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C’era una volta una principessa, una matrigna, Merlino, Artù, Excalibur, i sette nani verdi (il blu era già occupato) e un Balrog... tranquilli, non sto dando di matto unendo diversi racconti, questi sono i personaggi di “Scarpette rosse e i sette nani”.
Ti ho incuriosito? Bene, sono contento di esserci riuscito, sono stato proprio bravo, se non ti dispiace, per me possiamo chiuderla qui, ho altro da fare e tu un film da guardare, forse. Ciao.

Come? Non ho capito. Ah, vuoi saperne di più... capisco... ma hai visto che ci sono anche le altre recensioni? Sono più belle e dettagliate, perché continuare a leggere la mia?

Mmh, non ti ho convinto e adesso vuoi sapere cosa ne penso, va bene, ma poi non lamentarti se ti faccio passare la voglia di guardare il film. Uomo salvato, mezzo avvisato... no, aspe’...

Tagliamo corto, “Scarpette rosse e i sette nani” è un film d’animazione in CGI di fattura sudcoreana ed è innegabile che si ponga come mash-up di alcune delle più celebri fiabe Disney. “Biancaneve e i sette nani” e “La bella e la bestia” sono state le opere di riferimento, ma sono anche citate “Rapunzel”, “La sirenetta” e “La bella addormentata”. Non mancano nemmeno richiami ad altre opere famose, come una certa Leila di una galassia lontana lontana e un certo mago grigio che decide chi far passare.
Seppure ci siano tante e frequenti citazioni, la storia risulta convincente e ben strutturata quanto basta per portare la visione a termine, senza tanti sbadigli.
La trama è classica, una matrigna narcisa, senza convincenti motivazioni, priva del suo regno la principessa pura e ignara che ci vive; in soccorso le verrà il principe (in questo caso sette verdi nani) e tutto si concluderà con un “vissero felici e contenti”. Quel che però mi interessa analizzare non è tanto la storia, ma il messaggio che veicola, o meglio, che vorrebbe veicolare.

La bellezza, quella vera, non è estetica, non si misura in taglie di pantaloni, ma è la bontà d’animo, la cosiddetta bellezza interiore ad essere la più bella del reame.

Molto bello a parole, ma a mio parere la messa in scena delude, appare fraintendibile soprattutto per l’utenza di riferimento per il film, parliamo di ragazzini di dieci-dodici anni.
Grazie a delle scarpette magiche, la protagonista cicciottella diventa una bella e magra ragazza e chiunque incroci il suo sguardo cade letteralmente ai suoi piedi. A passare è l’erroneo messaggio di “Se sei bello e magro, la vita è più facile”, che, calato in una società in cui il “Mi piace” oggettivo (esteta) ha più valore del “Mi piace” soggettivo, grava ulteriormente sul ragazzino in piena pubertà a cui potrebbero sorgere ulteriori domande o problemi.
Esagero, non so, ma leggere che il film è stato accusato di body shaming (per chi non lo sa, si intende proprio l’atto di discriminare una persona per il proprio fisico) mi fa pensare che il messaggio voluto dalla produzione non arrivi nel modo da loro immaginato. Un esempio immediato lo troviamo nella scelta della locandina: perché mostrare solo la versione bella e magra della ragazza? Dov’è la versione in carne?

Superato lo scoglio trama/messaggio, il film avrebbe comunque altri problemi nella gestione dei personaggi. A parte Scarpette Rosse, Merlino e, nella prima mezz’ora Artù, il resto dei personaggi si potrebbero tranquillamente definire mere comparse.
Peccato, perché una delle aree migliori del film è proprio il character design: fresco, tondeggiante, colorato e ben caratterizzato, in maniera del tutto simile a quanto Disney ci ha abituato nell’ultimo decennio. Eh sì, oltre ai richiami sulla trama, lo studio sudcoreano ha preso in prestito dalla gigantesca scuola Disney anche qualche dritta tecnica su animazioni e modelli. Il risultato è convincente, la parte tecnologica della serie, pur non venendo da una major americana, non sfigura, ma è un bel showreel (bigliettino da visita) per animatori e illustratori. Se qualcuno lavorasse per una major, non mi sorprenderebbe.
Molto interessanti i titoli di coda, accompagnati da degli ottimi e ispirati disegni animati alla vecchia maniera, colorati con uno squisito gusto artistico.

Se il comparto tecnico è la cosa migliore del film, quello sonoro è il peggiore. Anche qui si è cercato di imitare Disney, enfatizzando le scene più emotive con una canzone cantata dai personaggi, ma il risultato è decisamente deludente, direi a tratti cacofonico.
Velo pietoso per il doppiaggio italiano che, invece di affidare i personaggi principali a doppiatori professionisti (dato che abbiamo la miglior scuola di doppiaggio al mondo) e magari solo qualche particina a personaggi noti dello spettacolo, ha deciso di affidare il 90% dei dialoghi a persone incapaci di trasmettere emozioni con la voce, per non parlare delle forti e inutili caricature regionali di alcuni personaggi.

Tirando le somme, il film risulta piacevole, non mi ha annoiato come immaginavo, ma anzi ha saputo farmi sorridere in più di un’occasione. Tuttavia, le buone doti tecniche vengono affossate da una stiracchiata sufficienza della trama, ma soprattutto da una grave insufficienza del comparto sonoro. Lo consiglio? No, a meno che abbiate visto tutta la libreria Disney, Pixar e metterei anche Dreamworks.

Beh... la mia te l’ho detta e penso di essere stato pure abbastanza dettagliato, ora tocca a te decidere se guardarlo e magari scriverci qualcosa, sono curioso di leggere cosa ne pensi.
(Non è vero!)