smarcarsi dagli stilemi del repertorio tezukiano ed esprimere in autonomia le proprie idee innovative e la propria spiccata personalità artistica, tanto che in seguito fra gli addetti ai lavori si inizierà a parlare esplicitamente di “stile Dezaki”.

Ad affiancarlo nell’impresa troviamo tre disegnatori di prima grandezza: Akio Sugino nel ruolo di supervisore capo e direttore delle animazioni, Akihiro Kanayama, responsabile grafico del personaggio di Toru Rikiishi, e Shingo Araki, per i personaggi di Joe e del vecchio Danpei. I tre sakkan hanno il compito di traslare sul piccolo schermo lo stile di Chiba, solo apparentemente semplice e immediato nelle caratterizzazioni (il vecchio sdentato, il gigante buono, i ragazzini pestiferi, la bella ragazza etc.), in realtà molto più sottile e complesso. Araki, oggi riconosciuto come uno dei più grandi animatori di tutti i tempi, aveva già lavorato su soggetti di Kajiwara (Tommy la stella dei Giants, Animal 1, Kick no Oni), ma questo è il suo primo ruolo da character designer di un personaggio protagonista ed è interessante notare l’evoluzione del suo stile, dal tratto “sporco” di Ashita no Joe (mutuato dal tratto "a carboncino" di Chiba) fino all’altera bellezza di personaggi nati dalla collaborazione con Michi Himeno (Babil Junior, UFO Robot Goldrake, Lady Oscar, I Cavalieri dello Zodiaco).

Se fino ad allora le serie anime erano rimaste fortemente ancorate alla loro controparte cartacea, risultando effettivamente dei fumetti animati (del resto erano chiamate anche tv manga), Dezaki con il suo approccio realistico e l’impronta cinematografica della messa in scena (i titoli scritti alla maniera dei film dal vivo, la colonna sonora strutturata in temi, le inquadrature oblique dal basso, i giochi di luce, etc.), cerca di affrancare Ashita no Joe dalle sue radici manga per connotarlo come opera autonoma. Per un confronto diretto, un esempio ce lo offre la scena del carcere, dove Chiba aveva risolto con una punta di ironia e qualche occhio nero la rissa tra Joe e gli altri detenuti, nell’anime la tensione è palpabile e i pugni fanno davvero male; oppure il modo in cui viene descritto il degrado e la povera gente del quartiere di Joe, pittoresco e caricaturale nel manga, patetico e neorealista nell’anime.

Uno dei punti di forza dell’anime consiste nella caratterizzazione dei personaggi, imperfetti nella loro umanità ma veri e credibili, ed è proprio la voglia di verità, a tratti cruda e brutale, che distingue questa serie da tante altre dello stesso periodo. Del protagonista colpisce la crescita e trasformazione nel corso della serie. I primi episodi si concentrano sul suo rapporto con Danpei, figura tragica e dolente, che lo considera alla stregua di un diamante grezzo. Indurito dalla vita, Joe è un piccolo delinquente, orgoglioso, violento e bugiardo, risulta persino sgradevole nel suo atteggiamento con Yoko Shiraki. Eppure come antieroe rimane terribilmente stimolante, non tollera i soprusi, la disoccupazione gli sembra un crimine e nutre un affetto sincero verso i bambini del quartiere che lo trattano come un fratello maggiore.

La storia decolla nell’arco narrativo della prigione, quando Joe inizia a prendere seriamente la disciplina sportiva e finalmente fa qualche passo avanti nel suo percorso di redenzione. È qui che incontra per la prima volta Toru Rikiishi, tra gli altri, il rivale più carismatico e incisivo nello spronarlo a migliorare. A questo personaggio è dedicato un tema della colonna sonora (memorabile con la sua ritmica in contro tempo e la sua poderosa sezione fiati) e persino una sigla di chiusura (pochi antagonisti possono vantare un trattamento simile). Mentre Joe è sempre accecato dal rancore e coi nervi a fior di pelle, Rikiishi è cool, maturo, simpatico e astuto, e si rivela il più grande ostacolo per il ragazzo, non tanto per il suo valore come boxeur ma perché gli ricorda continuamente ciò che ancora non è come uomo. Questo arco è un punto di svolta nello sviluppo della storia e il protagonista impara suo malgrado una dura lezione: per emergere qualcun altro deve inevitabilmente soccombere. Benché non ci siano davvero vincitori alla fine dell'arco di Rikiishi.

La serie si concentra molto sulla rivalità dei personaggi, in particolare sul duplice conflitto di Joe, prima di tutto contro sé stesso per superare i propri limiti e diventare campione dei pesi gallo, e poi contro i vari avversari che a mano a mano si avvicendano sul ring (Rikiishi, Rivera, Mendoza), con ognuno dei quali si instaura un rapporto ossessivo e viscerale. Dezaki insiste molto nel sondare a fondo la psicologia del protagonista e il suo lato più oscuro e ineffabile, con la carica emotiva che esplode nelle scene più tese e dirompenti (la sfuriata di Joe al momento del rifiuto del patentino da professionista, o quando Danpei e Noriko tentano di smussare il suo caratteraccio). Solo nell’episodio tragico dell’ultimo match con Rikiishi si svelerà tutta la fragilità del ragazzo, quando insieme all’amico/rivale si accasceranno davanti a lui quelle poche certezze. Joe si rinchiuderà in sé stesso e sparirà dalla circolazione, voltando le spalle alla carriera, ai suoi amici e agli stessi spettatori.

La parabola sportiva e il racconto di formazione si mescolano alle atmosfere neorealiste che rimandano direttamente al gekiga con i suoi personaggi borderline quasi pasoliniani, spesso dipinti con sfumature ciniche e disincantate in sordidi scenari suburbani (nell'episodio 54 compaiono delle prostitute che adescano i passanti in un vicolo). La periferia come luogo di esclusione per eccellenza non si limita a fare da scenografia alle vicende ma diventa protagonista e suggerisce il tema sociale di fondo. Nonostante la ricostruzione e il miracolo economico, nella sconfinata area metropolitana persistono zone di povertà e disagio, terre di nessuno popolate da derelitti e delinquenti, ritratte dall’anime nella loro più squallida desolazione. Non è un caso se si chiama “ponte delle lacrime” il passaggio che collega quella società emarginata al resto del mondo, e il divario tra i bassifondi e l’ipotesi di una vita migliore viene colmato solo sul ring a un prezzo sempre troppo alto da pagare.

La gente che popola la “borgata” è dunque la vera famiglia di Joe, una famiglia allargata che nel manga comprende tutto il popolo del quartiere e nell’anime si concentra nel gruppetto dei piccoli supporter Sachi, Kinoko, Taro, Tonkichi e Chukichi: una banda di "scugnizzi" capaci di tutto pur di fare colpo sul loro eroe (come quando organizzano una serenata romantica al parco tenendo in ostaggio un musicista mentre Joe passeggia con Noriko). Con la loro straripante vitalità e il loro affetto rappresentano una linfa per Joe, un impagabile sostegno umano e una cura alla tristezza e allo sconforto. Sulla falsariga del manga, il ningen dorama di Dezaki riesce non solo a catturare lo spirito di un’epoca ma a trasmettere un sentire comune e un senso di solidarietà che lo stesso Chiba definì appunto come “glorificazione dell’umanità”.

Lontano anni luce da certi stereotipi di eroe da fumetto americano, il giovane arrabbiato Joe Yabuki ci racconta dell'ipotesi di una rivincita sulla società da parte di un perdente, un disadattato qualunque a cui è capitato in sorte un talento particolare. In perenne conflitto con sé stesso (prima ancora che con il suo prossimo), intrattabile kamikaze del ring e primitiva espressione della giungla metropolitana, Joe ci suggerisce ciò che deve provare un pugile quando si sta giocando tutto, non solo l’incontro o la propria carriera ma, in ultima analisi, la propria stessa esistenza.

La boxe diventa così metafora di vita, dura e spietata, un rischio che, accettato o subito come inevitabile soperchieria dettata dalle dure condizioni, può significare affermazione e riscatto, ma resta soprattutto esuberante confronto fisico. Il racconto raggiunge il suo acme nelle adrenaliniche scene degli incontri, tra muscoli vivi e guizzanti, volti deformati dai possenti pugni e fisici scolpiti degli atleti. Diversamente da Kyojin no Hoshi (il più diretto avversario nella sfida agli indici di ascolto tv) in cui si inventano sempre nuovi lanci che sfidano le leggi della gravità e improbabili tattiche di gioco per impressionare il pubblico, l’agonismo sportivo secondo Dezaki esaspera al massimo la tensione psicologica e il pathos, in match furibondi che sono una sfida di nervi oltre che di muscoli. I movimenti sul ring e soprattutto i rabbiosi colpi dei boxeur sono enfatizzati graficamente per esprimere velocità e potenza con risultati visivi senza precedenti.

Dal punto di vista squisitamente pugilistico, lo sport raccontato dall’anime Ashita no Joe, fra metodi di allenamento inconsulti e colpi inventati di sana pianta, potrebbe far storcere il naso a più di un amante della nobile arte, tuttavia molti particolari non sono certo lasciati al caso: i regolamenti, le tempistiche degli incontri, la terminologia tecnica dei colpi e degli allenamenti, le categorie di peso e persino i luoghi (come la mitica Korakuen Hall, il tempio della boxe di Tokyo) sono estremamente dettagliati. Agli autori non sfugge nemmeno il fatto che spesso nella realtà molti pugili approdano al professionismo emergendo dai paesi poveri del Sud America dove la boxe è lo sport nazionale, il che ci consente da un lato di riscoprire l'anima popolare e autentica di questa disciplina massacrante, dall’altro di sondare le ragioni profonde di riscatto sociale che sottendono lo spirito di sacrificio e l'agonismo di un atleta combattente.

Alla maggior parte degli anime fan più giovani le animazioni di questa serie potrebbero apparire datate e primitive, eppure dal punto di vista tecnico le innovazioni portate da Dezaki sono numerose e notevoli, spesso con soluzioni inedite mai sperimentate in una serie televisiva, come per esempio: la panoramica (fin’ora sviluppata solo nel cinema, in particolare da Isao Takahata in Hols no Daiboken della Toei); la tecnica chiamata San-kai PAN (panoramica ripetuta tre volte da tre punti di vista differenti, poi perfezionata in Ace no Narae); la slow-motion, molto efficace negli incontri di boxe per enfatizzare un colpo decisivo; l’effetto ryusen che riproduce la velocità a schermo; il kurikaeshi shot: la stessa azione ripetuta più volte, che da un lato sottolinea un momento topico, dall’altro consente di risparmiare su cel e fondali.

Un paragrafo a parte merita la tecnica del tomo-e (immagine fermata) o kaki-e (immagine disegnata), che Dezaki ha sempre chiamato harmony. Si tratta di un fermo immagine della durata di qualche secondo accompagnato da un lento zoom in allontanamento, retaggio della limited animation dello studio Mushi, che fissa una scena particolarmente importante nell’economia della storia, rivestendola di un peso significativo grazie anche all’elevata qualità pittorica, quindi alla maggiore cura nel disegno, nelle sfumature e nei colori. Di fatto è un “quadro” a sé stante, capace di riprodurre efficacemente una vasta gamma di espressioni, dal dramma al romanticismo e alla poesia, usato soprattutto nel finale degli episodi per stupire lo spettatore con un colpo di scena ben assestato.

Un contributo decisivo all’innovativo stile di Dezaki viene dal direttore della fotografia Hirokata Takahashi che introduce nell’animazione le tecniche della nyusha-ko (luce incidente) e della toka hikari (luce trasmessa), fin’ora usate solo in certo cinema americano d’avanguardia (Easy Rider, 1969). Si tratta di fasci di luce proiettati direttamente sui cel che attraversano lo schermo dando un effetto foto realistico spettacolare alla scena animata. Non meno importante risulta infine l’espediente del gamen bunkatsu (split screen), anch’esso mutuato dal cinema (Gran Prix, 1966), che divide lo schermo in due o più riquadri, ognuno dei quali mostra la stessa scena da angolazioni e punti di vista diversi, ad arricchire ulteriormente l’esperienza visiva.

A questo proposito bisogna notare come Dezaki interviene direttamente sul lavoro degli animatori Araki, Kanayama e Sugino istruendoli dettagliatamente sull’espressività dei personaggi proprio in funzione di queste tecniche, al fine di esaltarne le emozioni e i sentimenti (come la drammatica rivalità tra i due pugili), concentrandoli in un’unica, potente immagine.

La colonna sonora è composta alla maniera delle musiche per film, con i vari temi legati ai personaggi principali (Rikiishi, Danpei, Yoko, Noriko, Sachi), spesso declinati con arrangiamenti diversi a seconda della scena (ad esempio, il tema di Joe ha una versione malinconica suonata con solo una chitarra e il fischio nelle scene dei bassifondi, oppure una versione incalzante con l'orchestra in pompa magna in occasione degli allenamenti e degli incontri, etc.). La sigla di apertura, Ashita no Joe di Isao Bitou, riprende il tema principale con una maestosa ballata enka (genere musicale che si fa risalire addirittura al periodo Meiji, paragonabile a una sorta di blues nipponico per i temi inerenti la tristezza, la solitudine, le difficoltà della vita) che sembra introdurre un racconto storico jidaigeki piuttosto che un anime sportivo. L’esecuzione mette i brividi con il suo incedere solenne, quasi marziale nel ritmo e nell’uso della tromba, e quella voce ruggente che attanaglia l’anima in una morsa. Le due sigle finali, Joe no Komoriuta di Asao Koike (Ep. 1-40) e Rikiishi Toru no Theme di Hide Yuki (Ep. 41-79) seguono la stessa falsariga enka, con le loro interpretazioni vocali calcate e melodrammatiche, a corollario dell’epica popolare di Ashita no Joe.

La fine dell’arco di Rikiishi segna il giro di boa della prima serie e al contempo il preludio della seconda tornata che vede la luce nel 1980, Ashita no Joe 2. Le prime 12 puntate (di 47) di quest'ultima sono infatti un remake dell'ultima parte della prima serie, dopo di che gli episodi proseguono la trasposizione del soggetto dal manga portandolo a conclusione. Stavolta la serie è prodotta dalla Tokyo Movie Shinsha, sempre per la regia di Osamu Dezaki e la direzione delle animazioni del solo Akio Sugino, che disegna con uno stile ancora più brillante, maturo e pienamente proiettato negli anni '80, con i personaggi che sembrano più adulti e slanciati nella fisionomia. Sempre nel 1980 esce il primo lungometraggio per il cinema, Ashita no Joe, un film di montaggio che riprende i punti focali della prima serie (racconto di formazione e centralità dei drammi umani) riassemblando le sequenze di alcuni episodi. Stesso discorso per il secondo film del 1981, Ashita no Joe 2 - L'ultimo round, che ricalca le stesse inquadrature della seconda serie solo in una veste più sofisticata. Le due pellicole hanno comunque il merito di far conoscere Osamu Dezaki ad un pubblico ancora più ampio, consacrandolo anche come regista cinematografico.

L’adattamento italiano della prima serie (trasmesso per la prima volta nel 1982 da Rete4 non ancora Fininvest) soffre di numerose lacune, tra scelte dei nomi arbitrarie e traduzioni tagliate con l’accetta (gin al posto di sakè, Norina al posto di Noriko, etc.). Il titolo Rocky Joe sarebbe un’invenzione tutta italica, forse dettata dalla voglia di evocare il boxeur di origini italiane realmente esistito Rocky Marciano, oppure il Rocky Balboa reso famoso al cinema da Sylvester Stallone nel 1976. A questo proposito bisogna notare quanto sia piuttosto quest’ultimo debitore verso Ashita no Joe, condividendone ambientazioni e tematiche (entrambi presentano dei personaggi perdenti, sfavoriti dalle circostanze della vita, che attraverso il duro lavoro e la perseveranza si fanno strada grazie alla boxe; persino gli attriti col vecchio mentore e la scena del doppio k.o. finale sono presi pesantemente in prestito dall’anime). In Italia, la struggente sigla originale è sostituita da un solare ritornello degli Oliver Onions (per l'occasione Amici di Rocky Joe), mentre il doppiaggio evidenzia una notevole discrepanza tra le voci della prima serie (doppiate dalla C.D. - Cooperativa Doppiatori) e quelle della seconda serie, Rocky Joe 2 (doppiate da Telecolor 2000). Quest'ultima, andata in onda nel 1991 su Italia7, presenta dei nomi americani completamente inventati, oltre a modificare il soggetto originale al punto da stravolgere completamente il finale. Solo l'edizione italiana in home video del secondo film Rocky Joe - L'ultimo round di Yamato Video, rende un po' di giustizia ristabilendo la trama, i nomi e i dialoghi originali dell'anime, mentre il primo film rimane inedito.
I fan italiani possono comunque consolarsi con l'edizione da cinque box per 25 dvd (che compongono entrambe le stagioni tv, con l'opzione della lingua italiano/giapponese) distribuita da Yamato Video.

Alla luce dei suoi cinquant’anni possiamo concludere che Ashita no Joe è molto più di una reliquia del passato, è un classico intramontabile considerato fra i più grandi spokon mono di tutti i tempi, così iconico da essere parodiato più volte nel corso dei decenni. Abbiamo già accennato ad alcuni importanti titoli influenzati da questa serie, ma ecco altri pezzi da novanta che l'hanno omaggiata con citazioni e riferimenti più o meno espliciti: Kill la Kill, Toppa Tengen Gurren Lagann, Bakuman, Urusei Yatsura, Hokuto No Ken, GTO, 20th Century Boys, Food Wars, Berserk, e molti altri. Ashita no Joe non è solo un anime sportivo, è una storia senza tempo che rimane impressa a fuoco nei cuori e nelle menti degli spettatori anche molto a lungo dopo i titoli di coda, insomma una serie imprescindibile per tutti gli anime fan!