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La prima cosa che ho pensato nel momento in cui ho terminato la visione di “Scarpette rosse e i sette nani” è che questo film fosse carino ma sostanzialmente ‘inutile’, per quanta utilità si possa trovare in un’opera di mero intrattenimento. E il problema infatti non è nell’aspetto ludico del suo contenuto, col quale tiene tutto sommato botta, ma nel messaggio e nei risvolti comico-ironici che sapevano ampiamente di già visto da qualunque parte li si guardi.

“Scarpette rosse e i sette nani” difatti si presenta nella confezione come una fiaba delle più classiche tra quelle viste nell’animazione ormai da quasi un secolo; Biancaneve, la nostra protagonista, è la principessa di un regno dell’isola di Favolosilandia, alla ricerca disperata del padre scomparso; nel mezzo della sua ricerca si imbatte casualmente nell’albero magico coltivato dalla sua matrigna, un albero che produce scarpette rosse che, se indossate, possono donare bellezza ed eterna giovinezza a chi le porta. Sorpresa dalla matrigna, è costretta a fuggire fino a ripararsi nella casa dei Favolosi Sette, un gruppo di sette guerrieri magici anche loro alle prese con una maledizione che ne modifica le sembianze; infatti, per aver scambiato la principessa della fate per una strega, a causa del suo aspetto poco avvenente, questi ultimi sono stati condannati a mostrarsi sempre come piccoli troll verdi nel momento in cui qualcuno li guarda, questo almeno fin quando non riceveranno un bacio dalla donna più bella del mondo che possa liberarli dalla maledizione. Il nuovo bellissimo aspetto di Biancaneve, che per restare in incognito si farà chiamare Scarpette Rosse, attira di conseguenza il gruppo dei sette, e in particolare del loro capo Merlino, desideroso di conquistare questa principessa misteriosa che possa sciogliere l’incantesimo in cui lui e i suoi compagni sono intrappolati. I reciproci interessi portano a collaborare la ragazza e i sette guerrieri, mettendo in moto gli ingranaggi della storia che li porteranno anche a scontrarsi con quella matrigna diventata ormai nemico comune di entrambi.

Inutile ribadire a questo punto quanto questa storia si presenti come un grande miscuglio delle favole animate più note, probabilmente è ciò che esce da un frullato dei più apprezzati classici Disney dell’epoca d’oro della casa di Topolino. Non che questo sia un male, sia chiaro, dubito che il film volesse imporsi come elemento di novità, e in fondo queste somiglianze ora chiare ora più sfumate alimentano anche la vena ironica della pellicola, quest’ultima chiaramente ispirata da quello “Shrek” che già ad inizio millennio aveva preso in giro i simboli e gli stilemi narrativi delle fiabe disneyane, e anche in questo caso “Scarpette rosse e i sette nani” si dimostra una copia che ha saputo prendere spunto dall’originale, pur tuttavia non riuscendo ad essere ugualmente caustica o divertente. Cosa resta, quindi, se togliamo a questo film la sua aura fiabesca e la sua controparte comica? Di sicuro il bellissimo messaggio di fondo che promuove l’accettazione del prossimo al di là del suo aspetto fisico e il non fermarsi mai alle apparenze, quando bisogna giudicare una persona. Wow. Bello è bello, per carità, ed è sempre valido oggigiorno, però diciamo che, se tutto questo non vi ha ricordato almeno il 50% della produzione animata occidentale, americana soprattutto, allora vi invidio, perché siete persone che hanno ancora la possibilità di gustarsi per la prima volta capolavori immortali che valgono ben più la pena di questo onesto film per famiglie, e se vogliamo pure della recensione che state leggendo. Le piccole differenze che “Scarpette rosse e i sette nani” può introdurre da questo punto di vista alla fine sono per la sua produzione, visto che questo è un film sudcoreano, nonostante la chiara impronta occidentale alle spalle, e per la scelta di presentare una protagonista grassa e molto poco in forma a fare da simbolo di comprensione e accettazione, una scelta in tempo di ‘body positivity’ ovviamente comprensibile, e anche abbastanza sicura, visto che ultimamente film diretti a un pubblico giovane rischiano sempre di attirarsi critiche e attacchi non richiesti e, il più delle volte, anche inutili. Nonostante però abbia compreso il messaggio di fondo promosso dal lungometraggio e possa ascrivermi anch’io alla categoria dei ‘diversamente magri’ rappresentati dalla nostra protagonista, non posso fare a meno di sottolineare, con un pizzico di ipocrisia, come la cosa che mi abbia colpito di più di tutto il film sia stato l’aspetto bellissimo nella sua semplicità di Biancaneve nella versione ‘migliorata’ dalle scarpette rosse; probabilmente peccherò di superficialità, ma ho sempre trovato esagerata, e profondamente ipocrita, l’ossessione di voler demonizzare la bellezza in ogni sua forma, che per me resta comunque una virtù che può capitare in maniera fortuita, certo, ma che bisogna anche essere in grado di coltivare, senza darle comunque un’importanza eccessiva che la faccia passare da valore aggiunto a fondamentale, cosa che assolutamente non è.

Questi complimenti alla protagonista sono anche il pretesto per lodare il buon lavoro fatto sul comparto grafico del film, una pellicola completamente in 3D CGI che non tiene testa ai leader mondiali in questo tipo di produzioni, ma fa tranquillamente la sua buona figura, soprattutto nel frizzante character design dei personaggi che risultano tutti gradevoli almeno alla vista. Promossa anche la regia del sudcoreano Sung-ho Hong anche per la presenza di movimentate, e convincenti, scene d’azione, così come la colonna di Geoff Zanelli che, almeno nella parte strumentale, fa il suo dovere, accompagnando sia le scene più concitate che quelle più riflessive. Abbastanza dimenticabili, per non dire evitabili, invece le tre canzoni proposte durante il film, nonostante la scelta di adattarle in italiano come si è solito fare nelle produzioni Disney. E sempre per restare in ambito nazionale, va segnalata purtroppo la scelta fatta nella versione italiana di affidare le voci dei protagonisti principali ai cosiddetti ‘talent’ esterni piuttosto che a dei doppiatori professionisti. Così Biancaneve è toccata alla “cantante” Baby K, mentre il duo comico Pio e Amedeo ha doppiato Merlino e Arthur, i due personaggi principali tra i sette guerrieri, con risultati francamente discutibili e deludenti, una scelta fatta per logiche commerciali ma che purtroppo non ha pagato, visto che il film è passato molto in sordina dalle nostre parti; a onor del vero è andata un po’ meglio con l’altro personaggio doppiato da Amedeo, lo specchio magico, a cui un caricaturale accento napoletano ha dato la giusta verve nelle scene in cui compariva, a riprova questo che non è per forza un male affidare qualche ruolo a personaggi famosi che facciano da calamita per il grande pubblico, basta confinarli in tempi e nei contesti più adatti alle loro capacità.

Mettendo un attimo da parte il mio giudizio tranchant dell’inizio, è lecito chiedersi, a questo punto, se il lavoro fatto con questo film si possa definire promosso; a parer mio sì, anche se non riesco a riservare ad esso più di una risicata sufficienza: pur senza brillare davvero in nessun aspetto (da quello narrativo a quello tecnico), “Scarpette rosse e i sette nani” è un film simpatico con una confezione gradevole che può fare facilmente presa su un pubblico di giovanissimi ed è tranquillamente consigliabile a famiglie desiderose di passare una serata tranquilla in compagnia, a patto che venga dopo aver visto prima larghissima parte del catalogo di, almeno, Disney, Pixar e Dreamworks.